Sempre meno lettori

«Un tempo l’ignorante si vergognava della propria ignoranza. Oggi quasi se ne vanta, e comunque la sbandiera arrogantemente». Parole profetiche, scritte da Giovanni Arpino sulle pagine di questo giornale nel lontano 1985, e diventate attualissime.

Questo atteggiamento becero spiega perché oggi si vendono sempre meno libri, perché la massa non legge, perché tante librerie chiudono i battenti. La lettura è un rito solitario e silenzioso, mentre la gente ama il rumore e preferisce inondare il pianeta di sms col proprio cellulare. Il libro funziona soltanto all’interno delle fiere, perché lì diventa il pretesto di un gioco spettacolare dove ci si mette in mostra. Lo scrittore lo si ascolta come se fosse un incantatore di serpenti, ma non lo si legge. L’importante per la massa è “esserci”, entrare in contatto con un personaggio più o meno famoso, poterlo toccare, farsi fare un autografo su un libro che magari non si leggerà mai, vedere ed essere visti, insomma diventare in qualche modo protagonisti dell’Evento. Per questa ragione, come scriveva Pier Luigi Battista sul «Corriere della Sera» dell’anno scorso, «non c’è contraddizione tra la crisi di vendite del libro e il trionfo dell’Evento che lo celebra».

A chi vuole essere informato sulla situazione dell’industria editoriale suggeriamo «Tirature ‘13» (Il Saggiatore, pp. 287, euro 23,00), osservatorio annuale su autori, editori e pubblico. Il filo conduttore del volume, curato da Vittorio Spinazzola, da decenni grande esperto di sociologia del libro, è «Le emozioni romanzesche», che sono la materia privilegiata della narrativa. Nel 1974 Italo Calvino, parlando de «La storia» di Elsa Morante, osservava che la commozione è un «ingrediente necessario» del romanzo popolare. Forse lui pensava ai grandi romanzi dell’Ottocento, di Hugo, Dumas, Sue e Dickens, mentre oggi il modello più diffuso è quello delle «Cinquanta sfumature di grigio», storia d’amore tra Christian, un giovane manager di successo, elegante, fascinoso e con lo sguardo “torbido”, e Anastasia, una fanciulla vergine e sprovveduta, il tutto condito da scene ridondanti di erotismo. L’industria del rosa, iniziata in Italia nel 1981 con la serie di Harmony, è sfociata nel boom del romanzo sentimentale erotico. Quando si è detto che il livello di scrittura di Harmony è superiore a quello delle sfumature di grigio, di rosso e di nero, la trilogia della James che da mesi impazza nelle classifiche dei libri più venduti, non c’è bisogno di altri commenti.

Oltre al “rosa”, i vari interventi raccolti nel volume riguardano il “giallo”, che rimane il genere più richiesto dal pubblico, il fumetto, la poesia, l’e-book, il prezzo dei libri, il lettore digitale, i supplementi culturali dei quotidiani e la figura del libraio.

Per ora, in Italia l’acquisto di libri digitali riguarda soltanto l’1 per cento rispetto ai volumi cartacei, però l’eccessiva produzione editoriale (sessantamila titoli all’anno pubblicati) ha creato uno squilibrio forte tra l’offerta e la domanda, con la conseguenza che milioni di volumi finiscono al macero, anche perché i costi di magazzino sono sempre più alti. Kundera ha già messo le mani avanti ponendo come clausola che i suoi romanzi possano essere pubblicati soltanto in forma cartacea.

Tra la fine del 2010 e del 2011 i lettori in genere sono calati del 10 per cento, mentre i lettori forti, quelli che leggono almeno un libro al mese, sono diminuiti del 20 per cento. E’ una situazione preoccupante, che relega l’Italia a fanalino di coda in Europa per l’acquisto di libri e determina la chiusura di molte librerie, sia indipendenti che di catena. «In pochi anni sono sparite dai centri urbani molte librerie che hanno segnato la storia delle rispettive città: perdita enorme, che non è solo un danno imprenditoriale, ma soprattutto culturale», scrive Stefano Salis nel suo intervento.

Le librerie indipendenti e di qualità sono oggi quelle più a rischio, sia perché non possono permettersi sconti sui libri come fanno le librerie di catena, sia per il costo proibitivo degli affitti. Qui vanno registrate due perdite incolmabili per la nostra anima: la figura del libraio, colto e informato, che rappresentava per il cliente un punto di riferimento essenziale per orientarsi nell’acquisto di un libro, non solo tra gli scaffali delle novità, ma soprattutto tra quelli dei libri di catalogo, e lo spazio della libreria, in quanto luogo fisico ed emotivo, esteticamente inserito nella topografia del quartiere e occasione di incontri salutari per la nostra vita.

Nell’ultimo decennio hanno chiuso i battenti la libreria Guida a Napoli, la libreria Croce a Roma, le librerie Campus, Arethusa, Druetto e Petrini a Torino. E non c’è più, da diversi decenni, la Shakespeare & Company, la leggendaria libreria di rue de l’Odéon a Parigi, lanciata da Sylvia Beach, che a sue spese pubblicò l’«Ulisse» di Joyce, il suo cliente prediletto. L’unico settore librario in leggero rialzo è quello del modernariato, cioè delle librerie dell’usato, come la catena del Libraccio, che hanno il doppio vantaggio di offrire volumi introvabili altrove e a prezzi più bassi, eccetto naturalmente alcune prime edizioni.

Anche gli editori, soprattutto i grandi come la Mondadori, hanno le loro colpe, perché in quest’ultimo ventennio hanno scelto di giocare al ribasso invece che al rialzo, all’insegna del motto “guadagno subito e se perdo dopo pazienza”. Ne è un esempio la prestigiosa collana dei Meridiani, lanciati in edicola a prezzo stracciato ma con carta più scadente, con il risultato che oggi è assai più difficile vendere a 50 o 60 euro i volumi autentici e non taroccati.

Massimo Romano

 



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016