Il Vangelo del lavoro

«Noi vescovi vorremmo annunciare oggi, con particolare persuasione, il Vangelo del lavoro», che è «definitorio dell’umano, bene prioritario anche nei periodi di recessione economica». E’ un proclama, un’agenda antropologica, sociale e civile quella che il presidente dell’episcopato italiano, cardinale Angelo Bagnasco, ha lanciato aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, a meno di un mese dalle elezioni politiche.

I vescovi registrano «con cuore afflitto» che la condizione di indigenza si è estesa e ha colpito fasce prima non toccate. Un fenomeno «da non esagerare in termini catastrofici», ma che non si può e non si deve esorcizzare, ossia ignorare e sottovalutare. «La disoccupazione giovanile è una sorta di epidemia che non trova argini». E i giovani, rileva Bagnasco, «non sono per noi invisibili». E se in qualche modo «il baratro» è stato scongiurato con i tagli e le misure di austerità, ora «è il momento decisivo e irrimandabile del rilancio».

Malgrado la gravità della situazione e in presenza di un «Paese stanco di populismi e reticenze» di varia provenienza e colore, i presuli avanzano proposte costruttive (si prospetta addirittura una «bio-economia» in parallelo a un «bio-diritto» e a un «bio-partito»), perché «la ripresa, quando ci sarà, non sarà tale purtroppo da porre rimedio da sola alle emergenze». Pertanto «va posto in discussione il sistema e cioè il meccanismo consumi-spesa-debito pubblico abbandonando la logica delle “illusioni” che ha fatalmente mostrato la propria assoluta inadeguatezza morale e pratica». «Rivoluzionare il modello», dice Bagnasco, «grazie al supporto di un pensiero nuovo». Bisogna che «le competenze migliori cooperino in uno sforzo solidale e così ogni istituzione, affinché si possa vedere e toccare il rilancio dell’occupazione e dell’economia; rilancio per il quale la gente ha accettato sacrifici anche pesanti. Tanto patrimonio di responsabilità e rigore, di dignità e adattamento, non può andare sprecato per colpa di alcuno, e invece si deve cominciare a vederne i frutti. Non può essere il capitale umano quello che per primo viene messo in discussione quando un’industria è in sofferenza».

E di nuovo l’attenzione va ai giovani «non disposti ad arrendersi. A loro siamo particolarmente vicini in ogni momento di disillusione, ma anche in ogni tentativo che conducono: in ogni curriculum che inviano, ad ogni porta a cui bussano, siamo con loro per appoggiare la loro tenacia». E ancora altre proposte. «Bisogna che il sistema sappia migliorare le prestazioni e innovare nel senso della sostenibilità, della ricerca, della sicurezza. Bisogna affinare le eccellenze, sveltire i processi, alleggerire la macchina burocratica, valorizzare continuamente la creatività e l’inventiva. E bisogna abbandonare la logica dell’essere contro “a prescindere”, atteggiamento che appare come un’offesa all’intelligenza e alla serietà delle questioni. La logica del sospetto ideologico genera divisioni artificiose, contraccolpi indesiderati, ritorsioni a loro volta superficiali e dolorose».

In particolare sulla sanità, il cardinale da una parte condanna «gli imbrogli, i maneggi, le astuzie che si consumano in un settore ad altissima vocazione altruistica», ma dall’altra prende le distanze «da logiche irrazionalmente pretenziose e talora esclusivamente campanilistiche». Bisogna andare oltre. «La politica dei tagli sia compensata e guidata dal criterio che al centro vi sia sempre la persona del paziente, quale che sia la sua età e condizione. Ci sono specialità, competenze e ricerche che vanno strategicamente preservate. Non ci devono essere privilegi, ma neppure visioni ristrette o punitive».

E’ politica questa? «A noi non interessa far politica», ha specificato Bagnasco nella sua articolata prolusione. Nell’enciclica Deus caritas est Benedetto XVI era stato chiaro: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile». Ma se la Chiesa «non è chiamata a caricare immediatamente su di sé il compito politico, non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia». E’ questo «il binario a cui strettamente ci atteniamo», ha precisato l’arcivescovo di Genova. E l’analisi si amplia. «Gli italiani non chiedono l’impossibile, esigono piuttosto che nessuno dei sacrifici compiuti vada deviato o perduto. E che a partire da questi sacrifici si allestisca l’intelaiatura di una ripresa concreta, diffusa, equa». Un obiettivo che è «insieme morale e politico» e che potrà essere concretamente raggiunto «se non manca ora la capacità di autocritica, l’abbandono di ogni automatico addebito ad altri, la determinazione di non raggirare domani gli impegni assunti con l’elettorato oggi».

Il tono sale e penetra nel vivo: «La gente vuole che la politica cessi di essere una via indecorosa per l’arricchimento personale. Per questo s’impone un potere disciplinare affidabile e una regolazione rigorosa affinché il malcostume della corruzione sia sventato, tenendo conto però che a poco servono le necessarie leggi se le coscienze continuano a respirare una cultura che esalta il successo e la ricchezza facile, anziché l’onore del dovere compiuto». Un monito pertanto «a quanti sono in campo», ossia ai candidati, ai quali la Chiesa «osa oggi richiedere parole chiare circa le proprie personali intenzioni, e alle formazioni politiche l’impegno su programmi espliciti, non infarciti di ambiguità lessicali e tattiche».

Non vuole e non intende fare politica, la Chiesa, ma «dire Gesù, il Prototipo dell’umanità, il Centro della storia e del mondo, l’Amico, il Sostegno, il Conforto e la Speranza affidabile». Ecco la premessa e la conclusione ecclesiale, pastorale, il richiamo alla fede, nell’Anno che le è dedicato, «di questa sessione del Consiglio permanente della Cei, come un avvertimento a che nessuno strumentalizzi gerarchia, clero e cattolici militanti. «Nessuno possa negare», ricorda Bagnasco, «che siamo dentro a un travaglio storico delicatissimo e intricato». La Chiesa italiana se ne occupa seguendo il Magistero di Benedetto XVI, citato a piene mani dai messaggi, dalle encicliche, dalle omelie, dai discorsi, dai libri che proprio sulla fede si incentrano in questo nuovo anno che il cardinale definisce «cruciale» e che proprio per questo richiede un supplemento di fede e la consapevolezza di potersi «affidare alla gioia». Dunque, la vita del popolo, della gente, la vita pubblica e sociale è all’attenzione della Chiesa nella luce di un’esigenza più alta, universale e particolare al tempo stesso, mondiale e nazionale, italiana, europea e intercontinentale.

Antonio Sassone

 



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