Il mondo cambia. Ma il Vangelo no

 

«Il diritto assume il primato sulla morale intesa nel senso tradizionale del termine. Si è rovesciato quanto nell’antichità era dato come fatto acquisito: il diritto dipende dalla morale, non viceversa».

Questa frase si legge a pagina 41 di un libro appena uscito da Cittadella editrice con il titolo «Alla ricerca del bene comune» (pp. 120, euro 11,80) in cui sono raccolti otto testi scritti da Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, nell’arco della sua ormai ventennale esperienza pastorale a Roma, Vicenza e, dal 2010, nel capoluogo piemontese.

Questa frase ci è parsa senza alcun dubbio come il punto cruciale di tutto il libro, per un motivo molto semplice: essa spiega analiticamente ma sinteticamente il confronto che la Chiesa cattolica sta sostenendo con il mondo e la società umana di oggi, in cui la cultura dominante, sottolinea Nosiglia nella pagina successiva, «sembra propensa ad accogliere il riferimento all’etica, ma nei limiti in cui questa riconosce il primato del diritto così come è codificato ed accettato dagli ordinamenti giuridici che, a loro volta, sono soggetti alla cultura che cambia e alle stesse opinioni prevalenti nella società». In particolare, come disse il cardinale Ratzinger alla vigilia della sua elezione al pontificato, «si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».

 Nella definizione di «relativismo» dato dal Papa Benedetto XVI a questo atteggiamento culturale moderno c’è tutto quello che occorre sapere prima di entrare in una questione che riguarda tutti noi che in quest’epoca viviamo e che siamo concretamente chiamati a smettere di pensare come i giuristi di Roma antica che «tre sono i precetti del diritto: vivere onestamente, non danneggiare nessuno, dare a ciascuno il suo», precetti accettati e riproposti da sant’Agostino, dalla Scolastica e dalla Dottrina sociale della Chiesa cattolica dalla Rerum Novarum del 1891 in poi.

Alla base di questi precetti c’è, osserva Nosiglia, il principio di san Tommaso d’Aquino, secondo il quale «il diritto è l’oggetto della giustizia», dunque fondato su una virtù, mentre oggi si pensa che non esista più un’etica generale, soprattutto se di natura religiosa, che detta i comportamenti individuali, considerati «un fatto privato, accettato solo come scelta soggettiva che non può avere nessuna rilevanza normativa sull’individuo e tanto meno rilevanza pubblica».

Il senso ultimo e fondamentale del contrasto fra il giuridicismo laico-relativistico e la morale evangelica si rileva facilmente nelle questioni riguardanti la vita e la dignità dell’uomo, come creatura voluta da Dio dal concepimento alla fine naturale. L’arcivescovo di Torino ha culturalmente buon gioco nell’osservare come «l’esperienza storica del Novecento, con le sue immani tragedie e i genocidi legalizzati da norme riconosciute oggi da tutti assolutamente ingiuste e contro l’uomo, ha confermato un asserto fondamentale: il diritto non deve mai più lasciarsi asservire o identificare con la mera forza politica, culturale, sociale; mai deve farsi strumento di ingiustizia, di oppressione, di disumanità. Nessun ordinamento giuridico deve erigersi in forma assolutamente indipendente da qualsiasi normativa etica che lo sorregga e ne guidi lo sviluppo e il servizio alla giustizia, ma deve, al contrario, assumere a suo fondamento il riconoscimento della dignità dell’uomo».

Il capitolo in cui è svolto questo argomento cruciale del rapporto fra fede e ragione da una parte e cultura dominante nella società contemporanea dall’altra, è il terzo del libro, preceduto da quelli in cui si tratta del bene comune e del lavoro, e seguito da quelli sul servizio politico e sociale, sulla giustizia e sulla carità intese nel senso delle Beatitudini evangeliche, sui testimoni di speranza cristiana nel mondo, sull’invito del Papa a far nascere una nuova generazione di laici cristiani in politica e sull’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate.

E’ facile, scorrendo queste pagine, trovarvi una attenta ed efficace sintesi della Dottrina sociale della Chiesa, ma non soltanto dal punto di vista storico-culturale. Essa infatti ha come oggetto, come abbiamo rilevato riguardo all’etica, lo scontro attualissimo fra la visione cristiana e quella “laica” dell’economia, con le sue naturali componenti del lavoro, del welfare, del profitto e della “giusta mercede”, della professionalità e della tecnologia, della preparazione dei giovani e dell’accoglienza degli immigrati, e così via.

Quello che differenzia questa analisi proposta da monsignor Nosiglia rispetto alla storiografia economico-sociale corrente di parte cattolica, dalla fine dell’Ottocento al crollo del Muro di Berlino, è che essa fa seriamente e senza pregiudizi i conti con la situazione attuale, in cui la crisi riguarda il capitalismo divenuto “selvaggio”, il passaggio del potere economico dall’impresa alla finanza speculativa, la delocalizzazione industriale come risposta alla globalizzazione che sta distruggendo gli antichi, ingiusti equilibri fra Nazioni “avanzate” e Terzo mondo povero e sfruttato.

I risultati di questi sconvolgimenti li conosciamo: la precarietà del lavoro, la disoccupazione, i prepensionamenti degli esodati, il prevalere del profitto sulla giustizia retributiva, le necessarie, spesso dolorose riforme delle pensioni, dell’assistenza sociale, della sanità; con le conseguenze ben note soprattutto sulla famiglia, sempre stata il cardine della società: un terzo degli under 35 senza lavoro, le donne costrette a dividere la propria esistenza fra l’occupazione fuori casa e la cura dei figli piccoli (ormai sempre più senza padri conviventi, grazie alla crescente moltiplicazione dei gruppi umani cosiddetti “monogenitoriali”), il fenomeno della denatalità che sta davvero mettendo paura (in Italia nascono sempre meno bambini, a meno che non siano figli di immigrati) soprattutto se confrontata con l’aumento dell’età media della vita, il che lascia intravedere il futuro di un Paese di vecchi ai quali mancheranno giovani di rincalzo per pagare mutue sulla salute e pensioni.

Nosiglia osserva e nota con concreta esperienza tutti questi fenomeni e indica le auspicabili soluzioni: un’economia fondata sui «principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa: la centralità della persona umana; la solidarietà; la sussidiarietà; il bene comune». In sostanza, l’«umanesimo integrale» di Maritain, ovviamente rapportato a una situazione ben diversa da quella degli anni Trenta e successivamente da quella degli anni Cinquanta-Sessanta con il trionfo dell’industrialismo capitalistico di massa. Con un’aggiunta importante, augurabilmente decisiva: «Anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono, come espressione della fraternità, possono e devono trovare posto entro la normale attività economica», come si legge nelle pagine conclusive del libro. Un libro che, nonostante tutto, non rinuncia a indicare in una virtù tipicamente cristiana, la speranza, la strada per uscire, quando Dio vorrà, dal deserto culturale in cui viviamo.

Beppe Del Colle

 



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