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Sì meritato al governo tecnicoNon è semplice valutare con una battuta l’anno di governo tecnico che va a terminare, ed è molto forte il rischio di un giudizio superficiale o quantomeno parziale. Se ci si limitasse ai soli dati reali, sarebbe quasi impossibile dare un giudizio positivo di un 2012 nel quale si registrerà una perdita di Pil superiore ai due punti percentuali e un consistente aggravamento del quadro occupazionale del Paese. E se si ponesse attenzione alle riforme strutturali di cui tanto necessita un sistema economico come quello italiano, sul fronte delle liberalizzazioni, del riordino della pubblica amministrazione locale, dei costi della politica e probabilmente anche del mercato del lavoro, si sarebbe quasi certamente potuto fare di più. Ciò riconosciuto, non avrebbe senso valutare l’operato di un esecutivo se non in relazione al mandato ricevuto e allo scenario politico interno ed economico internazionale nel quale si è trovato ad operare. Non si può infatti dimenticare che al momento del suo insediamento il governo s’è trovato ad affrontare una situazione al limite dell’insolvenza, con il rischio concreto dell’impossibilità per il Tesoro italiano di poter ricorrere con continuità al mercato per finanziare il debito. E oggi, dopo un anno che ha visto il sostanziale default della Grecia, una sostanziale dichiarazione di semi-insolvenza del sistema bancario spagnolo e la perdita della tripla A da parte della Francia, la posizione finanziaria del nostro Paese e soprattutto il suo livello di credibilità economica e politica internazionale sono incomparabilmente migliori di dodici mesi fa. I sacrifici richiesti agli italiani sono stati estremamente severi, ma per la prima volta da moltissimi anni un governo si è rivolto ai cittadini dicendo come stavano effettivamente le cose e non quello che i cittadini desideravano sentirsi dire. Negli stessi mesi in cui una parte consistente della classe politica franava sotto il peso delle proprie contraddizioni e di comportamenti inaccettabili, il “governo dei professori” ha stabilizzato i conti pubblici, ponendo le condizioni per un pareggio strutturale del bilancio a partire dal 2013 e ha disinnescato la mina previdenziale, con il risultato che oggi le organizzazioni internazionali, e per primi l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, certificano che dopo la riforma Monti–Fornero il sistema non avrà bisogno di ulteriori correzioni nell’orizzonte prevedibile dei prossimi decenni. Chi ricorda quante volte, su queste stesse colonne negli anni addietro, si è insistito sull’importanza di dare vita ad un sistema in grado di mantenere un equilibrio di lungo termine in presenza di una significativa tendenza all’invecchiamento della popolazione, può capire quanto tutto questo sia importante. Così come lo è il significativo ritorno degli operatori finanziari internazionali sui titoli del debito sovrano della Repubblica e la discesa dei loro rendimenti a livelli accettabili, che non incorporano più né un rischio di default, tutt’altro che remoto un anno fa, né l’aspettativa di un breakdown dell’area euro. E se è vero che nella stabilizzazione dell’Eurozona ha avuto un ruolo decisivo il rinnovato attivismo della Bce di Mario Draghi, è altrettanto vero che il via libera al meccanismo di stabilità europeo (Esm) è stato dato dai governi, e che nell’ottenere questo risultato ha contribuito in misura estremamente rilevante, nei confronti del rigore della Germania e dei suoi satelliti nordeuropei, la presenza propositiva di un governo italiano che si è potuto presentare “con i compiti fatti” nel Consiglio europeo e far valere il peso dell’unico Paese che il prossimo anno, prima ancora della Germania, potrà presentare un bilancio pubblico in sostanziale pareggio. Altro elemento fondamentale, sul piano non solo economico ma anche etico–politico, è stato il mutamento dell’atteggiamento generale nei confronti della piaga dell’evasione fiscale. Lentamente ma sicuramente, a fronte dell’azione del governo Monti, si è passati da una tacita comprensione nei confronti di comportamenti illeciti alla convinzione che ci si trovi di fronte ad una guerra che il Paese deve assolutamente vincere se si vogliono creare le condizioni per ridurre la pressione fiscale nella sua globalità creando in tal modo un ambiente più favorevole per consumatori e imprese. Pur con le polemiche che talora ne hanno accompagnato l’operare, oggi le strutture che si dedicano all’accertamento, alla verifica, e alla riscossione sanno di avere dietro di sé l’appoggio concreto del governo e la sostanziale approvazione del Paese. Nessun presidente del Consiglio potrà più, in futuro, dichiarare di “comprendere” gli evasori. Ora, nella prospettiva del prossimo anno, come emerge chiaramente dalle recentissime osservazioni della Banca centrale europea, è assai probabile che la debolezza dell’economia dell’Eurozona prosegua almeno per un semestre. Le prospettive della congiuntura restano quindi impegnative, anche se nella seconda metà del 2013, grazie al recupero della domanda mondiale e al miglioramento del quadro dei mercati, si potrà finalmente sperare in una ripresa molto graduale. A tale ripresa è essenziale presentarsi preparati, e il recupero delle esportazioni italiane negli ultimi mesi mostra che c’è un nocciolo duro della manifattura italiana, quello maggiormente esposto alla competizione internazionale, che è riuscito ad accrescere la propria efficienza, a fare investimenti, a innovare processi e prodotti anche nella fase più acuta della crisi. E’ necessario che anche i servizi, le professioni, il credito, settori maggiormente protetti, raggiungano anch’essi questo livello di efficienza, così come è essenziale che il governo italiano, qualsiasi futuro governo italiano, sia nelle condizioni di parlare con autorevolezza nel consesso europeo, per promuovere quelle iniziative che per ora sono bloccate dall’imminente scadenza elettorale in Germania, ma che torneranno praticabili nel prossimo autunno. Ma non sarà possibile convincere l’“Europa Tedesca” dell’importanza di finanziare con una garanzia comune i grandi progetti infrastrutturali di rilevanza comunitaria, le grandi reti di trasporto delle merci, delle persone, delle informazioni e dell’energia, per sostenere crescita e occupazione nell’Eurozona, se non si potrà andare a Bruxelles e a Francoforte con i conti nazionali in ordine, magari migliori di quelli della stessa Germania. Un governo politico, sostenuto in misura più convinta da forze politiche di chiara impronta europeista, potrà fare riforme più incisive all’interno del Paese e parlare all’Europa con autorevolezza ancora maggiore dell’esecutivo tecnico. Trattando gli italiani da persone adulte e responsabili e senza indulgere a promesse elettorali che avrebbero l’unica conseguenza di indebolire il Paese e porre ancora una volta a rischio i risparmi di tutti i cittadini. Antonio Abate
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