La bimba "depurata" dall'Aids materno

Sono ancora così grandi i numeri delle persone infettate dal virus dell’Hiv (Human immunodeficiency virus) e affette da Aids che ogni notizia di guarigione suscita un’attenzione notevole da parte dei mass media. L’ultima, in ordine di tempo, è la “guarigione” di una bimba nata da madre sieropositiva.

La trasmissione verticale madre-figlio è, purtroppo, la causa principale di Aids pediatrico. La malattia è trasmessa dalle madri infette ai figli in tre modi: in utero mediante la diffusione placentare; durante la nascita nel passaggio del canale del parto infetto e dopo la nascita con l’allattamento al seno. Gli ultimi due modi sono i più comuni, mentre è possibile ridurre, o addirittura eliminare, l’infezione attraverso la placenta, adottando una terapia antiretrovirale in gravidanza. In questo modo, negli Stati Uniti, l’infezione in gravidanza è stata virtualmente eliminata. I casi residui sono dovuti, soprattutto, a donne che non sanno di averla o che non seguono la terapia antiretrovirale. Questo è proprio il caso della bambina guarita: la madre non sapeva di avere la malattia e non era in terapia.

Presentata alla Ventesima conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche svoltasi ad Atlanta, negli Stati Uniti, all’inizio del mese, la nuova scoperta potrebbe aprire la strada alla eliminazione dell’infezione da Hiv in età pediatrica. Punto di forza è che non è una nuova terapia,  ma una variante delle indicazioni dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per casi in età pediatrica, che prevedono un trattamento profilattico a basse dosi di antiretrovirali per alcune settimane. Il team di ricercatori del Johns Hopkings Children Centre, diretto dalla virologa Deborah Persaud, in collaborazione con Hannah Gay, una pediatra specialista nelle infezioni da Hiv entro le trenta ore dalla nascita, ha somministrato alla bambina la terapia a dosi normali. Il trattamento è proseguito per 18 mesi, seguiti da una interruzione  imprevista.  Alla ripresa della terapia, la bimba è risultata negativa ai normali test per l’Hiv e ai test sull’acido nucleico, in grado di evidenziare il materiale genetico del virus. Mai, in precedenza, era stato raggiunto un risultato del genere. «La terapia antivirale nei neonati, che inizia a pochi giorni di esposizione», ha detto Deborah Persaud, «può aiutarli a eliminare il virus e a raggiungere una remissione a lungo termine, impedendo così la formazione di nascondigli virali». I medici sono cauti, preferiscono parlare di «guarigione funzionale». Il virus, infatti, non è del tutto scomparso dall’organismo della bimba, ma potrebbe essere nella condizione di non riprodursi e proliferare.

Per capire meglio la portata del risultato, occorre capire il ciclo vitale dell’Hiv. Bersagli preferiti del virus sono il sistema immunitario, in particolare i linfociti T cd4+ e quelli T helper, i macrofagi e le cellule dendritiche, e il sistema nervoso centrale. Sommariamente il meccanismo d’infezione è il seguente. Alcune proteine particolari presenti sull’involucro del virus si legano con le molecole Cd4 dei linfociti T e, mediante passaggi successivi, l’Hiv entra nella cellula ospite e si fonde con essa.  Qui, mediante l’enzima trascrittasi inversa, l’Rna del virus forma frammenti di Dna che sono integrati in quello della cellula ospite. A questo punto il gioco è fatto. Quando il Dna della cellula si moltiplica, moltiplica pure quello del virus, che  prolifera. Nel caso della bimba test specifici hanno rivelato risultati molto promettenti: le colture dei linfociti T cd4+ non hanno portato alla replicazione di Hiv che, se ci fosse stato, sarebbe proliferato e nel Dna dell’Hiv non sono state trovate sequenze Ltr (Long terminal repeat), che sono capaci di trascriversi autonomamente. Quest’ultimo dato è il più promettente, in quanto le sequenze Ltr sono necessarie per avviare il processo di trascrizione del virus. La loro assenza potrebbe essere la ragione per cui il virus non ha più la capacità di proliferare. E’ questa complessità del quadro clinico che induce i medici a  parlare di «guarigione funzionale» e non di remissione assoluta dell’infezione. «Il nostro prossimo passo», ha detto Deborah Persaud, «è quello di scoprire se questa è una risposta insolita o qualcosa che si può replicare in altri neonati ad alto rischio».

L’Aids in età pediatrica è un problema molto serio. Gli ultimi dati diffusi dall’Onu parlano di 3 milioni e 300 mila bambini, sotto i 15 anni, contagiati dall’Hiv. Nel solo 2011 sono stati 330 mila e la maggior parte vive in Paesi dell’Africa subsahariana. «Nel 2011», sostiene l’Unicef, «circa 900 bambini ogni giorno sono stati contagiati dall'Hiv. Ciò equivale a dire che un nuovo contagio su 7, a livello globale, concerne bambini sotto i 15 anni». Tra i 65 Stati a basso e medio reddito che hanno fornito i dati, si rileva che in media solo il 28 per cento dei bambini esposti al rischio di contagio da Hiv ha potuto effettuare il test rapido entro i primi due mesi di vita. «Purtroppo», sostiene ancora l’Unicef, «i bambini sieropositivi restano ancora troppo indietro nell'accesso alle cure di cui hanno bisogno. Dei 2 milioni che si stima abbiano bisogno di questi farmaci, nel 2011 solo il 28 per cento li ha ricevuti, rispetto al 54 per cento dei pazienti adulti».

Tuttavia, proprio tra i bambini si è avuto il maggior successo nella prevenzione. Secondo il Rapporto del 2012 dell’Onu sull’Aids, il 50 per cento della riduzione dell’incidenza mondiale dell’Hiv è avvenuto tra i più piccoli, a causa della diffusione dei programmi di prevenzione della trasmissione del virus tra madre e figlio. Miglioramenti significativi si sono avuti anche nell’Africa subsahariana. In Burundi, Kenya, Namibia, Sudafrica, Togo e Zambia la riduzione dell’infezione in età pediatrica è stata del 40 per cento. Non bisogna comunque pensare che il problema riguardi solo il Continente nero, anche in Italia la malattia è diffusa. Nel 2011 la trasmissione dell’infezione da madre a figlio durante la gravidanza ha contribuito per lo 0,5 per cento del totale dei casi segnalati. Secondo la Lila (Lega italiana per la lotta all'Aids) «ben il 3 per cento del totale delle nuove diagnosi da Hiv accade in gravidanza». Un dato su cui riflettere che può significare scarsa consapevolezza e prevenzione.

Pasquale Pellegrini

 



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016