La falena che tutto bruciava

«Nel silenzio de le tristi nevi/come rosa sbocciasti»: con soli due versi Ada Negri canta Marie Bashkirtseff, nata a Gavronzi, in Ucraina, il 24 novembre 1858, in una piccola famiglia nobile di provincia in cui riceve un'istruzione francese.

Quando la piccola compie un anno la madre abbandona il marito. Marie, così, passa la sua infanzia con lei, nella regione di Kharkov. Dopo avere effettuato alcuni soggiorni a Vienna e Ginevra, si trasferisce a Nizza nel 1871. Collerica e intollerante ad ogni ingiunzione, tuttavia dimostra sensibilità artistica e un talento versatile: possiede un’ottima voce, educata con passione e rigore, dipinge con raffinatezza e scrive con una vena brillante e romantica, fin dai 14 anni. Interessata di conoscenza, Marie studia l'inglese, il tedesco, l'italiano, il greco e il latino, e scrive un diario fluviale, che contribuirà in gran parte alla sua celebrità. Nonostante le pressioni di chi vorrebbe vederla sposa, sente l’esigenza di vivere pienamente la sua età e di potersi dedicare all'arte, la sua passione.

La grande frattura della sua personalità è comunque riconducibile ad una sconfitta sentimentale: innamorata del duca di Hamilton, conosciuto a Baden–Baden, vede prescelta una principessa al posto suo. L’interrogativo “chi sono?” serpeggiò sempre nel suo animo e trovò esplicitazione in una frase scritta nel 1876 nel suo diario: «Chiunque io divenga, lascerò in eredità al pubblico il mio diario». L’eccezionalità del diario non è solo auspicata dall’autrice, ma un fatto reale constatato dalla critica e dagli storici, proprio perché il diario femminile in quel tempo era venato solo di religiosità, sia nel versante matrimoniale sia in quello di una consacrazione a Dio, mentre Marie è diversa e diverso è il lascito: «Il solo diario laico dell’io».

A Parigi Marie dipinge e frequenta per due anni l’Académie Julian, una delle rare scuole ad accettare le donne. Le sue opere sono quadri, ritratti e sculture, che il maestro Tony Robert-Fleury, insieme con la critica, loda molto. Solo l’arte è il perno del suo vivere tanto da essere riconosciuta come una «falena bruciante e irradiante di cui ci resta la luce». Il diario è costellato da pensieri, questioni, interrogativi sulla religione, sempre in contrasto la critica dell’Illuminismo, scossa dalla fede del carbonaio, anelante ad una gioia consolatrice. É un assillo che rode il suo animo, ma che non trova una ragione o un’accoglienza della fede: «Ho creduto che la ricerca dell’assoluto fosse del tutto diversa, perché anch’io ricerco l’assoluto. Ma l’assoluto dei sentimenti è l’assoluto in ogni cosa. É quanto mi fa pensare e scrivere quarantamila tentennamenti dopo di cui davvero arrivo, ma di fianco e mai di faccia».

Una sete di totalità avvinghiava il suo animo. Marie vedeva in tutto aspetti interessanti e sublimi, voleva sempre tutto, ma per tutto tenere e tutto possedere, non per tutto donare. Anelava a confondersi con il tutto e poi morire, magari giovane, ma morire nell’estasi, proprio per sperimentare tutto, chiudendosi alla storia oppure aprendosi al divino. Sempre in un altalenante, sofferente sentire.

La Bashkirtseff è è una sorta di donna pioniere dell’arte, che spezza un modello di giovanetta tardo romantico, ambiziosa ma di forme angeliche, che si adegua alle norme sociali, magari con sotteso l’intento di procacciarsi così facendo un buon partito. Se in lei non mancava il bell’aspetto, la buona voce, un’educazione cosmopolita, era pure presente una grande coscienza di sé, laica, ma sicura della propria dignità di donna artista.

A soli 22 anni Marie dovette accettare che la sordità che si accompagnava alla tubercolosi, si andasse accentuando, tanto da indurla a scrivere il proprio testamento. Rapidamente la sua salute si aggravò, ma non spense l’ispirazione artistica. Si sarebbe dovuta trasferire in una località dal clima mite, ma non volle abbandonare Parigi, probabilmente presaga della sua fine ineluttabile e desiderosa di portare a compimento le sue opere, soprattutto i commoventi ritratti che rispecchiano il profondo dell’animo dell’autrice..

Se è vero che Marie frequentava la migliore società parigina e ritraeva grandi e importanti personaggi, tuttavia il suo studio era aperto anche agli umili, ai poveri. Nonostante l’avanzare della malattia disegnava, leggeva, esponeva quadri, si faceva scattare immagini in posa da celebri fotografi e con toilettes eleganti. Una sorta di corsa per trattenere quanto più a lungo possibile la vita, per esprimere intelligenza e talenti fino all’ultima goccia. Un grido pervade il diario: «Verrà un giorno in cui in tutta la terra, il mio nome si estenderà come un tuono», «un nome che è bello, sonoro, inebriante, scritto o pronunciato: la gloria!».

A 25 anni, sapendo che sono gli ultimi mesi della sua vita, cominciò una conversazione epistolare con Guy de Maupassant. Consumata dalla tubercolosi, Marie morì il 31 ottobre 1884, mettendo fine alla sua ricca ed esuberante vitalità. Temeva che, una volta chiusi gli occhi, gli altri avrebbero frugato fra le sue cose, nessuno avrebbe letto il suo diario e quindi l’avrebbero distrutto. Di lei niente sarebbe rimasto: «Morire mi ha sempre spaventato. Vivere, avere tante ambizioni, soffrire, piangere, combattere e, infine, l’oblio. L’oblio... come se non fossi mai esistita».

Cristiana Dobner

 



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