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Quesito: cosa può oggi la Chiesa?Le grandi scoperte degli ultimi 100 anni: l’energia elettrica, il petrolio, il motore a scoppio, l’automobile, l’aereo, la radio, la televisione, il cinema, l’elettronica e l’informatica, hanno creato una così rapida accelerazione all’umanità, in particolare all’Occidente, da capovolgere gli stili di vita, i convincimenti, i modi di pensare. Si può così dire che la differenza di vita tra i contemporanei di Cristo e i nostri bisnonni è meno rimarcata di quella tra i nostri bisnonni e noi. Sguardo storico e socialeL’accaparramento delle risorse naturali (petrolio, diamanti, foreste, materie prime, ecc.) e degli sviluppi della tecnica da parte dei popoli più forti (gli occidentali) ha prodotto la conquista e il dominio su altri popoli senza curarsi del loro reale sviluppo. Papa Paolo VI lancia la forte denuncia nella enciclica Populorum progressio, quando sostiene che non è vero sviluppo se non è «di tutto l’uomo e di ogni uomo». Espressione di tali sfrenate spinte al dominio e all’arricchimento sono sia i due conflitti mondiali e sia il lungo e accanito contrasto tra blocco occidentale a sfondo capitalistico, capeggiato dagli Usa, e blocco orientale a sfondo collettivistico, capeggiato dall’Urss. Le conseguenze di tale sistema sono state molte. Il potenziamento fino all’assurdo degli armamenti più sofisticati e degli arsenali nucleari. La crescita e l’arricchimento vertiginoso dell’area occidentale, soprattutto nel secondo dopoguerra, basata su produzione, consumi e indebitamenti; fino a produrre le crisi cicliche di sistema degli ultimi decenni, e quella che stiamo vivendo, una delle più lunghe e pesanti. L’enorme differenziazione nella velocità di sviluppo che ha evidenziato l’enorme differenza tra i popoli sviluppati, in via di sviluppo e sottosviluppati, e le enormi differenze prodotte all’interno di ogni Paese tra ricchi o superricchi, media popolazione e poveri ed emarginati (Il 20 per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento delle risorse planetarie). La mondializzazione dell’informazione ha poi contribuito a far apparire illusoriamente la possibilità di risolvere i propri problemi di povertà con le grandi emigrazioni, senza che ci fossero nei paesi ospitanti adeguati strumenti per permettere a tutti sufficiente dignità di casa e lavoro; né adeguati impegni per portare nei paesi sottosviluppati necessarie energie per avviare lo sviluppo in loco. Il sistema occidentale improntato a liberismo capitalistico, infine, ha contagiato nell’ultima generazione i due più numerosi popoli della Terra, Cina e India, alterando gli equilibri dell’intera umanità e sovvertendo i loro plurimillenari convincimenti. Sguardo antropologicoL’uomo del Ventesimo secolo ha perso il senso della sua finitudine e si è atteggiato a superuomo. Ha posto se stesso sul piedestallo e al centro del mondo con delirio di onnipotenza, convinto di costruire un mondo a sua misura e sotto il suo esclusivo dominio. Un uomo convinto di poter risolvere tutto, di vincere con la scienza la natura, di fare a meno delle spinte soprannaturali, in una parola di liberarsi del concetto stesso di Dio, o di neutralizzarlo ponendolo fuori campo, quale indifferente alle sorti umane: un dio minore che non si interessa agli uomini, che non può o non vuole intervenire. Il Dio della Rivelazione letto come una pura finzione bonaria e per i deboli. La rapida crescita economica ha spostato l’attenzione dall’essere all’avere, al possedere che è diventato l’obiettivo su cui misurare la propria riuscita e il proprio valore. L’avere è diventato il primo condizionamento del fare, snaturando la finalità stessa dell’attività umana e del lavoro: da realizzazione del soggetto che contribuisce con le propri capacità a far progredire la creazione, ad attività frenetica per produrre beni spesso superflui, a volte inutili, e non di rado dannosi. Attività spesso detestata, ma diventata unica possibilità di sopravvivenza perché unico mezzo per procurarsi denaro indispensabile ai necessari acquisti. Insopportabile assillo per un lavoro che manca o non è sufficiente a garantire un salario di sopravvivenza. L’«avere» così concepito e realizzato condiziona il ritmo e la qualità di vita; segna i passaggi da vita essenziale con poche cose e ridotte pretese, a molte esigenze, molte pretese con la sensazione che le cose non bastino mai: spinta verso l’insaziabilità. Troviamo così, oggi, il soggetto medio con crescente tendenza ad essere ripiegato su se stesso, autoreferenziato, con tutto che deve ruotargli attorno. Tutto è dovuto da parte dei genitori, della famiglia, della società civile, del mondo: è un immane fascio di diritti accampati, con scarso rilievo dato ai doveri corrispondenti. La socialità, la spinta egualitarista, la capacità di condivisione si sono appannate, lasciando il posto prima al corporativismo e poi a un forte individualismo. Il singolo diventa misura di tutto. L’imperativo è il “secondo me”, il mi piace o non mi piace, che