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Natale, la pace e noi«La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile». Questo il grido di incoraggiamento e di ottimismo che Benedetto XVI lancia, nell’imminenza del Natale, nel cuore del suo ampio e articolato Messaggio per la Giornata della pace che si celebra il primo giorno del nuovo anno, che di per sé apre alla speranza. Pace che fa tutt’uno con la tutela della vita, in ogni sua articolazione, dal concepimento alla nascita, alla sua fine, col rifiuto dell’aborto, dell’eutanasia, e il parallelo riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza, l’esaltazione del matrimonio tra uomo e donna come fondamento naturale e non tra persone dello stesso sesso. Indicando analiticamente le condizioni e i percorsi che portano alla pace, tracciando il profilo di coloro che devono costruirla (gli operatori, che per questo devono essere definiti «beati») il Papa enumera anche le cause che alla pace si oppongono. Le identifica nel maggiore dei mali, «il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste». Congiurano ad «oscurare e negare» la pace storture di carattere economico e sociale, quali il capitalismo forzato e la mancanza del lavoro, l’ambiguità della globalizzazione, ma anche categorie filosofiche e immateriali, quali il relativismo, il fondamentalismo, l’intolleranza che soffoca la libertà religiosa. «Ogni persona e ogni comunità, religiosa, civile, educativa e culturale, è chiamata ad operare la pace, che è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie e intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale». Dunque, «le vie di attuazione del bene comune» sono anche «le vie da percorrere per ottenere la pace. Ne sono operatori coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità». Un documento, questo di papa Ratzinger, che prima di essere definito una summa di divieti e suscitare le critiche dei relativisti, dei fondamentalisti, dei capitalisti, delle comunità gay, va accolto e compreso nel suo più profondo significato spirituale, umano, sociologico. In sostanza, un documento moderno, per l’umanità di oggi, divisa da contrasti e scontri tra popoli e tra classi. Il Papa bolla la «dittatura del relativismo», chiede un «nuovo modello di sviluppo economico», nuove regole finanziarie. Reclama il diritto allo sviluppo e al lavoro come componente essenziale della persona. Un complesso di stimoli a operare. Parla in nome della ragione, il Pontefice teologo e filosofo, specificando di non voler proporre verità di fede. Insomma non parla “ex-cattedra”, seppure questo Messaggio si pone come una piccola enciclica, con alla base fonti importanti come gli insegnamenti conciliari di cinquant’anni fa che oggi appaiono sempre più significativi e vitali e la Pacem in terris di Giovanni XXIII. Agli ambasciatori e ai nunzi la «Beati gli operatori di pace» stampata in volumetto nelle varie lingue è affidata perché la consegnino a loro volta a tutti i governi di tutte le Nazioni. «La vita in pienezza», ribadisce il Papa, «è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita. Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace». Si chiede e chiede Benedetto XVI: «Come si può pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?». E risponde: «Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente». Non è giusto, aggiunge, «codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita. Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale». A chi volesse obiettare che il Pontefice stia proponendo «verità di fede» o principi derivanti «dal diritto alla libertà religiosa», il Papa risponde che no, non è un’«azione confessionale» della Chiesa, ma si tratta di principi «inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità, a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa». Come sempre, dunque, il Papa si richiama alla ragione, lamentando che oggi «questi principi vengono negati o mal compresi» e «ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace». Reclama perciò Benedetto XVI il riconoscimento da parte degli ordinamenti giuridici e dell’amministrazione della giustizia del «diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia». Quanto alla libertà religiosa, che annovera «tra i diritti umani basilari», il Papa avverte che «in questo momento storico diventa sempre più importante che sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come “libertà da”, ad esempio da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione, «ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come “libertà di”: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri». Sono parole chiare, che dovrebbero trovare consenso unanime. «Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana», constata il Papa, «si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione». Il liberismo radicale e la tecnocrazia non possono «insinuare che la crescita economica sia da conseguire a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali, che sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici». Ancor prima che venisse diffuso il Messaggio sulla pace, il Papa aveva richiamato al senso del Natale: «Gesù è apparso come una grande luce per il popolo che camminava nelle tenebre. Dio si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi, per dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, recando all’umanità la sua luce divina. Questa luce altissima, di cui l’albero natalizio è segno e richiamo, non solo non ha subito alcun calo di tensione col passare dei secoli e dei millenni, ma continua a risplendere su di noi e a illuminare ogni uomo che viene al mondo, specialmente quando dobbiamo attraversare momenti di incertezza e difficoltà». Ha aggiunto: «Quando nelle varie epoche si è tentato di spegnere la luce di Dio, per accendere bagliori illusori e ingannevoli, si sono aperte stagioni segnate da tragiche violenze sull’uomo. Questo perché, quando si cerca di cancellare il nome di Dio sulle pagine della storia, il risultato è che si tracciano righe storte, dove anche le parole più belle e nobili perdono il loro vero significato. Pensiamo a termini come “libertà”, “bene comune”, “giustizia”: privati del radicamento in Dio e nel suo amore, nel Dio che ha mostrato il suo volto in Gesù Cristo, queste realtà rimangono molto spesso in balìa degli interessi umani, perdendo l’aggancio con le esigenze di verità e di civile responsabilità». C’è sintonia sul magistero papale se un grande attore comico (comico?) come Roberto Benigni, illustrando in televisione la Costituzione italiana, ne ha sottolineato i grandi valori in essa contenuti: dignità della persona e garanzia del lavoro, libertà contro ogni dittatura e assolutismo, a-confessionalità dello Stato ma rispetto reciproco tra Stato e Chiesa, ripudio della guerra, della violenza, della pena di morte, della detenzione carceraria inumana. Si respira una nuova civiltà. Quella Costituzione è opera di molti cattolici. Antonio Sassone
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