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Un uomo fra gli uominiLunedì 11 febbraio scorso l’orologio della storia si è fermato. La rinuncia di Benedetto XVI al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, ha attraversato il mondo in tempo reale, creando una sospensione attonita e stupita che si è avvertita fisicamente nell’aria. Come se regole e comportamenti, codificati da secoli in uno dei luoghi più visibili del mondo, riguardanti uno dei personaggi più conosciuti del pianeta, fossero state di colpo ribaltati. Nell’immaginario collettivo della società laica e di quella dei credenti, è stato come «un fulmine a ciel sereno» che ha illuminato uno scenario nuovo e rivoluzionario. Ha come di colpo riumanizzato una Chiesa che si avvertiva sempre più prigioniera di schemi fissi. Perché la sintesi della rinuncia di Benedetto XVI, tradotta in termini alla portata di tutti, è stata: «Non ce la faccio più». Il riconoscere, da parte della massima autorità della Chiesa, questi limiti umani, è stato come avvertire nei confronti del Pontefice una familiarità che, per certi versi, ha evangelizzato più di un documento pontificio o di un’enciclica. Non solo perché, «uomo fra gli uomini», ha riavvicinato nell’intimità di una condizione umana, quella della fragilità, che crea fra le persone una solidarietà e una comunione unica, intuizioni profonde e spesso profetiche, ma perché ha messo al primo posto quell’amore «che è il vero alfabeto della vita. Porta ad accogliere ogni situazione come grazia e aiuta Dio a vincere le dinamiche negative che affliggono gli uomini», come ha detto dal silenzio della sua malattia un grande vescovo, mons. Raffaele Nogaro. Quello di Benedetto XVI è stato innanzitutto un grande gesto d’amore. Verso la Chiesa, verso la comunità dei credenti, verso il mondo tutto. Non è stato per Lui facile scegliere di mettersi da parte, sia per motivi personali che per motivi legati al suo ruolo pubblico. Non è stato facile prendere una decisione nei confronti della propria coscienza «a lungo interrogata», come Lui stesso ha dichiarato. Così è stato molto coraggioso creare una crepa in quello spazio del potere, della visibilità, del successo, dell’onnipotenza che domina la vita di oggi, compresa quella di molta Chiesa. Scegliere di andare ad abitare in quella “terra di nessuno”, dove vive nascosta e dimenticata la popolazione dei “senza voce”, degli emarginati, dei deboli, di chi vive in balia delle proprie infermità. Anche se il luogo dove Lui andrà e si ritirerà in preghiera, come ha detto, dove si dedicherà ai suoi studi di teologia e alla sua musica, sarà pur sempre un luogo privilegiato, il significato simbolico del suo gesto rimane quello di una scelta della parte più fragile dell’umanità. Un privilegiare il potere dell’amore contro l’amore del potere. Un gesto “teologico” che rispecchia le parole che Dietrich Bonhoeffer scrisse nel lager di Flossenburg: «Dio non ci salva in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù dell’impotenza che ha vissuto in Cristo, fattosi uguale a noi». Ma anche una decisione che ha laicizzato e modernizzato la Chiesa. Scendere da un soglio pontificio è stato un gesto dinamico, ha portato un’aria nuova in un immobilismo che spesso viene giustificato per salvare privilegi, per la paura di immettere dei cambiamenti, per mancanza di fiducia in un futuro che potrebbero non essere controllato. Come la presenza delle donne in ruoli autorevoli e decisionali nella Chiesa. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, l’allora cardinale Joseph Ratzinger scrisse una «Lettera sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo» la cui eco spesso è rimbalzata nei discorsi del suo pontificato. «Si deve accogliere la testimonianza resa dalla vita delle donne come rivelazione di valori senza i quali l’umanità si chiuderebbe nell’autosufficienza, nei sogni di potere e nel dramma della violenza». E poi aveva aggiunto, parlando degli atteggiamenti che devono disegnare l’identità della vita cristiana, l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, l’attesa e la lode: «Pur trattandosi di atteggiamenti che dovrebbero essere tipici di ogni battezzato, di fatto è caratteristica della donna viverli con particolare intensità e naturalezza. In tal modo le donne svolgono un ruolo di massima importanza nella vita ecclesiale, richiamando tali disposizioni a tutti i battezzati e contribuendo in modo unico a manifestare il vero volto della Chiesa, sposa di Cristo e madre dei credenti». E’ stato Lui, in persona, a volere che nella redazione dell’«Osservatore Romano», tutta al maschile, entrassero alcune giornaliste e a favorire l’uscita mensile di un inserto tutto dedicato ai problemi e alle attese delle donne. Segnali di un’attenzione a quella “metà del cielo” in lista d’attesa per essere riconosciuta nella comunità dei credenti e nella Chiesa come quel nucleo vivo, autorevole, più libero dal potere, che con la sua forza vitale, con quel “genio femminile” di cui parlava papa Giovanni Paolo II, può rivitalizzare la Chiesa e portare avanti quella umanizzazione e modernizzazione che la rinuncia di Benedetto XVI ha avviato. Sempre che la si voglia leggere nella sua, forse inconscia, profezia. Mariapia Bonanate
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