![]() Accesso utente |
Il sogno catalano: lasciare la Spagna«Convergenza e unione (Ciu), la coalizione di Artur Mas, ha ottenuto il 30 per cento dei voti, perdendo 12 seggi ma conquistandone pur sempre 50 sui 135 a disposizione. La seconda forza in Parlamento è la Sinistra repubblicana di Catalogna (Erc) anch'essa a favore dell'indipendenza che, con il 13 per cento dei voti, ha raddoppiato la propria rappresentanza, ottenendo 21 seggi. E' dunque azzardato dire che gli elettori abbiano bocciato il cammino verso la sovranità catalana. Piuttosto sulla sconfitta di Ciu hanno pesato i tagli alla spesa pubblica che hanno caratterizzato la politica di Mas in questi anni». Chiamato a commentare le recenti elezioni in Catalogna, la più importante regione spagnola, il politologo Viçens Villatoro fotografa così l'esito di una sfida che è parsa mettere in fila tre ipotesi: il centralismo spagnolo, impersonato dal Partito popolare (Pp), il federalismo, sostenuto dal Partito socialista (Psoe), e il nazionalismo catalano, la cui anima moderata si identifica in Ciu, e quella progressista in Erc. Come valuta il risultato delle elezioni catalane, dal punto di vista dei due partiti nazionali, ossia popolari e socialisti? Il Partito socialista, sceso da 28 a 20 seggi, è divenuto la terza forza politica catalana a causa della generale crisi della socialdemocrazia in Europa e della sua ambiguità sulla questione catalana. La sua proposta federalista non è molto credibile, perchè oggi vi è ben poco federalismo nei rapporti tra lo Stato centrale e le comunità autonome, e questo assetto è stato in larga parte disegnato negli anni in cui erano i socialisti a governare il Paese. Nella contesa catalana il Partito popolare ha saputo invece capitalizzare, insieme a Ciutadans, buona parte del voto contrario all'indipendenza. Il Pp resta comunque la quarta forza della Catalogna: magro risultato per la formazione che governa la Spagna. In definitiva può dirsi che il nazionalismo catalano tiene bene le proprie posizioni e che molti elettori delusi da Ciu hanno riversato i propri consensi su Erc, la formazione di sinistra da sempre favorevole alla sovranità della Catalogna. Erc è cresciuta nella misura in cui ha saputo attrarre un voto che ha voluto rafforzare l'indipendentismo e castigare il governo catalano moderato per le sue politiche antisociali. Quale potrebbe essere la nuova maggioranza il governo della Generalitat? Ci sono soltanto due maggioranze politicamente possibili. La prima vedrebbe insieme Ciu ed Erc per una piattaforma indipendentista e un processo di autodeterminazione. Il problema è che queste due formazioni sono assai distanti sui temi sociali ed economici. La seconda ipotesi, più coerente riguardo alle questioni economiche, è un'intesa tra Ciu e socialisti che potrebbe comprendere un programma federalista. Oggi la Catalogna vive una situazione sociale molto difficile. Quale politica economica si rende necessaria? La stessa degli ultimi anni o qualcos’altro? Siamo in una fase di gravi difficoltà sociali e i rischi per l’economia catalana sono molto elevati. Va però evidenziato come la Catalogna non ha molti margini per decidere la propria politica economica, ma deve adattarla, nell’ambito delle proprie competenze, alla politica spagnola e alle direttive europee. Il governo di Ciu ha adottato misure di rigore sociale che hanno colpito sopratutto l’istruzione, la sanità e l'assistenza pubblica. Per le forze che auspicano l’indipendenza, proprio la rottura con la Spagna dovrebbe permettere di disporre di maggiori risorse finanziarie e dunque di più ampi margini di manovra in ambito economico. I proventi fiscali versati dalla regione sono infatti molto più elevati dei contributi che si ricevono dallo Stato. Perchè in Catalogna si parla di indipendenza? Una parte molto rilevante della società catalana, talvolta la maggioranza dei cittadini, considera che lo Stato in tema di fisco, cultura, economia, infrastrutture adotti delle politiche contrarie agli interessi e alla specifica identità dei catalani. Tutto ciò sta cominciando a sfociare in una volontà di indipendenza nazionale. La Spagna per questi vasti strati di popolazione non agisce come uno Stato in cui riconoscersi, ma come un qualcosa di estraneo e, a volte, addirittura ostile. L’indipendenza è davvero la buona soluzione per i catalani? L'indipendenza va collocata in una dimensione europea che diluisce le frontiere e relativizza la stessa sovranità nazionale. Si tratta di immaginare uno Stato in grado di preservare meglio gli interessi, il benessere e la cultura dei catalani, in un ambito democratico ed europeo. La Costituzione proibisce un referendum sull’indipendenza. Cosa succederà? Se una chiara maggioranza di catalani, espressa liberamente nelle urne, desidera una consultazione sull’indipendenza, è molto difficile impedirlo nel nome di una Costituzione approvata negli anni Settanta, per uscire dalla dittatura franchista. Sarebbe auspicabile che si facesse il referendum entro i meccanismi che presidiano la Costituzione. In ogni caso, la Carta costituzionale non può essere il freno alla volontà democratica dei cittadini, semmai dovrebbe essere l'alveo che garantisce la libera espressione popolare quando vi sono questioni sentite da milioni di persone. Un eventuale Stato catalano sarebbe fuori dall’Unione europea e dovrebbe aprire una trattativa con Bruxelles. Una questione piuttosto complicata… In effetti una secessione democratica sarebbe una situazione alquanto inedita e comporterebbe una serie di problemi. Resta il fatto che la volontà dell’immensa maggioranza dei catalani è di rimanere nell’Unione e difficilmente questa potrà rinunciare ad un’economia tanto importante come quella catalana e ad un territorio strategico nel quale transitano buona parte delle comunicazioni tra la penisola iberica ed il continente. Sono dunque convinto che, se dovessimo trovarci sulla strada dell’indipendenza, il pragmatismo e realismo politico si imporrebbero su qualsiasi veto o boicottaggio di sorta. Non pensa che la soluzione migliore sia una Catalogna in una Spagna federale? Bisognerebbe innanzitutto che la Spagna credesse fino in fondo ad un modello federale. E se Madrid offrisse a Barcellona un patto fiscale come nei Paesi Baschi e in Navarra? Potrebbe essere una buona soluzione perchè parte del malessere catalano è di indole fiscale. Il problema è che quando la Generalitat catalana pose la questione al governo spagnolo vi fu una totale chiusura e anche l'opposizione socialista si mostrò contraria. C'è quindi da sperare in un ripensamento sulla fiscalità, anche se talvolta ho la sensazione che è il modello stesso dello Stato delle autonomie ad essersi esaurito. In definitiva, come vede il futuro della Catalogna? Difficile fare previsioni. I risultati delle elezioni catalane non aiutano certo a chiarire le prospettive future. C'è però il fatto che, per la prima volta nella storia, i partiti che propongono l’indipendenza della Catalogna dispongono della maggioranza assoluta del parlamento catalano, dopo un’elezione con una partecipazione eccezionalmente elevata. Credo che si potrà giungere ad una consultazione popolare, anche vi sarà una dura opposizione del governo e dello Stato spagnolo. L'avvenire è incerto, però in ogni caso non pare possibile immaginarlo senza una profonda trasformazione delle relazioni tra Spagna e Catalogna. Aldo Novellini
|