Maritain, profeta di se stesso

Ricordare che il 28 aprile 1973 il maggiore filosofo cattolico del nostro tempo, Jacques Maritain muore, solo e povero, a Tolosa, dove si era ritirato nelle baracche dei Piccoli Fratelli di Gesù, dopo la morte nel 1960 della moglie Raïssa Oumançoff, con la quale aveva condiviso, nell’amore e nella sofferenza, battaglie culturali e politiche in Europa e in America, non è una commemorazione storica, ma un annuncio profetico.

Il suo pensiero non fu capito, fu osteggiato, le sue opere hanno rischiato di essere messe all’indice, eppure conteneva i germi del dialogo ecumenico e interreligioso, della comprensione tra i popoli, di una democrazia personalista non succube dei partiti, di un’economia rispettosa della natura e finalizzata al bene dell’umanità, fino ad ipotizzare idealmente una società senza denaro.

Questo pensiero è stato accolto ed elaborato nei documenti conclusivi del Concilio Vaticano II (1962-1965) tanto che Maritain ne «Il contadino della Garonna» (1966) erompe in una serie di exultet, di cui ne trascrivo un paio: «Si esulta al pensiero che la giusta idea della libertà, questa libertà a cui l’uomo aspira dal più profondo del suo essere e che è uno dei privilegi dello spirito, è ormai riconosciuta e messa in onore tra le grandi idee direttrici della sapienza cristiana»; «Si esulta al pensiero che la Chiesa riconosce e dichiara, più esplicitamente che mai, il valore, la bellezza, la dignità proprie di questo mondo».         

Perciò parlare di Maritain non è celebrare il passato, ma guardare al futuro come lui stesso si immagina in un curioso autoritratto «Chi sono io dunque? Un professore? Non lo credo; ho insegnato per necessità. Uno scrittore? Forse. Un filosofo? Lo spero. Ma anche una specie di romantico della giustizia troppo pronto ad immaginarsi, ad ogni combattimento, che fra gli uomini sorgerà senz'altro il giorno della giustizia come della verità. Forse sono anche una specie di rabdomante con l'orecchio incollato alla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste, l'impercettibile fruscio delle germinazioni nascoste».

Il segreto di questo paziente restare in ascolto delle «germinazioni nascoste» non è altro che il bisogno di cercare la verità sul mistero dell’esistere: lui protestante e anarchico, lei un’ebrea russa, che si sposano civilmente a vent’anni, sono insoddisfatti dell’insegnamento scientista dei loro maestri alla Sorbona, e decidono di suicidarsi se non avessero trovato la verità. Li salva Henri Bergson, che al College de France spiega, attraverso la mistica di Plotino, come sia possibile entrare in relazione con l’Assoluto. Poi incontrano uno scrittore apocalittico, Léon Bloy, che nei suoi romanzi testimonia che solo l’amore di Cristo è la salvezza dell’uomo; e li accompagna a ricevere il battesimo nella Chiesa cattolica nel 1906. Ma loro, da intellettuali laici, cercano la verità anche a livello della intelligenza umana, e la scoperta della filosofia di san Tommaso soddisfa questo bisogno. Fondano a casa loro i «Circoli tomistici» che si diffondono in Svizzera, in Belgio, in Inghilterra e che, tra il 1922 e il 1939, tengono ben quindici convegni annuali a cui partecipano filosofi e teologi, romanzieri e poeti, musicisti e pittori.

Il 4 luglio 1939 Jacques, avuto il permesso del Vescovo, con ebrei e protestanti, islamici e ortodossi, partecipa alla Sorbona al Congresso mondiale dei credenti per i diritti della persona umana e tiene una conferenza sul tema «Chi è il mio prossimo?». E’ una conferenza importante, che svilupperà in seguito in altre sue opere. Premette che non si tratta né di arrestarsi a non so quale minimo comune di verità, né di apporre alle convinzioni di ciascuno una specie di indice dubitativo comune, perché non si può rinunciare alla verità.

Maritain afferma che il problema è risolvibile in quanto non si tratta di mettere insieme dei sistemi di valore, ma delle persone umane. Bisogna distinguere tra la teoresi, nella quale ciascuno, in nome della verità, non può che essere fedele a quanto sa, e la prassi, nella quale ciascuno, in nome dell'amore, deve rispettare il prossimo, perché solo Dio può giudicare i cuori. Maritain precisa che è bene non parlare di tolleranza, perché la verità non può essere compromessa, ma di fellowship, cioè di «amicizia fraterna, nel rispetto delle convinzioni che ciascuno professa».

