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Tra sanità e profitto«Entro il 2040 la popolazione di non autosufficienti raddoppierà e, con essa, la spesa sanitaria: l’uso delle cure palliative diventerà una priorità, assieme all’utilizzo di metodi per controllare il dolore e dare assistenza psicologica e spirituale. A fronte di un sovraccarico fiscale che peserà sui cinquantenni, i rapporti familiari saranno fortemente stressati». Questo il quadro tratteggiato nei giorni scorsi a Roma al convegno «Bioetica ed Europa cristiana» e questo è lo scenario a cui guarda anche il seminario di approfondimento su «La continuità delle cure socio-sanitarie per i malati non autosufficienti», in programma il prossimo 10 dicembre presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale (via XX Settembre 83) a Torino. Alla mattinata di studio, promossa dalla Consulta regionale per la Pastorale della Salute della Conferenza episcopale piemontese (Cep) parteciperanno l’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia e l’assessore alla Sanità regionale Paolo Monferino. Le conclusioni saranno affidate a don Marco Brunetti, incaricato regionale della Cep per la Pastorale della Salute. Don Brunetti, il 14 novembre scorso è ripreso lo sciopero della fame dei malati di Sclerosi laterale amiotrofica, che chiedono il ripristino del Fondo per la non autosufficienza. Ritiene giuste e utili forme di protesta estreme come questa? Non si dovrebbe arrivare a tanto. Chi ha ruoli di responsabilità dovrebbe intervenire molto prima. È tragico che malati così gravi debbano scendere in piazza, con i loro famigliari e i volontari, per chiedere il riconoscimento di diritti garantiti dalla Costituzione. Data la situazione, probabilmente non rimanevano altre strade e qualcosa in effetti hanno ottenuto. Ivan Cavicchi, docente di Sociologia dell’organizzazione sanitaria, ha scritto su «Il Fatto quotidiano» del 19 novembre scorso: «Sta prendendo piede la teoria agghiacciante che ritiene che la giustizia sociale e i diritti costano troppo, che il nostro Paese non se li può più permettere. Il post-welfarismo in Sanità ha i tratti detestabili della selezione sociale, del reddito che decide chi vive e chi no». Sono affermazioni esagerate? È un giudizio forte, però mi pare ci sia un fondo di verità. Credo che tutto abbia avuto origine nel momento in cui si è deciso di “aziendalizzare” la Sanità e si è diffusa l'idea che questo sia un settore come gli altri. Nell’udienza del 17 novembre scorso ai partecipanti alla XXVII Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, il Pontefice ha ricordato che la salute pubblica non può essere considerata una merce sottoposta a leggi di mercato e, quindi, un bene riservato a pochi. Perché se tutto è gestibile in termini aziendali, allora il profitto la fa da padrone. Detto questo, è altrettanto evidente che non si può pensare a una Sanità che risponda a tutti i bisogni, compresi quelli più “superficiali”. Forse è anche giusto educare, nel rispetto dei singoli redditi, a una sorta di contribuzione e pretendere che non ci siano sprechi. Sempre secondo Cavicchi, «il dramma della Sanità non sono i suoi problemi, ma il “riformista che non c’è”, quello che fa finte riforme per compensare i tagli, che spende più in corruzione che in assistenza…». Quali sono secondo lei le riforme più urgenti da attuare? Sono stati fatti diversi tentativi di riforma abbastanza ben fatti. Lo stesso Piano socio-sanitario attuale della Regione Piemonte, nell'insieme, sarebbe una buona proposta, perché contempla la continuità delle cure socio-sanitarie, l'assistenza domiciliare, il fondo per la non autosufficienza, le cure palliative... Il punto, però, non è scrivere le riforme, ma dare ad esse contenuto e sostanza, soprattutto a livello di risorse. Diversamente ci troviamo con hospice che hanno metà letti vuoti, perché le Asl non firmano i ricoveri per non pagare la diaria… E nello specifico degli ospedali cattolici cosa si dovrebbe fare? Gli ospedali retti da congregazioni religiose o, comunque, afferenti alla Chiesa cattolica sono sulla stessa barca. I vescovi italiani hanno ribadito più volte che gli ospedali e la sanità di ispirazione cristiana non sono "di parte", ma a servizio di tutti. E bisogna dare atto che, ad esempio, la Regione Piemonte ha inserito a pieno titolo le nostre cinque strutture nella rete ospedaliera. Però, anche qui, non bastano i riconoscimenti istituzionali: occorre dare risorse adeguate. Qualcuno