Prodi racconta un'Africa in ascesa

Se l’Europa è sinonimo di una società sazia e, per molti versi, ripiegata su se stessa, come emblematicamente mostra anche il calo demografico, l’Africa è invece sempre più la terra del futuro e delle opportunità, con un'impetuosa crescita economica e sociale. D’altronde è logico che sia così. Il continente europeo è la patria di economie ormai mature, mentre quello africano è il luogo in cui ci sono decine e decine di Paesi che vogliono uscire dal sottosviluppo.

Si è parlato di Africa, delle sue prospettive e delle sue inevitabili contraddizioni, a «Biennale Democrazia», manifestazione torinese, giunta alla sua terza edizione, sede di molteplici riflessioni sui problemi del nostro tempo. Ospite dell'incontro dedicato al continente africano, Romano Prodi, nella sua veste di inviato Onu per il Sahel, che ha rilevato come le cronache riferiscono di quanto accade sulle sponde del Mediterraneo, nei Paesi del Maghreb, ma i mutamenti interessano anche altre regioni, come la vasta area subsahariana (Camerun, Congo, Repubblica centrafricana, ecc..) o gli Stati meridionali del continente (Angola, Mozambico, ecc...).

Secondo l'ex presidente del Consiglio tre sono gli elementi da tener presente quando di parla di Africa: l’esplosione demografica; una situazione di relativa pace dopo decenni di conflitti; la condizione di grave povertà. «Riguardo alla demografia va segnalato che oggi in Africa vive un miliardo di persone, con un aumento di 400 milioni negli ultimi venti anni, e a metà del secolo, nel 2050, si stima che verrà raggiunta la soglia dei due miliardi. Il dato non è però solo quantitativo ma anche anagrafico. L'età mediana, ossia quella che divide al 50 per cento il campione totale della popolazione, in Africa è di 18 anni. Il che vuole dire che nel “continente nero” metà degli abitanti ha meno di 18 anni, lo stesso dato in Italia è di 40 anni. Un'esplosione di giovinezza che determina una volontà di cambiamento che attraversa l'intero continente».

Il secondo aspetto, per Prodi, è che, dopo lunghi decenni, e nonostante persistano situazioni drammatiche in Somalia, in Sudan o in Nigeria, si sono ridotti di gran lunga i conflitti: «Oggi le tensioni si manifestano più a livello interno agli Stati che non tra un Paese e l’altro. Vi è poi il rischio di infiltrazioni terroristiche, soprattutto da parte di Al Qaeda, che mira a crearsi basi nell’enorme territorio che va dall’Oceano indiano all’Atlantico. Detto questo, può però dirsi che ampie zone del continente stanno conoscendo, dopo anni di guerre, una fase di pacificazione e, dunque, una certa stabilità politica ed economica. Un ambiente finalmente propizio allo sviluppo, in un continente in cui l’estrema povertà affligge circa il 40 per cento delle persone con problemi strutturali come la mancanza di elettricità, la carenza di acqua, la scarsità di assistenza sanitaria».

Non mancano peraltro i segnali positivi. Si assiste ad un progressivo miglioramento nel campo dell'istruzione, ove il 40 per cento della popolazione ha fatto la scuola superiore e soprattutto da 7-8 anni si assiste, in tutto il continente, ad una crescita media del Pil annuo del 5 per cento. Ne conseguono tutta una serie di trasformazioni sia nelle aree urbane che nelle zone agricole. Si registra anche una presa di coscienza. L’Africa, con oltre 50 Stati indipendenti, al di là delle loro forti differenze geografiche e culturali, sempre più si sente un solo continente, con una comune appartenenza. La crescita dell'economia può diventare il traino per una maggior integrazione politica. Certo, sotto il profilo economico manca ancora un mercato interno capace di sostenere lo sviluppo. Servono soprattutto investimenti stranieri, la cui quota odierna nell’intera Africa equivale a quella della sola Singapore. Anche in ambito politico le cose stanno mutando: si irrobustiscono le istituzioni democratiche anche a prezzo di indubbie tensioni sociali; sta nascendo una nuova classe dirigente, dopo quella della lotta per l’indipendenza, con una propensione più tecnocratica che ideologica.

E l'Africa cosa dice? Il vicepresidente dell’Angola, Manuel Vicente, spiega che il Paese, dopo trent'anni di guerra, sta vivendo una fase di riconciliazione nazionale. «Ciò ha comportato il consolidamento della democrazia e di un modello pluralista, rispettoso dei diritti civili. In campo economico il Pil è cresciuto a ritmi sostenuti. Tra il 2002 e il 2008 con una media del 14 per cento annuo; dopo, a causa della crisi, è rallentato situandosi attorno al 2,3 per cento. L'inflazione è scesa dal 105 al 9 per cento e il Fmi ha riconosciuto il successo della gestione macroeconomica. Nei prossimi anni vogliamo puntare sulla formazione della mano d’opera e, per questa via, aumentare la produttività del sistema ed accrescere la domanda interna».

Scenario non dissimile quello del Mozambico, il cui primo ministro, Alberto Vaquina, evidenzia il nesso tra sviluppo e democrazia; un processo comune a molti altri Paesi africani. «La Costituzione è del 1990 e garantisce il rispetto dei diritti fondamentali», dice. «Nell’ultimo decennio siamo cresciuti mediamente del 7 per cento annuo, con investimenti privati in aumento grazie a precise scelte a favore dell' economia di mercato. Ci sono dunque tutti gli ingredienti per proseguire sul cammino della lotta alla povertà e nel segno dello sviluppo, al fine di garantire la tutela di diritti quali l’istruzione, la salute e l’accesso alle risorse idriche».

In questo scenario Prodi rileva la scarsa incisività dell'Unione europea nel ritagliarsi un ruolo di primo piano nei confronti delle diverse realtà del continente africano. «Manca una politica comune, ognuno si muove per conto suo, in base al proprio retaggio storico. Così la Francia agisce nell’area francofona, la Gran Bretagna nella zona del Commonwealth, senza che si abbia una visione globale simile a quella che da tempo mostra la Cina, che si sta rivelando un elemento di stimolo per lo sviluppo africano. Un attivismo commerciale che può dar vita ad un'egemonia cinese capace di mettere in secondo piano un’Europa distratta. Peraltro anche l'Italia si è assopita, dopo periodi di grande impegno nei primi anni che seguirono le lotte per l'indipendenza. A questa inerzia fa da contraltare soltanto l'attività in campo energetico di un soggetto come l'Eni. Eppure bisognerebbe rendersi conto che il futuro del mondo passa per il continente africano e solo una forte strategia a livello europeo potrà permettere di contrastare, in avvenire, giganti della globalizzazione come India, Cina o Stati Uniti. L'Africa che, per ragioni storiche, ha forti legami con l'Europa, attende un segnale; altrimenti sarà gioco forza guardare altrove».

Aldo Novellini

 



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