Così è la Turchia

Sarà perché è il Paese dai mille contrasti, culla di storia, tradizioni, leggende, sarà perché la cucina è ottima e varia e i turchi un popolo ospitale e generoso, sarà per il mare cristallino, le baie selvagge, le distese incontaminate, che si perdono a vista d’occhio, ma la Turchia è un luogo che strega e ammalia E un viaggio attraverso questo Paese, che corre veloce verso il futuro, pur affondando le proprie radici in un passato millenario, offre al viaggiatore attento e curioso un’infinità di spunti ed emozioni.

Agosto 2012: quattro settimane fra la Turchia e Cipro. Tre auto, di cui due fuoristrada, e cinque tende ci permettono di addentrarci fuori dai percorsi turistici, fare campo sugli altipiani, attraversare le città dell’Est turco. Settemila chilometri alla scoperta di un Paese di frontiera fra Oriente e Occidente, capace di offrire a chi lo attraversa impressioni contrastanti: grandi strade in costruzione, cantieri in fermento su cui ancora circolano donne e uomini a dorso di mulo, marine moderne e di estremo lusso che distano poche decine di chilometri da città in cui il tempo pare essersi fermato, Campus universitari che ricordano quelli americani al confine con terreni ancora vergini, in cui pascolano pecore e capre. Mercati dai sapori d’Oriente, inoltre, strizzano l’occhio alle boutique delle griffe più moderne.

Quando si pensa alla Turchia il pensiero corre subito a Istambul: la «città delle città», come la definivano i cinesi più di un millennio fa. E Istambul è davvero la «città delle città»: 12 milioni di abitanti, sostiene la Guide de Routard, 20 milioni, scrive la Lonley Planet. Ma gli abitanti di Istambul non si contano, si incontrano. Istambul è una Terra di mezzo, sospesa fra Oriente e Occidente, sinonimo di complessità e ambivalenza: pur essendo tipicamente turca, rappresenta un’eccezione rispetto al resto del Paese. Qui tutte le province e tutti i mestieri si fondono in un variopinto brulichio cosmopolita. C’è il pastore anatolico che porta il gregge fra le case popolari, il curdo in şalvar venuto a conoscere la città, artigiani armeni, facchini e acquaroli, mercanti e ambulanti. Non bastano pochi giorni per visitarla, per addentrarsi nel suo cuore pulsante e togliersi dalle zone più turistiche, per perdersi e ritrovarsi nelle viuzze intricate traversate da ampi viali, per visitare le moschee, dalla Moschea blu a Santa Sofia, il Gran Bazar (il più grande mercato coperto al mondo) e il Bazar egiziano, i quartieri affacciati sul Bosforo, dove la vita notturna la fa da padrona, i palazzi sontuosi che rimandano alle leggende delle «Mille e una notte».

Ma la Turchia è molto altro ancora. Sono gli Altipiani anatolici, luoghi in cui la strada, lasciato il caos di Istambul, corre veloce, quasi deserta, costellata di baracchini che vendono frutta e verdura, pistacchi e frutta secca, e ci conduce lontano dal frastuono di Istambul, oltre i mille metri di altitudine, finalmente al fresco. Campi incontaminati in cui montare le tende in un paesaggio da film: una distesa immensa di grano arato, che si estende a perdita d’occhio e qui sperimentiamo, per la prima volta, la cortesia dei turchi. Sempre disposti ad accogliere i viaggiatori, portare un thè da condividere sotto il cielo stellato, cercando di comunicare attraverso quella lingua conosciuta a tutti che è l’ospitalità, portando in dono il loro formaggio.

Lasciato il primo campo costeggiamo l’immenso lago salato di Tuz Gölü, fra i più grandi al mondo, addentrandoci nell’Anatolia centrale: un altopiano circondato dalle montagne, un morbido terreno vulcanico, tufaceo, che millenni di erosione hanno poi corroso e modellato dando vita alla Cappadocia. Comignoli, pinnacoli, camini, grotte e gole, la Cappadocia sembra l'opera di uno sciame di api operose. Anche gli esseri umani hanno lasciato qui il segno del loro passaggio, sotto forma di affreschi nelle chiese rupestri bizantine e di complesse città sotterranee scavate nelle viscere della terra. Il turismo, purtroppo, la fa da padrone e i camini di fata, pinnacoli spettacolari che svettano in ogni dove, sono stati trasformati in alberghi più o meno lussuosi. Eppure anche qui, fra campeggi e souvenir, si trovano sentieri lontani dal turismo di massa, valli incantate, come quella di Hilara, una gola lussureggiante scavata come un profondo canyon, sulle cui pendici si trova un centinaio di chiese che risalgono al VI secolo d.C.

La Turchia è l’Anatolia orientale, la parte più a Est del Paese, lontana dall’atmosfera cosmopolita di Istambul, dal turismo di massa della Cappadocia, è una regione ricca di storia, tagliata dal Tigri e dall’Eufrate. Qui si trova Malatya, la capitale delle albicocche dove, sopra ogni tetto, vengono posti nei mesi estivi i frutti a seccare. Il confine con la Siria è vicino, forse troppo, e l’ultima notte di campo, prima di lasciare la Turchia, ci fermiamo vicini alle antenne delle telecomunicazioni. Non passa molto prima che arrivino i gendarmi per farci allontanare: è pericoloso. Attendono che il campo sia smontato, le auto caricate e ci scortano fino a Gaziantep, la capitale economica del Sud-Est turco. La mattina si riparte, la strada sale traversando paesaggi quasi alpini e conduce al Monte Nemrut, il più alto della Mesopotamia, dove si trova l’ottava meraviglia del mondo, il gigantesco santuario funerario eretto nel I sec. a.C. dal Re Antioco I di Commagene, il Nemrut Dagi. Affascina il luogo, punto di incrocio spettacolare delle civiltà orientali e occidentali, a 2.206 metri di altezza, con le sue immense statue decapitate dal terremoto, offre un panorama mozzafiato che domina sulla Mesopotamia.

La Turchia è mare, quello cristallino, delle baie che si affacciano sull’Egeo, la penisola di Bodrum e di Marmaris, luogo di vacanze e villeggiatura per tanti turisti, sia turchi che stranieri. Il senso di autenticità dell’Est è lontano, il turismo la fa da padrone eppure le baie, i boschi di pini e i retaggi di antiche civiltà che testimoniano oltre cinque millenni di storia fanno, almeno in parte, sopportare la folla internazionale.

Ma la Turchia sono i mercati, da quelli di Istambul, i più celebri e turistici, a quelli dei piccoli paesi. Come Tire, a una manciata di chilometri dalle lussuose marine della costa, cittadina ancora sospesa in un passato lontano che ogni martedì ospita il mercato: un appuntamento regionale che riunisce i contadini di una sessantina di villaggi dei dintorni che vengono a vendere frutta e verdura, formaggi e capre. Anche se i tempi cambiano si trovano ancora, nelle viuzze della città vecchia, intrecciatori di corde, conciatori, sellai e feltrai.

Infine, la Turchia è memoria del passato, con siti archeologici spettacolari, nascosti fra valli e montagne, come accade a Thermessos, racchiuso a mille metri fra picchi rocciosi e aspre falesie. Un luogo che riserva, a chi riesce a raggiungerlo, scorci mozzafiato sulla vallata sottostante, e in lontananza, su Antalya e sul mare e su un Paese che è in continuo divenire.

Raffaella RONCHETTA

 



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