rischia anche di diventare regola morale, soprattutto nell’ambito dei sentimenti, della sessualità e della gestione economica. Tutto viene poi giustificato con il mito della libertà: non mi lascio condizionare dalle regole, dalle istituzioni, dal passato. Si è definita la cultura di oggi «cultura del frammento». C’è scarsa capacità di visione globale e di sintesi. Sono presenti nozioni di fondo molto estese ma poco approfondite. La civiltà contemporanea necessita di specializzazioni sempre più settoriali, capaci di isolare dal complesso di ordinarie conoscenze e di ordinario buon senso. Incontriamo sempre più spesso ultraspecialisti in settori estremamente ristretti, disadattati a vivere la normalità di vita. La cultura di impronta femminista con la confusione o il preteso annullamento dei ruoli ha finito di spingere anche la donna agli insostenibili ritmi del maschio, con conseguente smarrimento di identità e grave nocumento agli equilibri della famiglia. Religiosità dell’oggi e sguardo pastoraleNelle nazioni di antica tradizione cattolica, l’Italia in primo luogo, il messaggio cristiano era gradatamente diventato substrato di tutta la cultura e aveva plasmato cristianamente tutti i settori di vita. Il sistema cristiano, con valori fatti risalire al Vangelo interpretato e veicolato dalla Chiesa, era cosa di ordinaria accettazione. Il costume cristiano poteva sostituire il convincimento personale senza che fossero avvertite troppe contraddizioni. Si era creata una religiosità sorretta da tradizioni e condizionamenti sociali, a cui raramente ci si sottraeva. L’infrazione era comunemente avvertita e accettata come peccato, dal quale ci si liberava qualche volta l’anno ricorrendo alla Chiesa. L’autorità era rispettata e ritenuta necessaria sia a livello civile che religioso. Lo Stato, la Chiesa, la famiglia e la scuola erano i pilastri che garantivano una pacata trasmissione di modi di vivere. C’era un certo dissenso, ma solo raramente era di massa. Era comunque sperimentato e accettato che la vita comportasse massicce dosi di rinunce, di sacrifici, di impegno. Ogni parrocchia si preoccupava di conservare lo status cristiano con l’amministrazione dei sacramenti. Si presupponeva che non ci fosse necessità di particolare preparazione specifica. L’ambiente familiare e sociale erano sufficienti. La messa con la predica e l’istruzione religiosa collettiva al pomeriggio della domenica erano sufficienti anche per i cristiani più esigenti. Per i sacramenti dell’iniziazione c’era il catechismo di Pio X con domande a cui rispondere con stupende risposte teologiche da studiare a memoria. Una fede solida (fidarsi sostanzioso di Dio) senza pretesa di dimostrazioni razionali. Fede che ha prodotto pur in tempi difficilissimi generazioni di santi comuni quali nonne, nonni, madri ecc. La crescita economica, la massiccia industrializzazione, la scolarizzazione più alta, l’arrivo della Tv, le ondate contestatarie del Sessantotto, il femminismo, la secolarizzazione, affossarono quei modelli. Le grandi strutture delle parrocchie, capaci di dare risposte alle varie esigenze in ogni campo, con oratori, teatro e cinema parrocchiale, scuola parrocchiale, case per i campi estivi e formativi, San Vincenzo, case di riposo parrocchiali, hanno mostrato via via grosse difficoltà a sostenersi e progressivamente hanno perso la presunta capacità di essere veri strumenti di evangelizzazione. Da una Chiesa che fatica a dare senso, un po’ compromessa nella pubblica opinione, e che è presente con larga sacramentalizzazione, pare si debba passare a una Chiesa che cerca di incidere sulle menti, suscitando le grandi domande di senso, e propone risposte della Rivelazione e la persona di Cristo. Chiesa segno e testimonianza che parte dal basso, dalla coerenza, dalla testimonianza dei convinti che sono lievito nella società a tutti i livelli. Non più politica cristiana, scuola cristiana, fabbrica cristiana, ma cristiani nella scuola, nella fabbrica, nelle professioni, nella politica, nell’economia, ecc. Cristiani segnati consapevolmente da Cristo, guidati dal magistero alto e conciliare, impregnati di parola di Dio; lievito nel mondo come i cristiani della lettera a Diogneto. Domina una religiosità privata, di sentimento del momento. Si mantiene alta la richiesta dei sacramenti dell’iniziazione senza che essi incidano veramente nelle scelte di vita. Si ha l’abbandono rapido progressivo e massiccio della pratica religiosa, ridotta nelle metropoli al 5-10 per cento. E’ praticamente azzerato il senso del peccato. Cala vertiginosamente la risposta alle vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata. La Chiesa è letta come agenzia del sociale in sostituzione dello stato. Si alza la richiesta e la pretesa di servizi sociotemporali. Ci troviamo di fronte a un approccio sincero e a volte entusiastico sia di bambini che di molti genitori, ma come seme caduto su terreno roccioso, non ha radici adeguate. Ambiente e cultura contrastanti neutralizzano ogni frutto. Restano bei ricordi, qualche nostalgia, ma senza