auspica di mettere in rete tra loro le diverse realtà ospedaliere di ispirazione cristiana, in modo da creare sinergie e risparmi… Stiamo lavorando da tempo in questa direzione. Da qualche anno è operativo il Tavolo regionale delle realtà sanitarie di ispirazione cristiana e negli ultimi 18 mesi abbiamo lavorato alla costituzione di un Comitato etico unico: con l'inizio del 2013 chiederemo alle singole realtà di dare la propria adesione, in modo da avviare il servizio a norma di statuto. Sono “segnali” ed è evidente che si potrebbe fare di più, arrivando magari un domani a una forma di federazione. Ma il cammino è tracciato. Secondo il ministro Balduzzi una delle cause principali delle criticità nell’assistenza dei pazienti con grave disabilità è il fatto che «il settore sanitario e quello assistenziale hanno punti di contatto, ma sono organizzati in modo diverso». Cosa ne pensa? Credo che occorra superare l'idea di una suddivisione a comparti stagni, con la sanità da una parte e il socio-assistenziale dall'altra. Perché, altrimenti, viene meno il concetto stesso alla base della continuità delle cure. La Sanità non può garantire i livelli essenziali di assistenza solo nella fase acuta, perché il paziente non risolve sempre tutti i suoi problemi uscendo dall’ospedale. Quando torna a casa può ancora avere bisogno di cure, riabilitazione, accompagnamento... È chiaro che i due settori in questione non si possono contrapporre, bensì integrare. Dal punto di vista concettuale il problema è stato risolto: lo stesso Piano socio-sanitario della Regione Piemonte ne è una prova, ma non basta. Occorrono fondi. Il problema ha poi un ostacolo giuridico: la nostra Costituzione tutela la salute come diritto fondamentale, ma è meno perentoria riguardo alle necessità socio-assistenziali, demandandole agli enti territoriali. Questo poteva andare bene nel 1948, quando l'ospedale provvedeva a tutto, inclusa la parte socio-assistenziale; oggi l’ospedale ha giustamente un ruolo diverso, però i problemi dei malati sono sempre gli stessi, quindi occorre adeguare l’organizzazione. Il già duro piano di razionalizzazione degli ospedali, annunciato dalla Regione e dall’Aress, potrebbe essere inasprito dal nuovo Decreto interministeriale, in base al quale sarebbero 264 i reparti ospedalieri tagliati in Piemonte. Cosa ne pensa? È una prospettiva preoccupante, perché inciderebbe non solo sui malati, ma anche sui posti di lavoro e sulla qualità assistenziale. Se in certi reparti si hanno turn over frenetici di degenti, il personale deve correre e l'assistenza perde in qualità. A questo punto bisognerebbe chiedersi se ulteriori tagli alla Sanità siano davvero necessari o, forse, non si debba intervenire in altri ambiti. Diversamente credo che le conseguenze saranno gravi. Il taglio dei posti letto avrebbe conseguenze anche sulla continuità delle cure socio-sanitarie? Certo, perché riducendo i posti letto si obbligano le strutture a trattenere i degenti per il minor tempo possibile, dimettendoli quando ancora hanno bisogno di assistenza e cure. Occorrerebbe allora rafforzare l'organizzazione extra-ospedaliera. E, soprattutto, dire con chiarezza chi è responsabile di cosa, indicando chi sul territorio si prenderà carico delle singole persone dimesse dall'ospedale. Qual è l’impegno specifico della Chiesa piemontese per le persone non autosufficienti? Lo scorso anno insieme alla Caritas, su invito della Cei, abbiamo stilato l'anagrafe regionale di tutti i servizi sanitari e socio-assistenziali presenti sul territorio e sono davvero molti. Quindi il nostro impegno è, anzitutto, continuare quest'opera capillare di assistenza e accoglienza. Un secondo impegno è farci portavoce delle istanze delle famiglie e della società civile, senza rivendicazioni prepotenti. In quest’ottica la Chiesa piemontese cerca di dialogare con le Istituzioni ed essere presente ai tavoli di confronto; inoltre mette in campo le risorse ancora a sua disposizione per aiutare chi è in difficoltà. Il seminario del 10 dicembre intende tenere vivo e aperto il confronto con l'Assessorato alla Salute della Regione. Tra gli accreditati ci sono numerosi direttori generali, direttori sanitari, responsabili di strutture e associazioni. L’obiettivo è condividere problemi ed esperienze, in modo da collaborare in modo più efficiente e contribuire al miglioramento della situazione di tante persone in difficoltà. Lara Reale
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