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Galileo, Newton e altri«Storia sentimentale dell’astronomia» (ed. Longanesi, 2012): da un innamorato del cielo e delle stelle, a cui è stato anche dedicato un pianetino in orbita tra Marte e Giove, prima o poi un libro così bisognava aspettarselo. Piero Bianucci, stimato collaboratore de «il nostro tempo» ed editorialista de «La Stampa», ha ceduto alla passione di una vita, trasferendola in trecento pagine ricche di humour e gustose curiosità storico-scientifiche. In quest’ultimo libro intreccia abilmente la storia delle scoperte astronomiche alle vicende di quanti, uomini e donne, l’hanno vissuta. E la lettura diventa una cavalcata mozzafiato attraverso il tempo e lo spazio: dall’uomo di Neandertal, che scrutava con sgomento il cielo per trarne informazioni utili alla sopravvivenza, ai fisici teorici contemporanei, che cercano nello spazio le risposte sulla natura fondamentale di materia ed energia. Nell’astronomia degli antichi alle necessità pratiche si mescolavano spesso sentimenti religiosi: in Occidente «al Sole, alla Luna e ai pianeti si attribuivano doti divine», scrive Bianucci, «e di conseguenza si riteneva che influissero sulle sorti umane». I cinesi la pensavano esattamente all’opposto: per loro era l’umanità a influire sui fenomeni celesti, perciò se il sovrano governava male, la riprovazione del cielo si esprimeva in carestie, pestilenze, inondazioni. «Da questo punto di vista», commenta l’autore, «la loro astrologia era preferibile alla nostra, in quanto, anziché caricare i cittadini di aspettative dal cielo, li responsabilizzava e, cosa quanto mai opportuna allora come adesso, responsabilizzava la classe politica». I filosofi greci diedero un contributo decisivo allo studio degli astri. Grazie soprattutto alla loro capacità speculativa, più che agli strumenti osservativi, giunsero a formulare sia l’ipotesi geocentrica sia quella eliocentrica. La lapidazione di Ipazia (370-414 d.C), istigata dal vescovo Cirillo di Alessandria per il suo sostegno all’eliocentrismo, segnò la fine del l’astronomia classica. «Dopo Ipazia», scrive Bianucci, «nella storia della scienza al femminile c’è un vuoto di mille anni. Scavalcato il Medioevo, le donne tornano a occuparsi di astronomia soltanto nel tardo Rinascimento. (…) Ma, almeno nei primi tempi, le donne astronomo sono ancora, più che professioniste della scienza del cielo, sorelle volonterose, mogli devote, e magari gradevoli compagne». In verità la situazione migliora di poco in epoca contemporanea: Annie Cannon (1863-1941), ideatrice di una delle più diffuse classificazioni delle stelle, e la collega di ricerche Henrietta Leavitt (1868-1921), che pose le basi per misurare l’universo, erano note come «ragazze dell’harem» di Edward Pickering, direttore dell’Osservatorio astronomico di Harvard dal 1877. «Niente di sessuale», spiega Bianucci. «Semplicemente, per limitare le spese, Pickering aveva accolto negli uffici dell’Osservatorio una ventina di ragazze, alle quali faceva svolgere i lavori scientifici più noiosi», pagandole una miseria. La carrellata prosegue tra le pieghe della vita quotidiana di giganti dell’astronomia come Tycho Brahe, che perse una fetta di naso in un duello “d’onore”. «In mancanza di una chirurgia estetica», svela Bianucci, «l’astronomo ventenne si costruì una protesi mescolando oro e argento per imitare meglio il colore della pelle. (…) Il problema vero era tenere attaccata la protesi: doveva rinnovare continuamente la pomata adesiva». Johannes Kepler (italianizzato in Keplero), figlio di una mezza fattucchiera finita sul rogo, scopritore della forma ellittica delle orbite dei pianeti del Sistema solare, «non credeva all’influsso degli astri sui minuti fatti quotidiani, ma riteneva possibile una connessione tra eventi celesti e terrestri. Coerente con una mentalità che miscelava razionalità, teologia e magia, nel corso della sua vita compilò più di 800 oroscopi e carte natali, traendone pronostici quasi sempre sbagliati (ovviamente non esistono oroscopi giusti, se non per caso) e spesso incontrando difficoltà nel farsi pagare». Si scopre, altresì, che Galileo Galilei abbandonò presto la scuola («trascurava le lezioni, si divertiva con gli amici, dava pochi esami e con punteggio basso») e non si laureò mai. Anche lui «per fronteggiare le richieste di denaro della madre, delle sorelle e del fratello Michelangelo, ma anche per curare le pubbliche relazioni con i potenti, praticò l’astrologia, non senza qualche infortunio clamoroso. A Ferdinando I de’ Medici pronosticò lunga vita, e il poveretto morì 20 giorni dopo». Isaac Newton, appena nato, «era così minuto che pare stesse in un recipiente da un quarto di gallone (poco più di un litro). Per debolezza teneva la testa reclinata: gliela sorressero con un collare imbottito. Camperà 84 anni, ma i primi sette giorni li passò in bilico tra la vita e la morte». Ebbe un «carattere chiuso, litigioso e per molti aspetti maniacale». Come docente fu un disastro: «gli studenti non riuscivano a capire le sue spiegazioni e si dileguavano lasciando l’aula deserta. Per un ventennio fece lezione ai muri». Eppure, a quest’individuo apparentemente così inadatto alla vita e tendenzialmente asociale, dobbiamo la legge di gravitazione universale e le basi della fisica meccanicistica. Albert Einstein, padre della teoria della relatività, si sposò due volte: non riconobbe mai la figlia avuta dal primo matrimonio, mentre il rapporto con la seconda moglie «somigliava più a quello tra una elegante donna-manager e un personaggio celebre ma un po’ infantile, che aveva bisogno di essere gestito». Proprio lui che, si legge nel libro, giunse ad avere in pugno l’universo e formulò leggi alla base dell’astrofisica e della fisica contemporanee! La galoppata finale percorre con altrettanti aneddoti curiosi i risultati dell’astrofisica degli ultimi 50 anni, fino alla scoperta di centinaia di pianeti extrasolari e alle affascinanti ricerche di vita extra-terrestre. Per Paul Davies, fisico teorico tra i coordinatori del programma Seti (Search for estraterrestrial intelligence), «la vita intelligente è qualcosa di così improbabile che noi potremmo essere soli nell’universo osservabile»; ma, ammette, si prova «disagio» nel pensare che l’immensità dell’universo sia lì esclusivamente perché noi se ne possa occupare un angolino insignificante. Domande cruciali che, come dimostra questa «Storia sentimentale dell’astronomia», si intrecciano da sempre a dubbi esistenziali, emozioni, vita quotidiana e curiosità umana. Lara Reale
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