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Templari 200 anni da brividiIl 13 gennaio 2013, data d’uscita del presente numero de «il nostro tempo», coincide esattamente con il 13 gennaio del 1313, settecento anni fa, giorno in cui il Papa di allora, Clemente V, nel forzato esilio pontificio ad Avignone cominciato otto anni prima (e durato poi fino al 1377) emise il documento «Licet Predaem», con il quale destinava all’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni, con sede centrale a Gerusalemme, tutti i beni (moltissimi) dell’Ordine dei Templari, da lui stesso «abolito e soppresso» il 4 aprile dell’anno precedente. Finiva così ufficialmente e drasticamente, dentro la Chiesa cattolica, una vicenda iniziata negli anni Venti di due secoli prima, con la fondazione di quell’Ordine composto di monaci e di cavalieri armati, destinato a combattere la grande, sanguinosa avventura delle Crociate e a sostenere i pellegrinaggi popolari in Terrasanta, diventati sempre più a rischio. Una storia di cui si è parlato moltissimo, nel corso dei secoli successivi, in libri e film ricchi anche di leggende, e che torna alla ribalta in un volume appena uscito, «La soluzione dei Templari», scritto dallo storico Alessio Varisco, specialista di arte e tradizioni monastico-religiose, e pubblicato dalle edizioni Effigi di Arcidosso, in provincia di Grosseto (pag. 406, 22 euro). Si tratta di un’opera quanto mai complessa, di lettura non semplice, frutto di un’evidente, annosa consultazione e citazione di testi noti e meno noti, divisa in quattro capitoli: I) Nascita dell’Ordine Templare; II) L’Ordine Templare; III) Il processo ai Templari; IV) San Rainaldo e l’assoluzione dei Milites Templi nell’Italia settentrionale; più una lunga serie di «Apparati», cioè documenti ufficiali riguardanti «la cronologia dell’istituzione fino alla soppressione dei Templari». Per tentare di sintetizzare in poche parole lo spirito e le intenzioni profonde del libro, si può citare la dedica iniziale «alla memoria di San Rainaldo e di tutti i Martiri della Cristianità»: «Giacomo II d’Aragona, Ferdinando IV di Castiglia, Dionigi I di Portogallo, Edoardo II d’Inghilterra, Rainaldo di Concorezzo, arcivescovo di Ravenna, Guillaume de Rocabert, arcivescovo di Tarragona e fratello di un templare, hanno diritto di parola tanto quanto papa Clemente V e Guillaume de Nogaret. Anche se - e proprio perché - si tratta di una parola che ha un peso diverso». Questa frase reca la firma di un altro storico esperto dell’Ordine del Tempio, Alain Demarger. La ragione fondamentale del libro è dimostrare quanto discutibile sia stata la soppressione dei Templari, a partire da quanto emerge dalle cronache del processo aperto contro di loro nel 3007 su ordine di Filippo IV re di Francia (che non li poteva sopportare, per le ragioni soprattutto economiche, finanziarie e politico-istituzionali che i lettori trovano minuziosamente descritte) con l’appoggio almeno iniziale e non sempre intimamente condiviso di papa Clemente V. Processo che si concluse con una serie di condanne pesantissime, compreso il rogo, cui fu destinato l’ultimo dei ventitre Grandi maestri dell’Ordine, Jacques de Molay, giustiziato a Parigi il 18 marzo del 3014 all’Ile de Seine insieme a fra Geoffrey de Charnay, come i 54 cavalieri suoi affiliati arsi vivi su ordine dell’arcivescovo di Sens il 12 maggio del 1312. Papa Clemente V, il francese Bertrand de Got, originario della Guascogna e già arcivescovo di Bordeaux, non gli sopravvisse a lungo: morì cinquantenne il 20 aprile dello stesso 1314, e re Filippo IV (il Bello) lo seguì cadendo da cavallo il 29 novembre successivo durante una battuta di caccia. E’ inutile ricordare qui che proprio quel quattordicesimo secolo fu il più triste e corrotto nella storia della Chiesa cattolica. Non per nulla il contemporaneo Dante Alighieri ne parlò con estrema criticità nel Canto XIX dell’Inferno (dedicato ai simoniaci, fra cui dei Papi) e nel XXXII del Purgatorio. Proprio quel «ghibellin fuggiasco» che nel medesimo 1313 credeva di poter finalmente tornare a Firenze, dove gli pendeva sul capo la condanna a morte, mentre l’imperatore di Germania Arrigo VII scendeva in Italia per contrastare il dominio di Filippo il Bello, appoggiato dai guelfi fiorentini e da parte della gerarchia vaticana. Ma Arrigo morì in quel medesimo fatale 1313, e quella speranza dantesca si spense per sempre. Quali erano le accuse ai Templari? In una citazione dal libro di Licurgo Cappelletti, «Storia degli ordini cavallereschi», «i Templari arrestati furono sottoposti a lunghi interrogatori accompagnati dai supplizi della tortura. Molti di essi, atterriti e stremati dalla lunga prigionia, dalla fame e dai crudeli tormenti, si confessarono rei dei delitti loro imputati, cioè: di aver rinnegato Cristo; di avere sputato tre volte sulla croce; di baci disonesti e di sodomia; di essersi fatti assolvere