La vita al centro della società giusta

La Pacem in terris è una pietra miliare del magistero pontificio in materia sociale. Oltre a rivolgersi, per la prima volta nella storia, anche a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, ispira, sulla pace universale e planetaria, sia la Gaudium et spes (7 dicembre 1965, nn. 77-93) del Vaticano II sia il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (29 giugno 2004, nn.488-520).

Pure la lettera enciclica Caritas in veritate (29 giugno 2009, n. 51; 55; 72) di Benedetto XVI, richiama alcuni passaggi nevralgici della Pacem in Terris: passaggi che mettono in relazione il diritto alla pace sociale col diritto allo sviluppo integrale dell’uomo e del genere umano.

Oggi, a cinquant’anni dall’11 aprile 1963, l’enciclica Pacem in terris fa ancora scuola, soprattutto sui fondamenti teologici, antropologici ed etici dei diritti umani: fondamenti che, qui, noi analizziamo criticamente e attualizziamo politicamente.

«In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che perciò sono universali, inviolabili, inalienabili» (EE, 7/549). In prima istanza, quindi, i diritti umani sono «universali» perché sussistono nell’essere (A. Rosmini) della persona (Boezio), in ogni tempo e in ogni luogo; sono, inoltre, «inviolabili» perché la loro violazione coincide con la violazione di un dovere obbligatorio e inderogabile; sono, ancora, «inalienabili» perché la loro privazione coincide col violentare la stessa natura umana.

A questi tre princìpi, Giovanni Paolo II aggiunge, nel 1998, quello dell’«indivisibilità» che esplicita la natura unitaria e infrazionabile dell’essere umano, creato, maschio e femmina, «a immagine di Dio» (cf Gn 1,27).

«Ogni essere umano», dice l’enciclica, «ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e di ogni altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà» (EE, 7/551).

Con le lettere encicliche Centesimus annus (1° maggio 1991) ed Evangelium vitae (25 marzo 1995) il fondamentale diritto all’esistenza viene assorbito nel diritto alla vita che diventa, così, il primo, radicale e trasversale, diritto umano da cui dipendono e in cui convergono tutti gli altri diritti umani; il diritto alla vita – dal concepimento al suo esito naturale – personalizza, quindi, la totalità dei diritti umani perché è la dignità della stessa vita umana che contiene, in sé e per sé, l’intero di tutti gli altri diritti elencati e non elencati dalla Pacem in terris.

Gli sviluppi dell’ingegneria genetica e delle biotecnologie applicate alla cura dell’essere umano vanno considerati a servizio del bene della vita umana perché il bene della vita umana è il fine e non il mezzo di ogni azione morale, volta a rispettare la vocazione storica e trascendente di ogni uomo e di tutto l’uomo.

«Ogni essere umano», continua la Pacem in terris, «ha il diritto al rispetto della sua persona: alla buona reputazione: alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, entro i limiti consentiti dall’ordine morale e del bene comune; e ha il diritto all’obiettività dell’informazione» (EE/,552). Questi diritti, riguardanti i valori morali, si sono essenzializzati ed estesi intorno ai quattro valori trascendentali o regolativi ed etici della Pacem in terris che sono la verità, la giustizia, la libertà e l’amore. Questi valori sono, inoltre, gli stessi valori su cui poggia una società buona.

La verità della dignità della vita della persona è la sua vocazione storica e trascendente; è, cioè, la sua “vita in relazione” orizzontale e verticale. Senza apertura alla trascendenza non si dà nessun fondamento alla ricerca del bene dell’uomo e del mondo. Stesso discorso vale per la giustizia: il rispetto della persona è un valore naturale e metagiuridico che una comunità politica o uno Stato democratico e pluralista è tenuto non soltanto a tutelare (attraverso l’ordinamento giuridico positivo) ma anche a promuovere attraverso la formazione di un’educazione civica e virtuosa e l’istituzione di strutture sociali di pace.

In uno Stato sociale di diritto, come il nostro, il rispetto della persona precede il rispetto del cittadino: ciò esige una più ponderata correlazione tra i diritti soggettivi e i diritti oggettivi della persona. La libertà, inoltre, è la risultante della verità giustificata; la libertà che conduce alla “pace sociale” non si riduce, quindi, all’esercizio del libero arbitrio, ma all’esercizio del libero dono di sé all’altro: in altre parole, la libertà nasce dalla verità e sfocia nel bene dell’altro; è ciò che si chiama la «libertà solidale», che anima la libertà religiosa e la libertà della retta coscienza (cf EE. 7/554).

Il valore dell’amore ha, infine, un profondo valore sociale perché la società non è un ente astratto ma è l’insieme delle relazioni interfamiliari del corpo politico. In questa direzione, si dovrebbe approfondire il pensiero di Platone sull’amore e sull’amicizia sociale.

«Agli esseri umani è inerente il diritto alla libera iniziativa in campo economico e il diritto al lavoro» (EE 7/558). Questi diritti, attinenti al mondo economico, sono stati, in certo senso, vivisezionati dalla Rerum novarum (15 maggio 1891) di Leone XIII in avanti: soprattutto dalla Laborem exercens (14 settembre 1981) di Giovanni Paolo II che parla del diritto al lavoro come insieme dei diritti realizzativi della vocazione maschile e femminile; diritti che rendono l’uomo più uomo. Svincolato dall’esclusiva variante produttiva ed economicistica, il lavoro umano è, quindi, un valore oggettivo che va praticato da tutti e da ciascuno; è, inoltre, un valore sociale e politico di solidarietà reale perché, nel lavoro, tutti e ciascuno sono corresponsabili della «vita buona» degli altri.

Il diritto al lavoro è, pertanto, un diritto vitale, è un diritto alla vita storica dell’uomo: senza lavoro, l’uomo diminuisce non soltanto nel suo essere ma nella sua stessa dignità. In merito, la Caritas in veritate (cf nn.34-42) mette bene in luce la “cifra fraterna e civile” di un corretto sviluppo economico.

Infine, oltre al diritto alla libertà nella scelta proprio stato, al diritto di riunione e di associazione, al diritto di emigrazione e immigrazione, la Pacem in terris s’interessa dei diritti a contenuto politico che prevedono la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica e il loro concorso all’attuazione del bene comune, giuridicamente tutelato da un ordinamento positivo e giusto.

Recentemente, la dottrina sociale della Chiesa riguardante la pace nel mondo ha allargato i propri orizzonti, ponendo all’ordine del giorno della politica internazionale e globale l’illiceità morale della guerra attiva, il diritto a restare nella propria Nazione e il diritto alla salvaguardia del creato.

Tommaso Turi



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