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Montepaschi, storia italiana fra errori finanziari e politiciA prescindere dalle ipotesi penali che in questi giorni sembrano sempre più farsi strada e dal ruolo giocato dal ricorso disinvolto a strumenti di finanza strutturata (i cosiddetti «derivati») per coprire perdite pregresse, e di cui si tratta autorevolmente in altra parte del giornale, preme in questa sede osservare che i problemi di Banca Montepaschi nascono comunque da problematiche squisitamente “industriali”, di posizionamento competitivo e di governance della crescita. Purtroppo, senza intenzione di infierire ulteriormente utilizzando lo slogan pubblicitario della stessa Mps, si tratta in tutto e per tutto di una “storia italiana”, fatta di esasperato localismo da un lato e di tentativi dell’ultima ora (i magistrati e gli organi di vigilanza diranno quanto improvvidi e quanto penalmente sanzionabili) di assumere dimensioni globali, più adeguate al nuovo scenario competitivo. Sotto il primo aspetto, quello del localismo, Monte dei Paschi rappresenta forse l’esempio più emblematico, nel contesto del capitalismo dei distretti industriali italiani, del legame tra banca locale, sviluppo economico e potere politico. Un modello tipicamente italiano ma che, nel bene e nel male (si pensi alle casse di risparmio spagnole o alle banche regionali dei diversi Lander tedeschi, non a caso anch’esse alle prese con situazioni tutt’altro che tranquillizzanti) è presente anche in altri Paesi. Sia chiaro che un profondo legame tra banca e territorio di riferimento è, sotto molti punti di vista, un elemento positivo. L’eccezionale sviluppo delle piccole e medie imprese distrettuali italiane nel secondo dopoguerra è stato reso possibile anche dalla possibilità di ricorrere al sostegno creditizio di istituzioni profondamente radicate sul territorio, e quindi in grado di affrontare e risolvere con cognizione di causa i problemi della clientela, alla luce della conoscenza diretta dei sistemi produttivi locali e del conseguente posizionamento delle diverse imprese. L’idea è in sostanza che le banche distrettuali, come per molti aspetti, anche se su scala molto ampia, riferita almeno all’intero territorio toscano, è stata Montepaschi, possano approfondire la conoscenza delle specifiche problematiche delle imprese dell’area, trattandole con crescente efficienza. Più in generale, l’esperienza che si accumula nei contesti distrettuali consentirebbe di rilevare con più precisione lo specifico grado di rischio di una certa impresa anche stando al suo esterno, grazie alla circolazione di informazioni sul territorio e alla capacità della banca di individuare la posizione relativa dell’impresa rispetto alle altre realtà produttive del distretto. In un contesto locale, insomma, si verrebbe a ridurre l’asimmetria informativa tra il management delle imprese industriali e il potenziale fornitore esterno di mezzi finanziari, in quanto il mercato dei capitali si rivelerebbe in grado di gestire meglio le informazioni e quindi consentirebbe di allocare meglio i fondi, evitando strategie di tassi alti prudenziali, ossia politiche di penalizzazione delle imprese sul fronte del costo e della disponibilità di credito, legate ad una politica cautelativa della banca a fronte delle insufficienti informazioni disponibili. L’intreccio, anche personale (nelle figure dei vertici degli istituti di credito) tra banca locale, imprenditoria locale e politica economica locale, che oggi viene così pesantemente stigmatizzato, può anche dare vita, e per molto tempo è stato così, anche nel caso di Mps, ad un sistema in cui emerge un vantaggio competitivo nella raccolta delle informazioni sui potenziali debitori. Se infatti banchiere e piccolo imprenditore condividono lo stesso background imprenditoriale locale, possono operare meccanismi incentivanti che garantiscono una sorta di controllo reciproco tra i membri della comunità (peer monitoring) limitando i rischi di collusione. In questo senso la banca locale si concentra nel lavoro con l’imprenditoria locale non solo per un “obbligo morale” verso il territorio di riferimento, ma perché il radicamento nell’economia locale le fornisce un vantaggio competitivo rispetto a qualsiasi altra banca priva dello stesso radicamento. E’ come se l’economia locale si ponesse al servizio della banca locale per ridurre le carenze informative. Il modello entra in crisi, e così è stato anche nel caso di Montepaschi, quando la dimensione distrettuale non si rivela più adeguata al nuovo scenario competitivo e la struttura economica del territorio vede progressivamente diminuire la propria autoreferenzialità. Da un lato le imprese locali delocalizzano, vanno a produrre in altri Paesi, moltiplicano le occasioni di collaborazione con soggetti esterni al territorio, che la banca di riferimento fa sempre più fatica a conoscere. Ciò spinge la banca ad assumere dimensioni più consone ai caratteri globali del nuovo scenario, ma tale processo di crescita deve essere finanziato e l’esigenza di disporre delle necessarie risorse può scontrarsi con il desiderio di mantenere in mani locali il controllo (che ha avuto un ruolo decisivo, in negativo, nella vicenda Montepaschi). Nel caso specifico, la crescita è stata perseguita, fino a raggiungere il terzo posto nella classifica dei Gruppi bancari italiani, attraverso acquisizioni a prezzi giudicati comunque elevatissimi (al di là degli eventuali profili di reato che potranno evidenziarsi) effettuate in tutta fretta, per non perdere l’ultimo treno dell’espansione territoriale, proprio alla vigilia della crisi che avrebbe travolto la finanza internazionale nel 2008, con pagamenti cash estremamente onerosi per evitare una eccessiva diluizione del pacchetto di controllo detenuto dalla Fondazione Mps e mantenere così il controllo in mani senesi, quando è risaputo che nel caso di grandi operazioni di questo genere il pagamento si fa solitamente in azioni (ossia assegnando ai soci dell’impresa incorporata o acquisita titoli dell’incorporante o acquirente per un valore corrispondente al prezzo pattuito). Proiettarsi verso il mondo mantenendo tutto nelle mani della “Repubblica di Siena”: è stato il paradosso e il grande errore di Montepaschi, della sua città e delle sue forze politiche, ma è anche la metafora delle debolezze del capitalismo italiano nell’era della globalizzazione. Antonio Abate
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