dal Gran maestro di tutte le infamie da loro commesse. Alcuni storici credono alla verità di queste accuse; altri le pongono in dubbio; altri infine le negano recisamente». Lo stesso Clemente V, in una delle Bolle da lui emanate fra l’aprile del 1312 e il gennaio del 1313, parlando dei vari Concili celebrati soprattutto in Francia, in particolare a Vienne, con molti cardinali per discutere la questione, afferma che solo un quarto o un quinto delle autorità ecclesiastiche consultate si pronunciò per l’assoluzione in mancanza di prove certe. Alessio Varisco cita ad esempio ampiamente il processo celebrato a Ravenna contro sette Templari del Nord Italia a cura dell’arcivescovo Rainaldo da Concorezzo, al termine del quale (dopo aver negato il ricorso alla tortura) la giuria si espresse non per una condanna pesante o un’assoluzione piena, ma per una semplice «purgazione canonica». Fra l’altro, emerge dal racconto una contrapposizione fra i membri dei tribunali ecclesiastici appartenenti all’Ordine domenicano, favorevoli alla tortura degli imputati, e i francescani, nettamente contrari. Come, quando e perché erano nati i Templari? Nel libro di cui parliamo vengono presentati come uno dei frutti più cospicui della intensa campagna condotta in tutta la Chiesa di Roma nell’Europa occidentale e soprattutto in Francia nell’Undicesimo secolo, in appoggio alla riconquista della Terrasanta e della Spagna ormai da anni nelle mani dei musulmani, verso le quali i Pontefici proponevano spedizioni militari battezzate come «crociate». Uno dei più forti interpreti di quella campagna fu l’abate cistercense san Bernardo di Chiaravalle, di cui nel volume si leggono alcune pagine bellissime di incoraggiamento biblico all’impresa. L’invito era stato raccolto soprattutto negli ambiti nobiliari, secondo una cultura cavalleresca diffusa allora nei Paesi evoluti dell’Europa occidentale, che accettò l’ispirazione religiosa e generò un costume per così dire “bipolare”, fra la devozione al Vangelo e l’uso delle armi come sua difesa: cioè, come furono definiti allora, fra gli «oratores» e i «bellatores» (votati a povertà, castità e obbedienza) a cui si aggiunsero successivamente i «laboratores», cioè borghesi e popolani che li aiutavano nelle faccende pratiche. In Francia un primo gruppo di nove nobili guidato da Ugo di Payens accettò la Regola di origine benedettina-cistercense offerta loro da san Bernardo di Chiaravalle, e nel 1118 ottenne il primo riconoscimento da parte della Santa Sede e due anni dopo quello di Baldovino re di Gerusalemme. Si chiamarono in latino «Pauperes commilitones Christi Templique Salomonis» e in pochi anni, partendo dalla tutela armata dei pellegrini fra Cismer (l’Europa occidentale) e Ultramer (la Palestina) diventarono alcune migliaia, si diffusero in decine di “mansioni” e di terreni, anche in Italia e nella penisola iberica. Man mano acquistarono fama, potenza e ricchezza, inventando e realizzando fra l’altro un sistema di garanzie bancarie che fu esempio per tutto il Medioevo e collaborando alla trasformazione del Mediterraneo in una fonte inesauribile di commerci che arricchirono in pochi decenni Genova, Venezia, Pisa e Amalfi, come si legge nell’ultimo, poderoso volume dello storico inglese Christopher Tyerman «Le guerre di Dio» (Einaudi, 2012). Il che valse ai Templari, purtroppo per loro, invidie altrui e tentazioni proprie che li portarono in due secoli alla scomparsa. Nel libro di Varisco, ricco di belle illustrazioni, figura con grande evidenza la Regola (composta da ben 72 articoli, alcuni dei quali farebbero rabbrividire i lettori di oggi per il rifiuto della donna e per il consenso al dominio indiscusso nei confronti di operai e contadini al loro servizio). Ma sono raccontate anche le battaglie dei Templari durante le Crociate, le vittorie e le sconfitte, i massacri che operarono e quelli che soffrirono. In particolare quello che concluse la battaglia di Hattin del luglio del 1187 contro le forze ayyubidi di Saladino, in cui centinaia di Templari furono fatti prigionieri insieme ai Cavalieri Giovanniti e poi giustiziati uno alla volta per ordine del Sultano che disse: «Intendo purificare la terra da questi due Ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunceranno mai all’ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella razza degli infedeli». Quella battaglia si svolse, fra l’altro, intorno alla presunta reliquia della Vera Croce. Un’altra strage dei Templari avvenne nel 1191 a San Giovanni d’Acri, dove furono gli ultimi fra i Crociati a resistere, invano, agli assedianti maomettani. Insomma, grazie ad Alessio Varisco, fra eroismi sovrumani ed errori umani, fra virtù indiscusse e colpe discutibili, fra verità documentate e leggende inventate (e con qualche errore e refuso tipografico di troppo) sui Templari ne sappiamo adesso molto più di prima.
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