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Non ordina solo CesareIl prof. Umberto Galimberti sulla rivista «Donna» di Repubblica del 2 febbraio scorso sviluppa una riflessione sul tema difficile e delicato del rapporto tra leggi dello Stato e convinzioni del cittadino. La sua conclusione sembra a prima vista ovvia: il cittadino deve ubbidire alle leggi emanate dal legislatore. Ma questo principio non appare più così ovvio quando per confermare la sua tesi cita il caso di Antigone. Antigone dà sepoltura al fratello, contravvenendo alla legge del re di Tebe, perché ritiene di dover ubbidire più alle leggi del sangue e degli dèi che all’ordine del re, Creonte. Il prof. Galimberti, seguendo la dottrina di Hegel, condanna questa decisione di Antigone. La sua conclusione: «Sofocle, mettendo in scena il conflitto tra la legge del sangue, della parentela, degli dèi e la legge della città, offre, nel V secolo a.C., un grande tema su cui riflettere e intorno a cui decidere da che parte stare. Noi italiani non abbiamo ancora del tutto imparato a stare senza esitazioni dalla parte delle leggi della città. E questa è senz’altro ciò che ancora è alla base della nostra arretratezza e del nostro mancato sviluppo». Se questa conclusione fosse vera allora dovremmo dire che tutti quei cittadini che non denunciavano gli ebrei, e gli stessi gli ebrei che non denunciavano i loro famigliari al tempo dello Shoah, erano da condannare, perché la legge ordinava che tutti i cittadini dovessero ubbidire alla legge che imponeva questa denuncia; come pure sarebbero stati da condannare i vari Perlasca che, rischiando la vita, sono andati contro la legge, mentre al contrario i giudici al processo di Norimberga avrebbero dovuto non solo assolvere, ma elogiare i criminali nazisti che si sono difesi trincerandosi dietro l’affermazione: «Ho solo ubbidito a quanto mi veniva comandato». Ubbidire a Dio o agli uomini? Al cristiano vengono in mente subito le parole di Pietro: «E’ meglio obbedire a Dio che agli uomini», e addirittura le parole di Gesù che dice di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Per Galimberti c’è solo Cesare. Dio e la coscienza dell’uomo scompaiono. E’ evidente che Galimberti incorre in un grosso errore. L’errore nasce ancora una volta dalla dimenticanza di quella legge elementare della logica che veniva indicata con l’espressione ignorantia elenchi, e che in questo caso potrebbe essere tradotta con l’espressione italiana: nel suo ragionamento usa le parole in modo approssimativo e sbagliato, funzionale alla sua tesi. Un esempio. «La legge del sangue innesca la catena delle vendette». Si può immediatamente opporre che la legge del sangue può essere all’origine di due comportamenti diversi: o la vendetta, con tutto quello che ne consegue, o la dedizione amorosa ai famigliari. E l’attenzione affettuosa ai famigliari può a sua volta essere all’origine di favoritismi e quindi di ingiustizie, o di appoggio e sostegno nel difficile cammino della vita. Mettere il vincolo del sangue all’origine esclusivamente della vendetta è miopìa intellettuale e può diventare pregiudizio che deforma tutti i ragionamenti successivi. Un altro esempio: dire che le leggi dello Stato prevalgono su qualunque altra legge è un semplicismo che può esprimere pigrizia intellettuale, o ignoranza, o apertura ai regimi dittatoriali. Tutte le dittature si sono servite di questo principio per togliere ogni libertà e imporre regimi distruttivi dell’uomo. E se questi regimi non hanno prevalso si deve al fatto che molti cittadini appellandosi ad “altre leggi” si sono opposti e li hanno abbattuti. Anche lo Stato deve ubbidire ad “altre” leggi superiori Galimberti avrebbe dovuto ricordare un principio elementare: lo Stato non è superiore alla persona e le leggi dello Stato sono valide nella misura in cui promuovono e difendono la persona, o almeno non la danneggiano. Non possiamo dimenticare che le legge è per definizione è una ordinatio rationis ab eo qui curam communitatis habet ordinata. E’ un ordinamento della ragione e non della sragione, ed è ordinata alla promozione del bene comune o non alla sua distruzione. Per cui se una legge va contro la ragione o contro il bene comune non è più legge, ma, come dice san Tommaso, è un arbitrium; e chi la emana non è più una autorità, ma un tiranno (non est amplius auctoritas, sed tyramnus). Come pure avrebbe dovuto ricordare un altro principio elementare: che l’obbedienza dell’uomo non consiste nell’eseguire pedissequamente quanto viene comandato, come avviene per gli animali in un circo, ma comporta due tempi: il primo è la valutazione di quanto viene comandato sia per capire bene l’intenzione del legislatore e così mettere in esecuzione quanto comanda nel miglior modo possibile, sia perché essendo una essere razionale agisce dopo avere valutato quello che gli viene comandato per decidere se accettarlo o rifiutarlo se lo considera dannoso; il secondo è la ricerca del comportamento più adeguato per mettere in esecuzione quanto viene comandato o per rifiutare quanto la legge comanda. San Tommaso descrive molto bene questa ubbidienza umana quando dice che l’ubbidiente muove se stesso nel momento in cui è mosso dal comando (movet seipsum dum movetur). Non esiste per l’uomo l’obbedienza cieca e assoluta, perché l’uomo è sempre responsabile di quello che fa anche quando agisce sotto comando. La famosa espressione perinde ac cadaver ha valore nel linguaggio ascetico con un significato ben preciso e non può essere portato nel rapporto tra Stato e cittadino. E’ vero che si può obiettare che non è possibile dire tutto nella risposta ad un lettore; ma è anche vero che non si può presentare come fattore di arretratezza e di mancato sviluppo il rifiutare di «stare senza esitazione dalla parte delle leggi della città». In certi casi opporsi alla legge è segno di amore per l’uomo e fattore di crescita della convivenza sociale, naturalmente a condizione che l’opposizione non sia frutto di capriccio o di interesse personale, ma l’affermazione e la promozione di ciò che è buono e giusto. Giordano Muraro o.p.
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