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Un'altra guerra molto pericolosaSi chiama Mokhtar Belmokhtar, detto “il guercio” (ha perduto un occhio in Afghanistan) ed è considerato l’uomo dietro le quinte che controlla e teleguida i miliziani salafiti di Aqmi, sigla di “Al Qaeda nel Maghreb islamico”. E’ stato lui a rivendicare a nome di Al Qaeda, in un video diffuso sul sito web Sahara Media, l’attacco all’impianto di pompaggio del gas di In Amenas, situato nel deserto sudorientale algerino, vicino al confine con la Libia. L’esercito algerino ha sgominato i jihadisti che avevano attaccato l’impianto, ma il blitz, la sera di sabato 19 gennaio, ha avuto un tragico epilogo: vistisi perduti, i miliziani, islamici hanno giustiziato uno dopo l’altro i sette ostaggi rimasti. Ne avevano già assassinati 18, di varie nazionalità (ma a quanto pare nessun italiano), da quando, mercoledì 16 gennaio, avevano occupato il complesso. Il bilancio è pesante: i morti sarebbero almeno 80, tra cui 48 ostaggi e 32 guerriglieri salafiti. Il governo algerino è avaro di precisazioni e di cifre, soprattutto per quel che riguarda i tecnici stranieri uccisi dai fanatici islamici. Il Giappone riferisce che dieci suoi cittadini mancano all’appello, mentre il premier britannico ha confermato la morte di tre suoi concittadini. Altri tre britannici mancano all’appello e le vittime restanti sarebbero di nazionalità norvegese, francese, statunitense e romena oltre che algerina. Ma il video di Mokhtar è importante anche per vari altri motivi: il primo è che il leader dei fanatici islamici ha stabilito un legame fra l’attacco al complesso per l’estrazione del gas in Algeria e l’intervento dell’esercito francese contro i gruppi armati fondamentalisti che da quasi un anno occupano il territorio settentrionale del Mali. L’intervento è stato deciso dal presidente socialista Hollande il 12 gennaio, quando si è sparsa la notizia che gli islamisti marciavano su Bamako, la capitale del Mali. I bombardamenti aerei francesi hanno bloccato l’avanzata e costretto i miliziani islamici a evacuare le città più importanti del Mali settentrionale come Gao e Timbuctù. Un’altra città, Diabali, 400 km a nord di Bamako, è stata liberata. Nel frattempo, Parigi ha inviato truppe terrestri nell’ex colonia africana, più di 2 mila uomini che da Bamako si dirigono a nord, affiancati da soldati maliani e da piccoli contingenti di militari di altri Paesi africani (in particolare Ciad e Nigeria). L’intervento francese ha ottenuto la luce verde del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e l’approvazione della maggior parte dei Paesi europei. Alcuni di questi (Germania, Gran Bretagna, Italia) si sino detti pronti a mettere a disposizione delle forze armate francese i loro mezzi logistici. Lo stesso hanno fatto gli Stati Uniti. Quanto al legame tra l’operazione in Algeria e il conflitto nel Mali, l’emiro Mokhtar Belmokhtar ha dichiarato, nel video diffuso sul sito Sahara Media, di essere pronto a negoziare con l’Algeria e con i Paesi occidentali, a condizione che cessi la guerra nel Mali. Il tono minaccioso dell’emiro fa temere altre azioni degli islamisti, altri attacchi contro strutture industriali nell’Africa settentrionale, o attentati a Parigi e in altre città francesi o britanniche. Giorni fa, i fanatici, in un comunicato diffuso in Mali, avevano minacciato di «colpire il cuore della Francia». Sul piano politico, l’operazione militate francese in Mali rischia di avere delle conseguenze incresciose. In un primo tempo, si è costituita attorno al presidente socialista Hollande una specie di union sacréé: l’opinione pubblica, la stampa, i politici di destra e di sinistra (con l’eccezione degli estremi, destra e sinistra), tutti si sono schierati compatti dietro Hollande. La Francia è storicamente, e ancora oggi, una nazione che non si è mai completamente liberata dal militarismo. E’ sintomatico che il presidente socialista, la cui popolarità era crollata ai minimi storici, e al quale si rimproverava fra l’altro di essere indeciso, forse addirittura debole, o comunque poco energico, abbia voluto dimostrare di essere all’altezza della sua funzione. Da presidente “normale” a “fulmine di guerra”, ha deciso l’intervento in Mali senza consultare il Parlamento, assumendo con determinazione il ruolo di capo delle forze armate assegnatogli dalla Costituzione delle Quinta Repubblica, come se volesse recuperare prestigio sulla punta dei fucili. La sua popolarità è risalita, nei sondaggi, ma di un punto solo: segno che i francesi sono ancora scettici sulla metamorfosi del loro presidente. Anche perché, come ha sottolineato una parte della stampa, la Francia socialista è andata a combattere in Mali contro gli stessi islamisti che Parigi appoggia in Siria. Bisogna anche dire che la straordinaria (e un po’ sconcertante) union sacrée dei primi giorni si è andata via via sgretolando, lentamente ma sicuramente. Sono in molti, nel microcosmo politico transalpino, soprattutto a destra, a chiedersi se la mossa si Hollande sia soltanto un’azione necessaria e inevitabile contro il terrorismo, oppure se non ci sia, in questa operazione militare, una puzza di neocolonialismo. Il primo a parlare di «neocolonialismo» è stato l’ex presidente della repubblica Giscard d’Estaing, seguito a ruota da altri esponenti del centrodestra. I portavoce dell’Ump (il partito di Sarkozy) denunciano l’impreparazione della Francia, che ha agito precipitosamente senza misurare le conseguenze di un intervento che non è un’operazione lampo ma rischia di prolungarsi nel tempo. Il Mali viene paragonato all’Afghanistan, ma con una differenza sostanziale: mentre in Afghanistan gli americani erano riusciti a convincere i loro principali alleati occidentali a inviare truppe, in Mali la Francia è quasi completamente isolata. A parte lo sparuto aiuto di piccoli contingenti militari africani, nessuno dei paesi occidentali, né gli Stati Uniti e tantomeno le nazioni dell’Unione europea, sembra disposto a partecipare all’operazione con l’invio di truppe. La sola cosa che gli alleati promettono è l’appoggio logistico. Laurent Wauquiez,ex ministro degli affari europei sotto Sarkozy e attuale vicepresidente del partito Ump, ha denunciato «il silenzio assordante» dell’Europa e degli Usa. La Francia è intervenuta in Mali unilateralmente, ha aggiunto, senza aver pensato che sarebbe stato necessario formare una sorta di coalizione europea, o quanto meno coordinare l’operazione con gli alleati. Pur riconoscendo che l’intervento militare era necessario da momento che gli islamisti marcavano verso sud e minacciavano direttamente la capitale Bamako, gli esponenti dell’opposizione di centrodestra ritengono che la Francia avrebbe dovuto limitare la propria azione ai bombardamenti aerei senza inviare truppe terrestri. La guerra, ammoniscono, rischia di essere lunga e difficile vista la straordinaria mobilità dei guerriglieri islamici, che scorrazzano inafferrabili nel deserto, bene armati con materiale ultramoderno recuperato in Libia. E l’Armée francese rischia di pagare un pesante tributo di sangue. Paolo Romani
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