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Famiglia, sola garanzia del futuro
Visto da lontano, il quadro del welfare italiano non è molto diverso da ciò che già si conosce. Una società che invecchia, lo spauracchio della precarietà, il difficile inserimento lavorativo delle donne, che si complica quando diventano madri, è ciò che gli studi registrano continuamente. A questo si accompagna un sistema di assistenza che non tiene il passo e che da tempo ha scelto di demandare le risposte ai bisogni al terzo settore e soprattutto alle famiglie. Lo ha sottolineato una recente indagine del Censis per Unipol: ogni anno le famiglie italiane spendono tra i 20 e i 22 miliardi di euro per i propri cari in difficoltà, sia con aiuti in denaro a fondo perduto, sia offrendo veri e propri servizi di assistenza agli anziani, di baby sitting e anche di semplice trasporto a chi ne ha necessità. La solidarietà familiare quindi è il vero tampone sociale, che agisce in spirito di gratuità grazie soprattutto alle donne: sono le mogli e le madri infatti a rispondere a problemi legati alla disabilità e alla non autosufficienza per il 36,8 per cento dei casi, cui si unisce il 6,8 per cento dei figli che restando più a lungo in casa, si coinvolgono nelle attività di cura. Spesso poi le mamme di bambini piccoli riducono il lavoro fuori casa, per almeno il 40 per cento, mentre il 12 per cento delle donne con figli decide di abbandonare il lavoro per mancanza di servizi di assistenza alla maternità. A voler coltivare un pensiero ottimista, si potrebbe leggere nel Piano nazionale per la famiglia, adottato dal Consiglio dei ministri lo scorso 7 giugno, un segno di cambiamento. E senz’altro formalmente siamo di fronte ad una novità, perché è la prima volta che la Repubblica italiana si dota di un piano di programmazione per le politiche della famiglia e mette in evidenza le linee d’intervento a largo respiro, che superano l’approccio emergenziale finora adottato in questioni di carattere sociale. «È stato finalmente messo nero su bianco che la famiglia è il soggetto su cui investire per il futuro del nostro Paese, perché in essa si compie la coesione sociale e si rafforza il rapporto tra generazioni», ha affermato Federico Fauttilli, capo dipartimento per le politiche della famiglia del Dipartimento del Consiglio dei ministri, durante il Festival della famiglia tenutosi a Riva del Garda dal 25 al 27 ottobre scorsi. «Il piano costituisce un cambiamento di approccio che influenzerà le azioni dei prossimi anni: il welfare sociale si costruirà sempre più in un rapporto di reti tra enti e territorio, superando la logica dell’assistenzialismo. Uno dei punti focali riguarda anche la sollecitazione ai governi di rivedere la fiscalità generale in funzione dei carichi familiari. Purtroppo la situazione economica attuale ha comportato delle modifiche agli interventi, però il principio di equità fiscale per i nuclei familiari è stato messo al centro dei valori, pur tenendo conto delle reali risorse a disposizione». Si è cercato quindi «di non scrivere un libro dei sogni, ma di mettere al centro il ruolo della famiglia nel lavoro di cura e indicando come prioritari gli interventi che sviluppino i servizi per la prima infanzia, i congedi parentali, i tempi di cura per la disabilità e la non autosufficienza, la conciliazione famiglia-lavoro, le pari opportunità. Su questo piano il governo ha quindi investito 810 milioni di euro per il 2013, di cui 730 sono recuperati da finanziamenti comunitari che negli ultimi anni non sono stati spesi, mentre 70 provengono da fondi nazionali». La priorità d’intervento è data ai servizi per la prima infanzia e per gli anziani non autosufficienti, prevalentemente in regioni deficitarie come Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Nuovi asili nido e sostegno alle strutture già esistenti, e supporto all’assistenza domiciliare, oltre all’incremento dei servizi residenziali, saranno quindi le priorità. Il rischio che le famiglie arrivino al collasso, dopo 5 anni di crisi in cui la pressione fiscale ha continuato a crescere proprio sui nuclei a reddito medio-basso, non è solo un allarme per gli economisti, ma anche per l’intero sistema di cura. «Solo nell’ultimo anno si sono scaricati sui redditi familiari quasi 80 miliardi di euro con la pressione fiscale», ha esordito Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. «A