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La Chiesa e la Rete: nuova vita
Sulla Rete «si vive», dunque. E la Chiesa, «chiamata a vivere lì dove vivono gli uomini», trova nell’ambiente digitale un suo luogo ideale. Come dire: Chiesa e Rete sono da sempre destinate a incontrarsi. Non è un caso se lo stesso Benedetto XVI il 3 dicembre scorso ha inaugurato la sua presenza su Twitter aprendo l’account @pontifex.it. A riflettere su Chiesa, evangelizzazione e comunicazione ai tempi di Internet è stato padre Antonio Spadaro, gesuita, classe ‘66, dall’ottobre 2011 direttore della prestigiosa rivista della Compagnia di Gesù «La Civiltà Cattolica» («la più antica delle riviste italiane ancora attive: fondata nel 1850 per volontà di Pio IX, non ha mai interrotto le pubblicazioni») e consultore del Pontificio consiglio per le Comunicazioni sociali, ma anche ideatore di www.cyberteologia.it, un blog di cyber teologia «intesa come intelligenza della fede al tempo della Rete» e di BombaCarta, una delle prime esperienze di scrittura creativa nate su Internet. Blogger di nascita e cyber teologo di professione, padre Spadaro è stato invitato la settimana scorsa all'Istituto Sociale di Torino per tenere una lectio magistralis sul tema «La ricerca del senso al tempo della Rete: una nuova sfida per la scuola». Un titolo impegnativo, ha detto in apertura padre Vitangelo Carlo Maria Denora, gestore dell’Istituto dei padri gesuiti, per un obiettivo ambizioso: riflettere non tanto su come «usare bene» la Rete, ma su come «vivere bene» al tempo di Internet e dei social network. Le domande di senso aperte ancora oggi, e che l’uomo si pone da sempre, si ritrovano in Rete esattamente come nella vita ordinaria. La Rete in questo senso è una rivoluzione «antica», che replica bisogni ancestrali dell’uomo: conoscere la realtà (pensiamo a Google, cioè ai motori di ricerca) ed entrare in relazione con gli altri (Facebook, Twitter, cioè i social network). Come dire: bisogni antichi declinati in chiave moderna. «La Rete», ha spiegato padre Spadaro, «non è un nuovo mezzo di comunicazione. Considerare Internet semplicemente come un new media, che segue buon ultimo la stampa, la radio e la televisione, sarebbe non solo riduttivo, ma profondamente sbagliato. Internet è molto di più: è un nuovo modo di essere. Se ci pensate bene in rete non passano soltanto parole e immagini, ma idee e sentimenti. Gli uomini mettono in rete i propri cervelli, creando una sorta di “intelligenza connettiva”: pensano e riflettono insieme». Un genio gesuita che di nome fa Theilard de Chardin, ricorda padre Spadaro, nel 1947 scriveva che «le reti radiofoniche anticipavano una sintonizzazione dei cervelli che si collegano. Bene, oggi quella sintonizzazione grazie ad Internet e ai social network è davvero in atto». La 47ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (l’unica voluta dal Concilio Vaticano II) che si è svolta nel gennaio scorso ha tentato una nuova, coraggiosa interpretazione della Rete. E, in particolare, dei social network, collegando ad essi non soltanto la «verità» (come ha fatto il Messaggio del 2011), ma anche la «fede» e l’«evangelizzazione». Il tema scelto, «Reti sociali: porte di verità e di fede: nuovi spazi di evangelizzazione», dimostra come la Chiesa comprenda il significato e la portata di questa rivoluzione e si stia attrezzando per affrontare un’ampia riflessione su fede e comunicazione. Padre Spadaro, da buon filosofo, è categorico: la Rete non è un mezzo, ma un’esperienza. Internet non è uno strumento, ma un nuovo contesto esistenziale. Le nuova tecnologie digitali hanno dato origine a un nuovo spazio sociale. Spiega ai giovani della generazione 2.0 e ai loro insegnanti presenti in sala: «La Rete non è un luogo dal quale entrare e poi uscire, ma un luogo nel quale vivere 24 ore su 24, sette giorni su sette. Tutti noi siamo connessi, basta uno smartphone, cioè un cellulare di ultima generazione, per essere collegati con la famiglia, il lavoro, gli amici, il mondo. Non c’è più una vita on line e una vita off line. Dobbiamo cominciare a pensare che esiste una vita e basta. E questa vita non può prescindere dalla Rete». La Rete allora è un luogo di condivisione di conoscenza, valori e significati? Sì, risponde padre