Processo redditometro: servirà davvero?

Partirà a marzo con i primi controlli sulle dichiarazioni 2010, e dunque i redditi del 2009. È il nuovo redditometro, uno strumento fiscale che metterà sotto la lente tutte le spese dei cittadini italiani.

Tante le voci che verranno prese in esame, aggiornate dopo uno studio approfondito durato quasi tre anni, oltre cento suddivise in sette grandi categorie, tra le quali abbigliamento, abitazione, generi alimentari, animali domestici, assicurazioni, attività sportive istruzione (tasse universitarie, libri scolastici, ecc.), mezzi di trasporto (bollo, manutenzione veicoli, abbonamenti pubblici, ecc.), spese sanitarie. L’Agenzia delle entrate amplia quindi la platea dei contribuenti dai 4 milioni (gli studi di settore riguardavano solo i professionisti) fino a comprendere la totalità delle famiglie italiane, dipendenti pubblici compresi.

Per stabilire la capacità contributiva verranno considerati analisi e studi socio economici, anche di settore. Si terrà conto della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente in base ai dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica, e al territorio di residenza. Verranno presi in esame anche gli incrementi patrimoniali del contribuente e la quota di risparmio che si è formata nell’anno esaminato.

Se la differenza tra spese e reddito dichiarato è superiore al 20 per cento c’è qualcosa che non va. E, una volta arrivato il redditometro, il fisco potrebbe bussare alle porte di casa. L’indagine comunque non sarà automatica. Il contribuente può fornire spiegazioni e risolvere la questione tramite contraddittorio. Potrà, per esempio, dimostrare un diverso ammontare delle spese attribuitegli o che il finanziamento delle spese contestate sia avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta, oppure con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile o, ancora, da parte di soggetti diversi dal contribuente. Solo in caso di mancato accordo sarà emesso l’atto di accertamento.

La convenzione tra il ministero dell’Economia e l’Agenzia delle entrate, intanto, ha stabilito che saranno 35 mila gli accertamenti sintetici sui redditi dal 2009 in poi. Perciò la lista dei contribuenti da verificare anche attraverso il redditometro sarà pari a circa 70 mila persone. Ma è davvero necessario uno strumento di questo tipo per combattere l’evasione fiscale? E quali sono i suoi limiti? L’abbiamo chiesto al professor Alessandro Santoro, docente di Scienze delle finanze dell’Università Bicocca di Milano.

Il nuovo redditometro sarà davvero utile?

Dipende tutto da come verrà applicato. È giusto che esista uno strumento in grado di determinare il legame che c’è tra tenore di vita e ciò che viene dichiarato. A metà degli ’90 in Italia ne abbiamo avuto una prima versione, che però era molto rozza e funzionava poco. Oggi c’è stato un nuovo tentativo, ma la società è cambiata e l’amministrazione finanziaria ha a disposizione informazioni che prima non aveva, può elaborare una mole più ampia di dati e fare verifiche in modo più rapido.

Come mai invece la scelta di prendere in esame i redditi a partire dal 2009?

Innanzitutto c’è alla base l’esigenza di fare gettito che nel nostro Paese tende sempre a prevalere. È poi giusto sottolineare che il redditometro è stato introdotto dal governo Berlusconi con il dl 78/2010. Per tre anni, poi, non è stato realizzato perché era difficile farlo in modo serio. Ma nel frattempo veniva attribuito un gettito a questo nuovo strumento fiscale che ancora non c’era. Per questo è stato definito come retroattivo: si temeva, infatti, che la Corte dei conti potesse reclamare entrate che poi in effetti non ci sono state. Così facendo però i contribuenti verranno costretti a giustificare spese su cui per lo più non sono preparati.

Quali sono i limiti della forma attuale di redditometro?

Innanzitutto accanto alle informazioni che si riferiscono al singolo contribuente e che sono certe, perché date dallo stesso contribuente all’atto della dichiarazione dei redditi, come le spese da detrarre (mutui, assicurazioni sulla vita, asilo nido per i figli ecc. che sicuramente non eccedono il reddito perché altrimenti la persona avrebbe già avuto l’accertamento), vengono considerate anche altre spese che normalmente non venivano controllate e per queste si pone come parametro di riferimento il «valore medio così come risulta dalle indagini Istat per tipologia di famiglie e area geografica». Si tratta dunque di dati statistici da cui le spese del nucleo famigliare possono scostarsi perché inferiori o maggiori. E questo è sbagliato sia da un punto di vista statistico che economico, perché i dati statistici hanno un valore relativo e perché le famiglie possono decidere di spendere di più in un settore e di meno in un altro, la scelta è personale e può determinare un eccesso verso alcune voci di spesa e un valore inferiore alla media per altre.

Paradossalmente può essere più facile dimostrare come si è acquistata una macchina o una casa che spiegare perché la propria spesa per gli alimenti o l’abbigliamento sia inferiore alla media Istat….

Esatto. Mi aspettavo una maggiore differenziazione tra informazioni certe e individuali. Per essere giusto ed efficace il sistema deve tenere conto di molti elementi che il dato statistico di per sé non riesce a spiegare. È vero che esiste il contraddittorio, ma questo rischia di intasare il lavoro degli uffici dell’Agenzia delle entrate e di essere solo una perdita di tempo per i contribuenti. E in tutto questo andare e venire di cittadini che sono in regola c’è il rischio che il vero evasore trovi comunque il modo di farla franca.

Cosa succede, invece, per le eredità?

Anche in questo caso il contribuente può essere chiamato a rendere conto. Il lascito ereditario viene visto dal fisco solo se è sopra un certo ammontare. Ma pure un prestito familiare può essere difficile da dimostrare, anche se oggi si sta andando verso una sempre maggiore tracciabilità.

E che dire della “generazione mille euro”, i giovani che ormai hanno superato anche la trentina e che per riuscire a metter su famiglia si sono avvalsi del generoso aiuto di mamma e papà? Le loro spese sono sicuramente maggiori di quello che guadagnano…

In teoria anche loro potrebbero essere convocati. Poiché, però, è stato specificato nel provvedimento che nulla è automatico, gli uffici dell’amministrazione fiscale dovranno sicuramente aggiungere alla mera applicazione del redditometro altri criteri che consentano di individuare chi realmente vive al di sopra delle proprie possibilità perché ha entrate non dichiarate. Per esempio, potranno essere individuate famiglie fiscali in cui c’è un genitore che ha una capacità fiscale maggiore e che dunque può spiegare le spese dei figli. È per questo che sarebbe stato meglio non renderlo retroattivo: così i contribuenti avrebbero potuto organizzarsi e rendere tutte queste forme di “prestito” tra membri di una stessa famiglia tracciabili in modo da poterne dare giustificazione. Spero vivamente, comunque, che per i redditi degli anni scorsi vengano considerate come anomale solo le spese che sono di molto superiori al 20 per cento.

Cristina Conti



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