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Sulla produttività intesa da sostenereL’accordo sulla produttività, raggiunto tra governo e parti sociali, assume particolare importanza ai fini della promozione della desiderata e più volte invocata crescita. Nei commenti che ne sono seguiti sui diversi quotidiani, sono apparsi grafici ben noti a chi da anni studia il fenomeno e più volte inutilmente segnalati a quanti avrebbero dovuto tenerne conto. Dagli stessi risulta che, da almeno vent’anni, l’efficienza con la quale ha operato e opera l’economia italiana è molto minore rispetto a quella dei Paesi con i quali si trova a competere: anno dopo anno, il divario si è manifestato con impressionante regolarità, determinando uno scostamento crescente negli andamenti, decisamente penalizzante per il nostro Paese. La dimensione del problema è stata quantificata dall’Istituto centrale di statistica: tra il 1999 e il 2011 l’incremento medio annuo della produttività complessiva, riferita cioè al complesso dei fattori produttivi utilizzati, è stato dello 0,5 per cento (pari cioè ad un 9,1 per cento per tutto il ventennio). La variazione della produzione nel periodo è stata meno elevata della variazione del capitale e del lavoro impiegato. In pratica l’aumento verificatosi nella produttività è stato di certo inferiore agli aggravamenti del costo dei fattori produttivi; aggravamenti che avrebbe dovuto contenere o meglio contribuire ad abbassare. La difficoltà della situazione è immediatamente percepibile se si pensa che da tale insufficienza è derivato l’incremento dell’incidenza di tali costi sull’unità di prodotto e, con esso, la crescita dei prezzi di vendita con conseguente diminuzione della competitività dei nostri prodotti sui mercati. Di qui una delle spiegazioni del mancato o insufficiente sviluppo al quale il Paese è stato condannato, ben prima dell’attuale drammatica crisi. Il patto sottoscritto assume quindi un grande valore e sta ad indicare la scelta di operare in controtendenza tramite la valorizzazione della contrattazione di secondo livello e gli sgravi fiscali dei salari dovuti al lavoro, in quanto esso generi miglioramenti di produttività. In questo contesto si producono le condizioni per l’utilizzazione delle non indifferenti risorse a ciò destinate dalla legge di stabilità (più di 2,1 miliardi). Sul piano concreto è fuori dubbio che l’accentuazione dell’importanza della contrattazione aziendale pur nel rispetto di quella nazionale consente di definire il livello e la dinamica salariale rapportandola alle concrete condizioni nelle quali operano le singole imprese, garantendone la sostenibilità nel tempo. Può valere l’esempio della Germania quando nelle fasi più critiche degli anni appena trascorsi, furono proprio gli accordi sindacali sull’organizzazione del lavoro e sulla sua remunerazione nelle diverse unità produttive a scongiurare la recessione e a creare le condizioni per un successo che dura tuttora. Il collegamento della detassazione all’obiettivo del miglioramento di efficienza significa al tempo stesso dare il senso opportuno allo stanziamento delle relative risorse finanziarie in questa fase di accentuata scarsità; in quanto l’incremento di produttività sia l’esito del loro impiego, concorre a migliorare il benessere di quanti ne sono stati artefici. La valutazione positiva dell’accordo e delle connesse misure governative non esime dal riflettere sulla consistenza reale delle scelte da compiere e sulle azioni conseguenti per produrre in concreto i miglioramenti di efficienza necessari. In questa direzione, è necessario sottolineare che i pur opportuni cambiamenti di natura organizzativa e le innovazioni di processo non sono sufficienti a recuperare i divari creatisi nei confronti delle economie concorrenti e ad impedire il loro ulteriore allargamento. In concreto, pensare come in tempi passati di ridurre l’impiego dei fattori produttivi (tutti, non solo del lavoro) per ogni unità dei beni posti sul mercato senza agire sulla loro quantità e soprattutto sulla loro qualità non è né proponibile né possibile tecnicamente. Vi si oppongono ragioni sociali come quelle collegabili alla riduzione dell’occupazione e un certo affievolirsi delle stesse opportunità di innovare modificando il rapporto tra capitale e lavoro a danno del secondo. La via obbligata è certamente diversa e chiama in causa il cambiamento di quanto viene prodotto e posto sui mercati, non tanto in termini di quantità quanto in termini di mutamento di natura e di accrescimento della qualità. In altre parole, occorre prendere coscienza della necessità di addivenire ad una diversa struttura dell’offerta quale insieme di prodotti nuovi, tecnologicamente avanzati e come tali portatori di maggiore valore aggiunto. Molte ricerche svolte sulla specializzazione della produzione italiana hanno dimostrato la sostanziale stabilità nel tempo di detta struttura, centrata in larga prevalenza su beni tradizionali poco tributari della scienza; l’industria nazionale continua cioè, decennio dopo decennio, a non allontanarsi da tale composizione, al contrario di quanto avviene nei paesi a maggiore sviluppo, non necessariamente lontani (Francia o Regno Unito). Si delinea in tal senso il tema della destinazione dei mezzi finanziari che il governo attuale e ovviamente quello che seguirà dovrà dare per il raggiungimento di tali finalità: incoraggiamento della ricerca scientifica e di base per promuovere l’avanzamento tecnologico e quindi la connessione tra scienza e produzione; miglioramento della formazione dei giovani per rendere la loro preparazione coerente con tale esigenza di cambiamento. Il cammino non è certo facile anche perché oltre agli ostacoli materiali occorre superare resistenze psicologiche spesso collegabili a facili successi del passato, non più ripetibili, o alla ostinata indisponibilità ad accettare il progresso quando investe consuetudini inveterate, malintesi intenti di protezione ambientale o richiede sacrifici nell’interesse collettivo. Né mancano difficoltà connesse a carenze di natura infrastrutturale sulle quali già s’è insistito, dalle insufficienze del sistema dei trasporti, della gestione dell’informazione, della possibilità di creare nuove iniziative. Particolare peso ha per l’Italia il venir meno negli anni della presenza delle grandi imprese, indispensabili per disponibilità di mezzi finanziari, ampiezza dei mercati e dimensioni di investimenti, per generare occasioni di innovare in termini di qualità di prodotto. Nel quadro dell’evoluzione dello scenario internazionale non pare tuttavia esservi percorso diverso da quello delineato per ottenere una ricchezza in grado di assicurare un’esistenza dignitosa ad un Paese popolato da milioni di abitanti. Proprio con questa consapevolezza è giocoforza sottolineare l’esigenza di un azione di governo decisa nello stabilire le linee d’azione da seguire e in grado di durare nel tempo per darne attuazione con la necessaria continuità. Giovanni ZANETTI
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