![]() Accesso utente |
Il volto di Maria rivisto dall'arte contemporaneaL’opera d’arte è la soggettività che si realizza nell’oggettività della materia, nei suoni come la musica, nei gesti come la danza, nei colori come la pittura, ma conoscere la soggettività di un artista non è cosa facile, perché noi la conosciamo attraverso l’oggettività della sua opera. Questa non ha valore e significato solo per l’intenzionalità creativa di chi l’ha prodotta, ma anche per se stessa ed in un certo senso viene ricreata nella fruizione di chi l’ammira. Ascoltare una sinfonia di Beethoven diretta da Abbado è diverso da ascoltarla diretta da Muti. Seguo da tempo, con interesse, l’opera di un artista, Lao K, che dal 1952 lavora sul tema di Maria, madre di Gesù, che ha rappresentato in piccole tavole e in grandi affreschi, e che ha impostato in numerosi bozzetti, non sempre realizzati per il travaglio storico della realizzazione dell’opera e per le incomprensioni della committenza, ma che restano documenti preziosi nello storia dell’arte contemporanea. Giorgio Lao nasce a Brescia nel 1934, terzo figlio di Guido Lao e Celeste Sas Kulczycka. All'inizio della Seconda guerra mondiale la sua famiglia si trasferisce a Roma, e qui, nel dopoguerra, egli segue gli studi artistici. Ha come insegnanti Guttuso, Gentilini, Greco, Fazzini. In seguito si sposta in Uruguay e si iscrive a Montevideo alla facoltà di Architettura, fa lo scenografo e il costumista al teatro di Stato, nel 1958 dipinge la sua prima Madonna, su richiesta di una famiglia, la «Madonna del velo», vista di profilo, alla maniera di Piero della Francesca. Nel 1960 rientra in Italia, e a Roma, con un lavoro che durerà due anni, realizza la «Via crucis» per la Cappella del Nuovo Ospedale di San Giovanni e una «Madonna della salute». Nel 1970 si sposta a Verona, dove apre un Centro artistico per dedicarsi alla realizzazione dell'idea di «Arte quale lavoro». Nasce la comunità artistica «Paideia», dove si praticano il teatro, la musica, le arti figurative e artigianali. Si firma Lao K, per ricordare il nome di sua madre, e si fa conoscere dipingendo un ritratto di Carla Fracci. Nel seguire l’artista attraverso le sue «Madonne», sono una trentina, tutte diverse l’una dall’altra, ciascuna rappresentazione ancorata ad un messaggio specifico, si deve partire dalla «Via crucis» di Roma, costruita non con le tradizionali “stazioni”, che bloccano ogni episodio, ma con un ciclo continuo di grandi pannelli orizzontali, che nel loro insieme costruiscono una «sacra rappresentazione». Qui il volto di Maria, più volte ripetuto nel susseguirsi degli episodi, è di una drammaticità estrema. Maria, al momento della Crocifissione non sviene, come la dipingono gli artisti dell’arte barocca, sta dritta, «Stabat Mater», chiusa nel suo dolore, partecipa al sacrificio del Figlio, è co-redentrice. Queste sequenze, costruite con un linguaggio espressionistico molto efficace, dovrebbero essere restaurate e conservate in un museo. Il secondo momento di questo percorso lo troviamo nella pieve romanica di Santa Giustina a Palazzolo (Verona) con due opere dipinte nel 2007, molto scenografiche, una «Annunciazione» e un’«Ultima Cena», ciascuna quattro metri per tre, costruite tra due lesene dipinte, come candelabri classicheggianti. Maria, con il volto della madre dell’artista recuperato e rielaborato da una fotografia giovanile, è presente in entrambe le scene. Nell’«Annunciazione» è seduta su di uno scranno marmoreo, uguale a quello su cui siede Gesù nell’Ultima cena; un particolare molto significativo: Maria è come associata all’opera di evangelizzazione e di redenzione del Cristo. Una riflessione ricorrente nella teologia mistica del domenicano Marie Dominique Philippe fondatore della «Comunità San Giovanni». L’«Annunciazione» non rimanda solo alla narrazione evangelica, ma recupera il testo di Isaia che si recita nella liturgia dell’Avvento: «Se tu squarciassi i cieli e discendessi» (Is 63, 19). Infatti la scena è costruita su due piani spezzati, una zona scura, le tenebre squarciate da un saetta di luce, da cui emerge Maria con