incidenza duratura nella vita. Iniziazione accettata, ma come per prendere un diploma poi finito in un cassetto; sacramenti privi di efficacia, come messi in congelatore. La civiltà del mordi e fuggi non conosce la perseveranza. Prospettive e speranze con occhio al Concilio Vaticano II La tentazione insita in ogni generazione è quella del catastrofismo, quando le cose cambiate rapidamente danno la comune sensazione che sia peggiorato lo stato di vita e il livello di soddisfazione. Il passato diventa facile misura del presente e condizionatore del futuro. Questo non è giusto. Ogni età ha le sue caratteristiche e le più profonde crisi contengono in sé i germi di novità e di rinnovamento. Questo avviene anche nel ciclo della natura. E per noi credenti nel Dio della Rivelazione non ci possono essere dubbi. Dio conduce la storia e permette momenti bui e tunnel per aprire nuovi orizzonti. Pensiamo alla travagliata storia di Israele, dei primi cristiani e alla complessiva crescita dell’umanità. E’ indispensabile fermarsi e chiedere allo Spirito il dono del discernimento. E’ indispensabile guardare in prospettiva e radicare e coltivare la virtù teologale della speranza. Il peccato più grosso in cui rischiamo di incorrere è il deficit di speranza che denuncia in definitiva superficialità di fede. Proviamo a rileggere dall’angolazione della fede l’eredità del Ventesimo secolo e memori del Vaticano II, mentre ne celebriamo il cinquantennio, cerchiamo con opportuni interrogativi di cambiare in risorsa ciò che a prima vista pare come problema, esercitando il discernimento. 1. Come coniughiamo oggi cristianamente la crescita di diritti, di libertà, di personalismo, la centralità della persona umana, la estesa crescita culturale, la valorizzazione dei sentimenti, la nuova figura della donna, la rivalutazione della sessualità, il superamento delle classi sociali, la mondialità, l’anelito alla giustizia, l’attenzione troppo possessiva e protettiva dei bambini nati, la devozione (quasi culto) degli animali? 2. Come possiamo nella nostra pastorale creare ordine e gerarchia sostenibile tra il grande numero di valori vecchi e nuovi così disordinatamente gerarchizzati? 3. Come rispondiamo alla crescita di domanda religiosa, seppur confusa; all’esigenza frequente di confronto e approfondimento? Come ci inseriamo nel crescente sentimento di vuoto e di non senso e nella pur confusa ricerca e apertura al trascendente? 4. In contesto di maggiori difficoltà per tutti, come è possibile educare ed educarci alla responsabilità progressiva e personale nel percorso giovanile, nell’uscita dalla perenne adolescenza, verso la costituzione della famiglia stabile, nella solidità dell’amore e della reciproca stima, nella corretta valorizzazione della sessualità? 5. Alla generazione di mezzo, 30-50 anni, che si presenta in alta percentuale per matrimonio, battesimo dei figli, catechismo dei bambini, offriamo assieme ad accoglienza e dialogo cibo solido, percorsi comprensibili, adatti a stimolare le loro attese spirituali e culturali; o ci limitiamo al minimo standardizzato che non interpella in profondità la loro vita? 6. Lo smarrimento sociale, la deriva e decomposizione politica come ci aiutano a riscoprire e valorizzare la Dottrina sociale della Chiesa, apprezzata da tutti i grandi, ma poco conosciuta e quasi per nulla annunciata? 7. La Chiesa, cinquant’anni fa, ha intuito i tempi nuovi e di grandi cambiamenti, e si è attrezzata per “aggiornarsi” con il Concilio Vaticano II: dopo la stagione di rifiuto preconcetto o di entusiastiche fughe in avanti, quanto siamo oggi capaci di una rilettura sapienziale dei suoi testi e di una sua concreta accoglienza e applicazione? 8. Partendo dalla riflessione imposta dalla grande crisi in atto, siamo capaci di proporre il rispetto della natura, l’eliminazione degli sprechi, la giustizia retributiva, contributiva e fiscale, il riconoscere la futilità di cose ritenute fino a ieri indispensabili, la necessità e disponibilità a tornare a una vita più semplice e materialmente meno esigente, la condivisione evangelica e la sobrietà di vita come valori autentici profondamente umani e cristiani? 9. I mezzi di comunicazione hanno molto attenuato e spesso spento la vera comunicazione, creando ovunque immense solitudini. Sappiamo provocare le nuove generazioni a vera comunicazione? Come siamo sensibili a farci “compagnia” con percorsi e accompagnamenti personalizzati nelle stagioni di solitudine delle varie età di vita, ma soprattutto nella malattia e nella vecchiaia? 10. Come siamo capaci a crear silenzio contemplativo, a proporre e trasmettere come gusto e gioia intima la preghiera biblica e liturgica? La Chiesa ci parla di sfida educativa, di buona vita del Vangelo per vincere il crescente analfabetismo religioso presente nei ragazzi e molto più negli adulti. Forse correndo troppo dietro ai particolari, volendo tenere tutto, perdiamo l’essenziale; fatichiamo a comunicare Gesù Cristo e il gusto bello di Dio. Giuseppe TRUCCO
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