Il punto sugli oratori ricchezza della società

Andare in oratorio: fino ai decenni Settanta-Ottanta del XX secolo era abituale per tutte (o quasi), le generazioni di giovani.

Le motivazioni erano molte: i luoghi di divertimento e di gioco per i ragazzi e i giovani non erano così diffusi, specie nelle città del Nord investite da una colossale immigrazione; la stragrande maggioranza delle famiglie (cristiane e non) «si fidavano» dell’oratorio perché i figli si trovavano al riparo dai pericoli della strada; maschietti e femminucce erano rigorosamente separati; i ragazzi stavano bene con i «preti da cortile» (e Adriano Celentano cantava: «… Almeno un prete per chiacchierar»); si incontravano tanti amici di giochi, di partite a pallone e di catechismo; si facevano esperienze fantastiche, che ti segnavano per la vita: calcio e sport, cinema e musical, teatro e musica, escursioni al mare o in montagna, Messa e catechismo.

Dici «oratorio» e la memoria si affolla di ricordi gradevoli e richiama in genere una bella e buona esperienza di vita nella fanciullezza e nella giovinezza. Il termine indica un luogo adibito alla preghiera, un genere musicale, uno stile educativo. Il documento della Conferenza episcopale italiana «Il laboratorio dei talenti. Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo» individua tre grandi filoni: la tradizione di San Filippo Neri (1515-1595); la tradizione ambrosiana-lombarda con gli arcivescovi San Carlo Borromeo (1538-1584), Federico Borromeo (1564-1631), Andrea Carlo Ferrari (1859-1921), Giovanni Battista Montini poi Paolo VI (1897-1978); la tradizione piemontese con San Giovanni Bosco (1815-1888), Santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), San Leonardo Murialdo (1828-1900) e tanti altri eminenti educatori. Nelle diocesi del Triveneto l’oratorio è conosciuto anche come patronato.

Nel Centro-Sud d’Italia numerose Congregazioni religiose, educatori ed educatrici, consacrati e laici sono stati protagonisti di varie esperienze. Il cosentino don Gaetano Mauro (1888-1969) istituisce un «ricreatorio per i giovani» e nel 1925 vara l’Associazione religiosa degli oratori rurali per alleviare miseria, ingiustizia, ignoranza religiosa. In Puglia notevole la diffusione degli oratori legata al Seminario regionale di Molfetta: la domenica riunivano bambini e fanciulli per attività ricreative, caritative, catechistiche. Prezioso il contributo dell’Azione Cattolica con un forte radicamento nelle parrocchie.

Poi l’oratorio è diventato centro giovanile, casa della gioventù e sono sorti ricreatori laici. Nonostante anni di crisi, moltissimi hanno saputo rigenerarsi, autoriformarsi, mettersi al passo con i tempi, con la pedagogia e la psicologia. Oggi, forti di 450 anni di esperienza, gli oratori sono una realtà cui guardano le comunità ecclesiali e le istituzioni civili, come dimostrano gli interventi legislativi delle Regioni. La famiglia e la casa, la scuola e il quartiere, l’oratorio e la chiesa erano e sono le «radici».

Il documento delle Commissioni per la famiglia e la vita, per la cultura e le comunicazioni sociali, propone una «pastorale giovanile integrata» come antidoto «al relativismo pervasivo dei processi educativi». La sfida è «far diventare gli oratori spazi di accoglienza e di dialogo, veri ponti tra l’istituzionale e l’informale, tra la ricerca emotiva di Dio e la proposta di un incontro con lui, tra la realtà locale e le sfide planetarie, tra il virtuale e il reale, tra il tempo della spensieratezza e quello delle responsabilità.

Il presupposto è che «il Vangelo è il più grande dono di cui dispongono i cristiani» ed è il fondamento di ogni azione della Chiesa. «L’oratorio non è un'attività economica, ma la domanda delle famiglie è fortissima» precisa mons. Claudio Giuliodori presidente della Commissione cultura e comunicazioni sociali e neo-assistente generale dell’Università Cattolica: «C’è stata una stagione in cui lo sviluppo sociale ha fatto nascere tante attività parcellizzate costringendo i genitori a correre da un posto all’altro per portare i ragazzi a fare sport e musica, a imparare le lingue. Tante proposte ma mancava un’educazione integrale». I giovani sanno fare tante cose, ma fanno fatica a crescere e a vivere. Di qui la necessità di rilanciare l’oratorio «dove è prioritaria l’attenzione alla persona».

Per mons. Enrico Solmi, presidente della Commissione famiglia e vita e vescovo di Parma, l’oratorio «è un luogo dove con poco si fa tanto, dove i ragazzi vanno senza spendere e vanno i figli di tutti, anche quelli che hanno un disagio in famiglia, dove trovano mamme, laici e insegnanti disponibili, dove possono giocare in modo libero e non griffato, con quello che hanno addosso». Nei 6mila oratori italiani ci sono volontari silenziosi e non pagati, che svolgono un’attività socialmente utile e senza lucro; c’è la rete dei campi e delle squadre di calcio – un preziosissimo ruolo svolge il Centro sportivo italiano (Csi) – e la rete dei media, essenziale per i «nativi digitali».

L’oratorio poggia sul Vangelo, sullo sguardo d’amore di Gesù ai giovani, sulla comunità educativa che collabora con la famiglia, che offre una prospettiva vocazionale, che vuole formare cittadini onesti e cristiani maturi. Oggi come ieri «è luogo di evangelizzazione e di gioiosa trasmissione della fede, è ambiente accogliente che fa proposte chiare, che educa a un protagonismo responsabile». Dunque è necessario rilanciare gli oratori, «laboratori educativi», a beneficio dei giovani.

Il giornalista de «Il Sole 24 ore» Giuseppe Rusconi nel documentato volume «L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno» (Rubbettino, 2013, pagine 137) spiega che l’8 per mille è spesso giudicato una sovvenzione ingiustificata dello Stato alla Chiesa. Ricordando le feroci, e spesso ingiuste, polemiche sull’Imu, secondo le ultime statistiche la Chiesa, a fronte del miliardo di euro che riceve dai contribuenti, restituisce dieci volte tanto in beni e servizi. E calcola in 210 milioni di euro il contributo che gli oratori offrono alla società come servizi e opportunità.

Pier Giuseppe Accornero

 

 



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