Spadaro, e racconta la storia di un suo giovane studente nigeriano alla Gregoriana di Roma che alla domanda «che cosa rappresenta per te il computer?» gli rispose: «Io amo il mio computer, perché dentro ci sono tutti i miei amici…». Una risposta fulminante, essenziale, vera. Ma allora se il computer è parte della nostra vita perché «dentro» passa la nostra vita, allora anche parte della nostra ricerca di senso passa attraverso la Rete? «Sì», risponde ancora Spadaro, «la Rete fa parte della nostra capacità di conoscere la realtà». La Rete è quindi un ambiente «reale» di relazioni. Come spiegano bene queste tre metafore: «In principio fu la bussola che indicava il Nord. L’uomo-bussola nella sua ricerca di senso era attratto dall’unica via naturale, cioè Dio. Poi con la seconda metà del Novecento arriva il radar, che rivela la posizione di oggetti fissi o mobili. L’uomo-radar va alla ricerca di senso a 360 gradi, si mette in ascolto della Parola di Dio e lo trova. Oggi l’uomo è legato al suo cellulare, alla Rete, più che essere alla ricerca di segnali, è posto nella condizione di riceverli: prima vengono le risposte, poi le domande». Nella lectio magistralis di padre Spadaro si prospetta una vera e propria rivoluzione copernicana: l’uomo contemporaneo, bombardato da messaggi 24 ore su 24, non ha bisogno di altre notizie, ma di strumenti per decodificarle. La sfida per la generazione 2.0 è quella di saper scegliere per avere contenuti di qualità. Come scegliere, allora, tra migliaia di informazioni? La logica di Twitter è quella delle «relazioni», per cui segui la persona credibile perché la ritieni affidabile: diventi cioè follower di una persona perché senti che ti dà contenuti di valore. Nella società digitale, secondo il direttore di «Civiltà Cattolica», il modello da sposare è quello della «condivisione». Fare informazione oggi non significa semplicemente trasmettere una notizia (broadcasting), ma condividerla (sharing) attraverso una rete di relazioni. Se prima il pubblico era passivo, oggi interagisce con la notizia e normalmente quando la notizia è condivisa all’interno di un network sociale diventa aperta al commento, all’integrazione o alla smentita. «Come ha detto una giornalista americana che si occupa di media, scrivere sulla carta significa scrivere un pezzo che ha una “testa”, un “corpo” e una “conclusione”; scrivere una notizia sui social network significa avere un articolo che ha una “testa e un corpo”, ma poi “lascia aperta la conclusione” perché la scrive il lettore con i suoi commenti, le sue reazioni, i suoi feedback». «La Chiesa», ha spiegato ancora Spadaro, «si è resa conto che la Rete si sta radicando come contesto esistenziale dentro il quale le persone si incontrano e pensano insieme. Non sarebbe possibile che la Chiesa lì non fosse presente, perché deve esserci dove sono gli uomini; non è solo un problema di comunicazione, ma anche di vocazione della Chiesa chiamata ad essere lì dove le persone vivono». La comunicazione all’interno di questo discorso gioca un ruolo fondamentale: siccome la Chiesa ha le sue basi nelle relazioni di comunione e nella comunicazione di un messaggio che è quello del Vangelo, si può dire che trova nella Rete un luogo ideale. «Chiesa e Rete», secondo padre Spadaro, «sono da sempre destinate ad incontrarsi: in fondo la Chiesa si fonda sulla comunicazione di un messaggio e su relazioni di comunione e la Rete a sua volta si fonda sulle relazioni tra le persone e la condivisione dei messaggi». Come dire, i due pilastri che reggono la Chiesa e la Rete sono identici. Ma la Chiesa dalla sua ha una “marcia in più”: sa riempire un mondo, reale e digitale, accusato di superficialità. Le domande di senso, la ricerca dello spirituale diventano una sorta di hacker, qualcosa capace di «rompere» il sistema, aprendo la macchina alla trascendenza. Come diceva il Messaggio 2013 della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali: «La capacità di usare nuovi linguaggi è richiesta non certo per essere al passo coi tempi, ma per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare nuove forme di espressione capaci di raggiungere le menti e il cuore di tutti». Al principio, c’è sempre Dio. Cristina Mauro
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