Chiesa, l'ora delle donne

Rieccoci a un punto cruciale. Anche nella Chiesa “l’ora delle donne”? Nella seconda udienza pubblica, 30 mila in piazza San Pietro, leggendo un testo, ogni tanto sopravanzandolo, come fa in simpatia comunicativa, papa Francesco ha incoraggiato «a superare una fede all’acqua di rose»; ha plaudito, in quel dopo Pasqua, alla esemplarità delle donne, deplorando la meschinità degli uomini.

Il Papa a dire: le donne hanno creduto, hanno avuto il coraggio di raccontare, hanno testimoniato la fede. Nella storia, disegnata dai maschi, le donne hanno avuto ruolo, gli uomini no: Pietro andrà al sepolcro a cercare prove, Tommaso vorrà toccare con le sue mani le ferite di Gesù. Immediato, Francesco, nell’attualità: «Ecco la missione delle donne, delle mamme, delle nonne, trasmettere ai figli, ai nipotini, che Gesù è vivo, il vivente, il risorto». Quindi, riprendendo il testo scritto: «Le donne nella Chiesa hanno un ruolo particolare, aprire le porte al Signore».

Adesso, tra i suoi attesi “segnali”, verrebbe da auspicare, da papa Francesco, un discorso intero, più “riepilogato”, sulla donna. Mariapia Veladiano, prosa ispirata, ha commentato su «Repubblica»: «Oggi, sulla questione della donna al suo interno, la Chiesa è, come si dice in linguaggio teologico in statu confessionis, ovvero sta o cade. Perché è un problema di Verità, non di laica equità (e forse già questo basterebbe)… La lunga stagione della teologia femminista che aveva raccontato i limiti scandalosi di una teologia “naturalmente” al maschile, è finita senza lasciare il più atteso dei risultati, ovvero la strada di una condivisione della responsabilità nella Chiesa che non passi attraverso il “genere” nè attraverso l’ordine sacro. Ed è stato facile fin qui, confondere e mescolare le cose. Niente sacerdozio alle donne, niente corresponsabilità… La teologia femminista, così spesso accusata di finire nei rivoli delle rivendicazioni… Difficile oggi continuare a far finta di niente davanti a una Chiesa fatta soprattutto di donne credenti, catechiste, animatrici liturgiche, teologhe, del tutto rappresentata nei ruoli della responsabilità da un mondo di uomini».

Occorrerebbe, dunque, riepilogare meglio. Fin qui, approssimazioni anche ispirate, volonterose. Quando, nella Chiesa, “l’ora delle donne?”. Una volta (febbraio 2008) aveva sorpreso, senza commuovere, l’invito del Papa all’«Osservatore romano», a dare spazio alle firme femminili «nel dialogo interreligioso e nella politica estera». Un evento con seguito immediato, per il direttore Giovanni Maria Vian. Una precedente evocazione della Chiesa ufficiale sulla donna risultava incardinata anche in un documento di un sinodo mondiale dei vescovi (autunno 2005). Dall’ottava delle 50 «proposizioni» finali risultava tramandato il riconoscimento della «singolare missione della donna nella famiglia e nella società». Niente di più. In perfetto ecclesiale burocratese. Un tracciato così confermato si legge anche in alcune «proposizioni» votate dal sinodo dello scorso ottobre (290 vescovi in assemblea). Con una citazione, nel documento, riservata anche alle volonterosità educative dei nonni.

Non che la Chiesa fosse arcigna nel plauso alle donne. Una applaudita traccia di avanzamento l’aveva già “segnata” Giovanni Paolo II, in una epistola «Sulla dignità della donna», la Mulieris dignitatem. Maria Antonietta Macciocchi, scrittrice, lo ha giudicato un testo d’eccezione, il primo scritto da un Papa «dalla parte delle donne», cresciute nel frattempo in posizioni promozionali, di testimonianza nella società civile e culturale, di evidenza non puramente “servile” nella Chiesa. C’è stato, nel venerdì santo 2007, un elogio della donna evangelica, sotto le volte della basilica vaticana, intonato dal predicatore del Papa, Raniero Cantalamessa, quindi le donne evocate nell’attualità dal biblista (adesso cardinale) Gianfranco Ravasi, una struggente memoria delle donne di Gerusalemme, ma anche «…di tutte le donne umiliate, violentate, emarginate, madri ebree o palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra».

Dopo tanto omaggio scritturale dedicato al maschio (gli apostoli adesso confinati in una loro episodica meschinità), «finalmente un’era della donna, un’era del cuore, della compassione, del protagonismo senza vetrine». Dopo la Mulieris dignitatem, Luisa Muraro, tra le fondatrici della Libreria delle donne, a Milano, aveva ritrovato quelle parole come incitamento ulteriore, muovendo perfino l’utopia: «La prossima predica pasquale il Papa potrebbe affidarla a una donna, come Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, riconosciuta autorità magistrale». Per adesso, bastano le firme femminili sull’«Osservatore romano»? Insiste Mariapia Veladiano: «Non serve una nuova teologia femminista, serve solo una teologia onesta fino in fondo, libera di vedere tutto il femminile del Vangelo».

Certamente, la Chiesa è abituata a tempi lunghi. Questo Papa sembra volerli accorciare. E’ capace di “segnali”. Si resta in attesa. Ma la storia viaggia su ritmi sempre più accelerati, non ha più molta pazienza, ormai. E poco importa che le donne siano atavicamente abituate ad averne. Una cosa giusta che arriva troppo tardi, perde lungo il cammino gran parte del senso. Purtroppo, anche quasi tutta la sua profezia.

Giorgio Grigolli

 



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