Un vento nuovo e un sogno antico

Mi piace pensare che ci siano stati due conclavi. Uno nella Cappella Sistina, dove si sono riuniti i 115 cardinali, l’altro in Paradiso, dove si sono dati appuntamento i cardinali che là abitano. Di questi non ci è dato di sapere il numero, ma abbiamo sicuri motivi di pensare che fra loro ci fosse un cardinale arrivato da non molto, il cardinale Carlo Maria Martini, che di papa Francesco era amico.

Mi piace pensarlo perché l’elezione di questo nuovo Pontefice sembra più che mai un’opera guidata dallo Spirito Santo, che sa trasformare anche le vie storte in vie diritte. Lo conferma quel vento nuovo che tutti abbiamo avvertito. Quelle parole e comportamenti inediti che stanno arrivando dal soglio pontificio, che di colpo hanno accorciato le distanze fra il massimo rappresentante di Cristo in terra e la comunità dei credenti e dei non credenti. Un «prete di strada», «un prete itinerante», l’ha definito con simpatia il laico Eugenio Scalari, che ha subito ricordato l’amicizia fra il card. Martini e Jorge Maria Bergoglio. Un «Papa sul sagrato», direbbe mons. Bregantini, che alla Chiesa del sagrato ha dedicato, quando era vescovo a Locri, una bellissima Lettera pastorale. E come papa Francesco ha dimostrato di voler essere domenica scorsa, dopo avere celebrato la messa nella romana parrocchia di Sant’Anna, rompendo il protocollo e uscendo sulla strada a salutare i fedeli. Stringendo mani, abbracciando le madri e baciando i bimbi, ascoltando con affabile e sorridente disponibilità le rapide confidenze.

Ma sono state soprattutto le sue frasi familiari, quel «buonasera» con il quale ha esordito, salutando la folla di piazza San Pietro, durante la sua prima apparizione, e poi il discorrere conviviale, familiare dei giorni seguenti. quel «buon pranzo»,a conclusione del suo primo Angelus, ad aprirgli il cuore delle persone, stanche di tante parole oggi inutili e convenzionali. Spesso incomprensibili. A spalancargli le porte delle case e a farlo sentire come «il Papa della porta accanto». Sono indizi che spingono a sperare che da questo inizio così fuori da schemi collaudati, da questi colpi d’ala, che hanno fatto vibrare i cuori, nasca per la Chiesa una stagione nuova.

Il regista Ermanno Olmi nella sua intensa e sofferta «Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù» (Piemme), pubblicata in queste settimane, ha espresso i sentimenti di tutti coloro che vogliono guardare oltre i tanti malesseri che hanno turbato negli ultimi anni la comunità ecclesiale. Ha interpretato quel bisogno di un rinnovamento radicale della Chiesa che già papa Benedetto XVI chiedeva e che papa Francesco sembra avere preso in carico con la semplicità di un uomo che cerca di camminare con la mano nella mano con Dio. Ma anche insieme a quei credenti ai quali ha chiesto di pregare per lui. Con quel popolo che affollava piazza San Pietro, dinanzi al quale, nel silenzio, si è inchinato, scendendo idealmente fra loro e accanto a loro, come ha fatto fa Cristo nelle strade di Galilea di ieri e di oggi.

Ha scritto Olmi: «Questo è il tempo in cui non sono più ammessi rinvii, né ambiguità. Né accomodamenti provvisori. E’ venuto il tempo, cara Chiesa della verità, di una testimonianza eroica e di questa testimonianza dovrà farsi paladino ciascuno dei suoi fedeli». Parole nelle quali risuonano quelle dell’ultima intervista, pubblicata dal «Corriere della Sera», del card. Martini, quando chiede che «la Chiesa, carica di orpelli e di addobbi, rimasta indietro di duecento anni», percorra «un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». E quando s’interroga: «Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?».

Scegliendo il nome Francesco, con tutti i significati innovatori e rivoluzionari che si porta al seguito, Jorge Mario Bergoglio ha risposto a queste domande e attese. Ci ha riconsegnato un sogno. Quello di una Chiesa «dove i pastori abbiano il coraggio di indossare il grembiule della ferialità e non solo i paramenti liturgici delle solennità, simbolo di una autorità che serve, ascolta, partecipa, cerca e accoglie soprattutto gli ultimi e gli esclusi, gli emarginati e i disperati. Una Chiesa pellegrina sulle strade del mondo per incontrare, come Cristo, i poveri di oggi e annunciare che il Regno di Dio appartiene proprio a loro». Lo ha dichiarato su «Famiglia Cristiana» suor Eugenia Bonetti, missionaria infaticabile della Consolata.

Una Chiesa che valorizzi la presenza dei laici, una presenza che continua ad essere tenuta ai margini, raramente coinvolta in un confronto che abbatta le barriere e riconosca responsabilità condivise, scelte comuni. «I laici sono discepoli scelti da Dio per aiutare la Chiesa a rimanere lontana dal potere e vicina agli ultimi. Non esistono paletti e regole da rispettare per amarlo e non sono quattro mura che possano diventare esclusive dell’amore di Dio», mi ha detto un grande e profetico vescovo, mons. Raffaele Nogaro.

E ancora una Chiesa che non sacrifichi le persone al mantenimento delle istituzioni religiose, divenute così pesanti ed obsolete da spegnere il vento dello Spirito. «La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita… Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via, quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno potremo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo», disse il card. Martini nella sua intervista.

In questo sogno le donne sperano per il mondo femminile una stagione nuova. «Chi più della donna potrebbe aiutare a capire il significato di “una Chiesa come Madre”, lei che per vocazione e missione è chiamata a essere genitrice e portatrice di vita? Soltanto così potrebbe presentarsi davvero con un volto di Madre per un’umanità nuova come Cristo l’ha pensata e voluta», dice ancora suor Eugenia Bonetti che, insieme a tante religiose e laiche chiede «un Sinodo speciale sulla donna, per la donna e con la donna. Segnerebbe veramente un cambiamento epocale». Donne che svolgano non soltanto ruoli di supplenza, non siano solo portatrici di acqua, ma assolvano a ruoli autorevoli nei gangli della vita ecclesiastica. E la cui specifica esperienza quotidiana di Dio sia posta al centro della vita della Chiesa.

La comunità dei credenti deve essere pronta a collaborare con il suo Pastore perché questo sogno venga realizzato e la Chiesa diventi “una casa” dove tutti si sentono abbracciati con autentico amore. Mi ha detto ancora il Vescovo Nogaro: «L’amore è il vero alfabeto della vita. Ti porta ad accogliere ogni situazione come grazia e aiuta Dio a vincere le dinamiche che affliggono gli uomini». E la stessa Chiesa.

Mariapia Bonanate

 



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