un lungo abito scarlatto, ed una zona chiara in cui si muove in abito bianco, quasi precipitando, un angelo. Le loro mani non si toccano, nella composizione compare una terza mano, la mano del Padre, rivolta verso lo spettatore, alla maniera di Caravaggio, ma che allude alla mano della creazione di Adamo della Sistina. Altri simboli completano la scena, un giglio dietro lo scranno di Maria richiama la verginità della Madre, un uovo in una coppa allude alla nascita e alla resurrezione. Il pavimento sembra composto da pedane in movimento, quasi come a teatro. Un’«Annunciazione» moderna in una chiesa antica. Nella presentazione del dittico di Santa Giustina si commenta: «Lao K. ha corso il rischio di realizzare la sua Annunciazione "moderna" che ci permette cioè di vedere ed ascoltare un'eco attuale del “sì” di Maria nella nostra lingua, e non nella lingua di Dante-Giotto del Trecento, e nemmeno nella lingua di Ariosto-Correggio del Cinquecento». Troviamo questa modernità anche in un’opera del 2009 «Famiglia sacra», che si può ammirare nella cappella della comunità «La zolla», fondata a Cremona da don Mario Picchi. La scena è costruita all’interno di uno spazio ovoidale, che significa nascita e resurrezione, malgrado le difficoltà della vita, fatta anche di urti ed incomprensioni, rappresentate da triangoli e figure geometriche spezzate, che riempiono lo spazio interno. Al centro l’artista rappresenta Maria, con il volto di sua moglie, che tiene in braccio il bambino, la grande mano di Giuseppe le porge un anello d’oro, una “vera”, simbolo dell’unione coniugale, perché il loro reciproco amore è stato un “vero” matrimonio. Il bambino gioca con due cintole, allusione alla «Madonna della cintola», una rossa ed una blu, che possono significare a livello teologico la natura umana e la natura divina di Cristo, e a livello morale la scelta tra il bene e il male. Quella rossa scende su di un teschio cornuto, il diavolo, e buca una sfera nera, l’occhio del male, perché è proprio attraverso l’incarnazione che Cristo salva il mondo, in quanto come Dio non poteva né patire, né morire. In alto, fuori campo, in bianco e nero, il volto michelangiolesco del Padre. Un mantello giallo copre parzialmente il capo della Vergine e scende a coprire in parte il bambino. E’ un linguaggio moderno non puramente descrittivo, fatto di figure tra loro sproporzionate, come si può rilevare dalle due grandi mani in quest’opera. In un bozzetto per la «Madonna della fame» studiato per la porta della chiesa di San’Eufemia a Verona, un’enorme mano di Maria, rivolta verso chi entra, respinge il male, come indica un cartiglio «per me transite» a significare che Maria è veicolo di salvezza. L’arte contemporanea non rompe solo lo spazio, ma anche il tempo, in una splendida «Madonna del calice» del 2009 l’artista raccorda la nascita e la morte di Gesù. Qui la grande mano porge un calice dal quale sorge la dolcissima figura del bambino; la Madre, con un abito di raso bianco, simbolo dell’Immacolata concezione, è avvolta in un mantello giallo dalla fodera nera istoriata. Un falda di questo mantello copre un seno, fonte di nutrimento per il bambino. E’ un’opera sulla quale riflettere, quando ci nutriamo dell’Eucarestia, non dovremmo dimenticare che il corpo di Gesù che riceviamo è carne nata da Maria. E’ ancora M. D. Philippe a rivelare che, quanto il soldato romano ha colpito con la lancia il cadavere di Gesù, è Maria che ha sofferto il colpo, venendo così coinvolta nel sacrificio redentore, perché è lei ad offrire al Padre il corpo morto di suo Figlio. Lao K. sa esprimere nel linguaggio iconografico le convinzioni più profonde dell’esperienza cristiana; in questi ultimi anni ha commentato il «Credo» (2009) e «Le 10 parole di Dio», i «Comandamenti» (2011), ha costruito un «Crocifisso trinitario» (2009), una «Croce dei sacramenti» (2010) ed ora per il Seminario di Verona lavora al «Padre nostro». Non sono opere devozionali, non hanno intenzionalità didattiche, ma creazioni artistiche che nascono dallo studio e dal lavoro artigianale di un maestro dell’arte contemporanea. Piero Viotto
|