fronte di tante belle intenzioni, vorremmo però delle risposte concrete. Da tempo noi proponiamo di cambiare la legge di stabilità come primo passo. Ad esempio, abbassando di due punti l’Irpef, cosa di cui si sta discutendo, si potrebbero liberare fino a 5 miliardi di euro. Se dessimo anche solo 300 euro all’anno di detrazione per ogni figlio minorenne, che oggi sono circa 10 milioni, si darebbe un po’ di ossigeno alle famiglie e ci sarebbero ancora dei soldi per risanare il buco della pubblica amministrazione. Ma anche cambiando i parametri dell’Isee e inserendo un fondo paritetico per la conciliazione si potrebbe cominciare subito ad agire. Analogamente al fondo per la previdenza integrativa, unendo risorse pubbliche, soldi dei lavoratori e delle imprese si potrebbero attivare esperimenti di conciliazione, come il family audit». Al di là della capacità economica, comunque, il futuro prossimo del welfare dovrà cambiare processi. Ma quale modello è possibile? «In realtà non c’è un unico sistema applicato nel Paese, perché dopo la riforma del Titolo V della costituzione anche questo settore è passato dallo Stato alle Regioni, dando adito ad almeno sette tipologie di azione, con differenze fondamentali tra loro che richiederanno quindi l’elaborazione di diverse strategie sul territorio», ha evidenziato Giovanni Bertin, professore associato di Politica sociale all’università Ca’ Foscari di Venezia. «Studi internazionali mettono in evidenza che la nostra è una struttura formale debole, perché dal 2007 al 2011 lo Stato ha azzerato le sue politiche di welfare, cui le regioni hanno risposto in modo discontinuo, con un decentramento debole per le competenze locali, difficoltà di interazione e soprattutto mancanza di un processo di supervisione. D’altronde, il modello di welfare state cui ci si riferisce è ancora quello gerarchico, per cui per trasformare il libro dei sogni in realtà occorrerà accompagnare il processo di cambiamento, assumendo anche nuove procedure di governo tra istituzioni e territorio». Il problema evidenziato è infatti la mancanza di un piano integrato che sappia rispondere ai problemi legati al diritto alla casa, ai servizi educativi della prima infanzia e a quelli assistenziali, ai tempi di vita, al lavoro, all’immigrazione e agli sportelli informativi. «Non solo le istituzioni, come le Regioni e gli enti, ma anche il terzo settore, le imprese, le famiglie, i comitati per le pari opportunità e i media, sono elementi da integrare tra loro, promuovendo le buone pratiche e analizzando gli obiettivi che si possono raggiungere. Senza una governance locale di questi attori, ogni programmazione resta solo sulla carta», ha concluso Bertin. «Non ci si deve autoassolvere perché i limiti economici non permettono di agire in modo più radicale», ha quindi sottolineato il ministro alla cooperazione, con delega alla famiglia, Andrea Riccardi, «per anni la politica non ha messo a tema la famiglia, considerandola una vitalità naturale. Ma oggi, di fronte al numero crescente di persone sole e di coppie fragili, è solo credendo in essa che si può ripensare al futuro. Dare sostegno alle donne perché possano accedere al mondo del lavoro, potenziando i servizi all’infanzia, risponde a molti problemi, uno fra questi la povertà dei bambini: sono 339 mila i minori in povertà assoluta, specie se componenti di famiglie numerose. Favorire il reddito e quindi il lavoro femminile richiede che la conciliazione famiglia-lavoro sia un tema prioritario». «Si è promesso troppo in passato, pur sapendo di non poter mantenere», ha concluso il presidente del consiglio Mario Monti, «ma pur avendo molti limiti d’intervento economico, questo governo anomalo e a breve scadenza deve moltissimo alle famiglie. È grazie alla loro capacità di risparmio che si è riusciti a tenere fronte alla situazione di estremo rischio che tutti conosciamo. Consapevole che si deve ripartire dalla famiglia, per il 2013 oltre agli 810 milioni previsti per l’infanzia e la non autosufficienza, il governo ha previsto uno stanziamento aggiuntivo di 50 milioni per le politiche familiari e altri 25 per i giovani. Mi auguro che l’Italia diventi saggia come una buona famiglia, che non solo reagisce all’emergenza ma sa fare i sacrifici utili per un futuro migliore». Fabiana Bussola
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