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Cortazar diario di viaggio
Si può fare un viaggio in autostrada di ottocento chilometri mettendoci più di un mese e trascorrendo quasi tutto il tempo nelle aree di sosta? Sì, si può farlo, per gioco, per scommessa, o per divertimento, come hanno fatto Julio Cortázar e la sua giovane moglie Carol Dunlop, che hanno scritto a quattro mani un diario del viaggio, ora tradotto in italiano, da non perdere per gli appassionati dello scrittore argentino, «Gli autonauti della cosmostrada» (Einaudi, traduzione di Paola Tomasinelli, pp. 365, euro 21,00), arricchito dalle fotografie scattate dalla moglie e dai disegni di Stéphane Hébert, il figlio adolescente di lei. Alle origini di questo viaggio, che dura dal 23 maggio al 25 giugno 1982, c’è una storia d’amore, una bellissima e disperata storia d’amore, perché segnata dall’imminenza della morte per entrambi i viaggiatori: Cortazar morirà di leucemia due anni dopo a settant’anni, Carol, scrittrice, fotografa e traduttrice americana, se ne andrà di lì a sei mesi, alla fine di quello stesso anno, appena trentaseienne. Il viaggio viene programmato da Parigi a Marsiglia e dura circa un mese al ritmo di due aree di sosta al giorno, trascorrendo la notte nella seconda. Julio e Carol riempiono tre carrelli di vettovaglie in un emporio e le caricano su un furgoncino Volkswagen rosso chiamato drago o Fafner, il gigante che era a guardia del tesoro dei Nibelunghi. Di fatto viaggiano pochissimo, percorrono non più di venticinque o trenta chilometri al giorno, per il resto passano il tempo nelle aree di sosta, battezzate Parkinglandia, «una terra di libertà». Carol ama ascoltare un quartetto di Schubert, mentre il marito sente alla radio le notizie sulla guerra nelle Malvine e pigia sui tasti della macchina per scrivere. Sposati da tre anni, si sono dati un soprannome tenero, il Lupo e l’Orsetta. Cortázar non è uno scrittore qualunque, e per apprezzare il suo talento basta considerare la sfida in cui si è cimentato con questo libro: trasformare un non luogo, uno dei paesaggi più squallidi e banali della modernità, in un mondo di poesia, di bellezza e di amore. Intanto l’autostrada, intesa come lo spazio della velocità, qui diventa un mezzo per spostarsi adagio, per assaporare la lentezza e l’attesa, e tutto sembra trasformarsi, come per magia, in qualcosa di bello, di poetico: «L’autostrada un fiume rosa, sul quale fluttua una bruma violetta appena percettibile, e le auto e i camion passano come fantasmi, il loro fracasso attenuato dalla notte, dalla nebbia che addolcisce tutto, dalla distanza che fra loro e noi delimita i mondi in cui viviamo, come se non fossimo né potessimo essere viaggiatori di uno stesso percorso. Strano silenzio pieno di mormorii, rotto di tanto in tanto da un camion che parte, dai freni cigolanti di un treno, silenzio fatto di suoni e rumori e la cui esistenza – a cui partecipa ogni nostro gesto – ci conferma in qualche modo che siamo lì dove crediamo di essere, che l’obiettivo del viaggio è stato raggiunto, e ci resta solo da dirci, con quel sorriso che forse senza saperlo significa che farai un altro passo avanti e mi ritroverò di nuovo fra le tue braccia […] L’autostrada non è una linea retta ma una spirale, anche le nostre due vite sono spirali, e la vertigine di quelle linee che s’incrociano, nel mosaico dei cerchi e delle tangenti, delle parallele e delle intersezioni». Cortázar è spietato nel bollare la stupidità umana, che ha qualcosa di ancestrale, anche se è figlia della cultura di massa. La bellezza della sosta sta nell’addentrarsi lungo i sentieri tra i boschi, quando ci sono, per godersi la pace, la tranquillità e il silenzio, e invece… «la stragrande maggioranza dei turisti che viaggiano per scappare dall’inferno urbano, dall’inquinamento atmosferico e dal chiasso delle strade, tende a parcheggiare la propria auto il più vicino possibile all’autostrada, praticamente all’entrata o all’uscita del parcheggio». Le famiglie idiote fermano le macchine a cinque metri dalla strada, per poter «aspirare senza tregua le emanazioni di tutti i tubi di scappamento delle altre macchine, e sistemano proprio lì i tavolini, le sedie, i bambini e le nonne». Secondo Carol Dunlop, questo atteggiamento nasce dal fatto che «forse quella gente ha paura del lupo, certe paure ancestrali sono dure a morire, tanto più in mezzo ai boschi». Questo diario riporta tutti i menù della colazione e della cena con piglio quasi scientifico per documentare i ritmi del quotidiano, obbedire alle regole di un gioco scandito da regole precise. In questa no man’s land situata nel vortice della civiltà arrivare al Vieux Port di Marsiglia è come raggiungere il Graal. Dopo trentatré giorni di felicità e amore il tempo sembra essere trascorso troppo in fretta, e il Lupo e l’Orsetta, che sanno di essere gravemente malati, non ci pensano, impegnati a godere il più possibile l’attimo del presente. Trasformano l’orrore della modernità e l’alienazione tecnologica in una fiaba ecologica. Si muovono al ritmo dei viaggiatori sulle diligenze e il «mostro della velocità» rappresentato dall’autostrada diventa «una crociera riposante in tutta libertà». La sfida vincente di Cortázar è quella di conquistare e sedurre il «pallido lettore» proponendogli un tema di per sé banale, monotono e ripetitivo, quasi maniacale (una coppia innamorata che in un mese fa sessantacinque soste nelle aree di parcheggio dell’autostrada) senza annoiarlo mai. In fondo l’amore è così, inventarsi un viaggio insieme, magari senza neanche muoversi, oppure darsi delle regole e partire, oppure leggere questo libro e condividerlo, assaporare intensamente un mese di vita per scoprire la felicità assoluta. Massimo Romano
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