Maritain non solo teorizza questa amicizia tra persone di diversa convinzione ideologica, ma la vive nelle sue relazioni sociali. Durante l’esilio in America, al tempo del Secondo conflitto mondiale, quando Bella Chagall muore a New York nel 1944 è Maritain tiene che tiene l’orazione funebre al cimitero ebraico: «Sono confuso di dovere parlare qui dove il dolore e la preghiera prima di tutto è di casa. Ma poiché qui, io e i miei, siamo tra i più vecchi amici di Bella e Marc Chagall, e dei loro figli, cercherò di dire qualcosa a nome di tutti gli amici… Dai giorni meravigliosi del vostro fidanzamento a Vitebsk, mio caro Marc, Bella è stata la luce della vostra vita e della vostra arte. Essa aveva subito riconosciuto la fiamma misteriosa che il Dio dei poeti ha messo in voi e si è donata con tutto il suo cuore a quest’avventura eroica che è l’avventura dell’arte, in un puro artista come voi…

«Ella non vi ha lasciato, mio caro Marc, essa sarà presente, invisibilmente, ma più realmente che mai, nella vostra opera, vi abituerà all’invisibile; vi chiede di lavorare per amor suo e voi l’immortalerete quaggiù con il vostro lavoro. Lei la cui anima immortale ci ha preceduto là dove ogni verità è svelata. Mia cara Bella, lo spirito delle sinagoghe, povere e ferventi, canta nel vostro cuore. Salutando con pietà il vostro corpo, che risusciterà nell’ultimo giorno, noi preghiamo, con tutto il nostro cuore, per voi e per coloro che voi amate».

Il problema della connessione tra verità e libertà, tra rispetto delle convinzioni e rispetto delle persone, si pone non solo nella comunità ecclesiale, a livello religioso, ma anche nella società civile a livello politico Nel 1947 Maritain, allora ambasciatore della Repubblica francese presso la Santa Sede, tiene a Città del Messico il discorso inaugurale sul tema «Le vie della pace» alla Seconda conferenza internazionale dell’Unesco.

Afferma che uomini appartenenti a fedi e culture diverse possano concordare nella formulazione della Carta dei diritti dell’uomo su alcuni punti pratici, ciascuno motivandolo teoreticamente in modo diverso. Si possono così superare le ideologie che dividono ed oppongono fra di loro gli uomini e garantire insieme la verità e la libertà, in una «fede civile comune» come fondamento del vivere democratico. Per Maritain il pluralismo necessario nella società civile, non è una filosofia, quasi che tutti potessero avere ragione, ma solo una metodologia politica.

Questi due problemi, l’amicizia di carità e l’amicizia civile, si intersecano e comportano il superamento dello Stato confessionale, ad esempio dello Stato cattolico o dello Stato islamico. Maritain analizza questa problematica nel volume «L’Uomo e lo Stato». Constata che la sovranità risiede nel popolo, ma viene da Dio. Distingue tra il corpo politico e lo Stato, che non è che l’amministrazione del corpo politico e conclude che lo Stato di fronte alla confessioni religiose presenti nel suo territorio dev’essere non «neutro», in una sorta di laicismo areligioso, ma «neutrale».

Queste idee sono espresse da Maritain anche in una lettera a Paolo VI del 2 novembre 1965 in cui scrive: «Per evitare ogni malinteso, è opportuno aggiungere che se il corpo politico non ha alcun diritto di imporre la sua autorità sugli spiriti in materia di fede religiosa (o altro), lui stesso in compenso ha dei doveri verso Dio secondo come lo conosce e verso la verità religiosa secondo come, in virtù delle tradizioni storiche all’opera in lui, il popolo che costituisce tale corpo politico, conosce più o meno questa verità».

L’ultima profezia la troviamo in un articolo dal titolo significativo «Le due grandi Patrie», pubblicato su  «Le Monde» nel marzo del 1973, un mese prima della morte: noi abbiamo due case, una quaggiù nel mondo, che dobbiamo popolare e migliorare, la “città dell’uomo”, anche se sappiamo che è una dimora provvisoria, perché ne abbiamo un'altra in cielo nel “Regno di Dio” alla quale possiamo accedere solo se avremo vissuto nell’amore fraterno quaggiù, come ci avvisa il Vangelo.

«Un giorno verrà (è la mia speranza per le nuove generazioni) che questa grande Patria che è il Mondo, ritroverà in buon parte, in mezzo a nuovi mali secondo la legge della storia del mondo, il vero fine per cui è stata creata e una nuova civiltà darà agli uomini, non certo la perfetta felicità, ma una condizione più degna e più felice di vita sulla terra. Perché io penso che la stupefacente pazienza di Dio non si sia esaurita e che il giudizio finale non sia per domani».         

Piero Viotto



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