Il petrolio domina gli equilibri mondiali

La notizia è di quelle che in condizioni normali, senza l’assillo dell’instabilità finanziaria internazionale, del monitoraggio della situazione dei Paesi periferici dell’Eurozona, degli interventi delle società di rating, avrebbe originato dibattiti, riflessioni e un profluvio di articoli anche sulla stampa non specializzata, mentre in queste settimane è passata quasi sotto silenzio.

Eppure, dal punto di vista economico e soprattutto geopolitico, potremmo trovarci di fronte ad una svolta epocale. Ci riferiamo alla concreta possibilità che, in un intervallo compreso tra i dieci e i vent’anni al massimo, il Nord America possa divenire non solo autosufficiente per il proprio fabbisogno di energia, ma addirittura un esportatore netto di materie prime energetiche, petrolio e gas naturale innanzitutto. Non si tratta di uno scenario nuovo per gli addetti ai lavori, in particolare per coloro che seguono l’affermazione delle cosiddette tecniche “non convenzionali” di estrazione di gas e petrolio, però per la prima volta ha ricevuto l’ufficializzazione dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), la massima autorità mondiale nel settore, che vi ha dedicato ampie riflessioni nel suo recentissimo World Energy Outlook 2012.

La svolta non è per domani, ma è davvero molto vicina considerando i tempi molto lunghi dei cicli energetici (si pensi che dall’avvio dello sfruttamento industriale del petrolio al momento in cui tale fonte è divenuta, nel fuel-mix mondiale, la più rilevante, è passato quasi un secolo e che il petrolio riveste questo ruolo leader ormai da cinquant’anni). Per comprenderne la natura e la portata occorre partire dalla situazione attuale. Anche i non specialisti hanno sempre identificato nel Nord America, e ovviamente negli Usa in particolare, i maggiori consumatori ed importatori mondiali di energia. I dati della stessa Aie sono a questo proposito inequivocabili.

Con riferimento al petrolio greggio, nel 2010 gli Usa hanno fatto registrare una produzione interna di 336 milioni di tonnellate (terzo posto mondiale, a grande distanza dai 502 milioni della Federazione russa e ai 471 milioni dell’Arabia Saudita). Mentre però questi due ultimi Paesi hanno esportato quote estremamente rilevanti del petrolio estratto (oltre il 49 per cento per la Russia e addirittura il 66 per cento nel caso della monarchia del Golfo) gli Usa per soddisfare il fabbisogno interno hanno dovuto aggiungere al petrolio estratto importazioni nette per circa 510 milioni di tonnellate, pari al 13 per cento circa dell’intera produzione mondiale del 2010 e ad un quarto di tutte le importazioni di oro nero. Alla luce di tutto ciò appare ovvio il ruolo giocato dagli Usa negli equilibri geopolitici internazionali, specie per quanto riguarda la diretta presenza navale statunitense nel Golfo Persico e l’influenza politica ed economica acquisita, in competizione con la Russia, nell’area caucasica e nelle repubbliche dell’Asia centrale ex–sovietica. La stessa proiezione della potenza politico-militare americana nella direzione di Paesi come Venezuela e Iran ha alla base comprensibili ragioni di carattere energetico.

Anche con riferimento al gas naturale la posizione attuale degli Usa è deficitaria, pur considerando che i più elevati costi di trasporto di questa fonte rendono molto più difficile il commercio internazionale e impediscono la formazione di un mercato mondiale integrato analogo a quello del petrolio. Infatti, sempre nel 2010, la produzione interna statunitense, pari a 613 miliardi di metri cubi, si è collocata al secondo posto mondiale a un’incollatura dalla Russia (637 miliardi di metri cubi), ma mentre la Russia ha esportato oltre un quarto della sua produzione, gli Usa hanno dovuto aggiungere alla produzione interna altri 74 miliardi di metri cubi di importazioni. In questo caso, però, va detto che, stante la posizione eccedentaria del Canada, le importazioni statunitensi si sono avvalse in larga misura del surplus canadese, anche grazie alla convenienza legata alla presenza di gasdotti di collegamento tra i due Paesi. Sul fronte del gas, quindi, il Nord America considerato nel suo complesso è sostanzialmente autosufficiente, ma da qui a pensare a cospicue esportazioni nette il cammino appare lungo.

Eppure lo scenario, come detto, sta cambiando con estrema rapidità. E le chiavi di questa svolta sono i giacimenti offshore del Golfo del Messico, le sabbie bituminose canadesi e, soprattutto, il gas non convenzionale e l’uso efficiente dell’energia. Con riferimento ai primi, è sufficiente osservare che, nonostante i gravissimi danni provocati all’ambiente da BP a causa dell’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon del 2010, le perforazioni sono proseguite praticamente senza interruzioni. Nonostante l’iniziale orientamento alla green economy, l’amministrazione Obama ha dovuto ben presto fronteggiare l’influenza estremamente rilevante della grande industria petrolifera americana e mondiale, e in ogni caso fare i conti con l’importanza economica, occupazionale e strategica della produzione petrolifera sul territorio Usa.

Quanto alle sabbie bituminose canadesi, concentrate prevalentemente nella zona settentrionale dell’Alberta, rappresentano un potenziale di riserve petrolifere costoso da estrarre e caratterizzato da rilevantissimi impatti ambientali, ma così ampio da essere ritenuto capace di cambiare l’attuale equilibrio delle riserve mondiali. Dalle sabbie (una combinazione di argilla, sabbia vera e propria, acqua e bitume) si estrae un semilavorato che può essere convertito in petrolio greggio sintetico (o, se si vuole, “non convenzionale”), per ottenere i classici derivati del petrolio. Le sabbie sono estratte o tramite miniere superficiali o da pozzi attraverso iniezioni di vapore e solventi. Il processo, oltre ad essere particolarmente costoso, ha quindi un impatto ambientale notevolissimo a fronte della sostanziale distruzione degli ecosistemi forestali sui quali impatta, nel caso di miniere a cielo aperto (superficiali) e a causa all’inquinamento del terreno e del consumo di acqua. In ogni caso, come si è detto, la disponibilità di petrolio nell’area canadese dell’Alberta e così grande da poter essere paragonata unicamente ai giacimenti non convenzionali di greggio cosiddetto “ultrapesante” del Venezuela. In terzo luogo, il risparmio di combustibile, legato alle normative sempre più severe introdotte in materia di efficienza energetica soprattutto nel settore dei mezzi di trasporto, sta determinando una crescita molto moderata del fabbisogno di idrocarburi, cosicché anche da questo lato emerge una spinta nella direzione dell’autosufficienza energetica

Ciò premesso, l’analisi condotta dall’Agenzia internazionale dell’energia, che svilupperemo dettagliatamente nella prossima puntata, si concentra prevalentemente sul gas non convenzionale, ossia su quei giacimenti ove il gas non è sotto pressione e quindi non fluisce autonomamente all’esterno al momento della perforazione dello strato impermeabile sovrastante.

(1 – continua)

Antonio Abate

 



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