Via 36 Province vantaggi e dubbi

Trentasei Province in meno. Questo il risultato del decreto legge che sarà esaminato nel primo Consiglio dei ministri di novembre. Una scelta obbligata dovuta alla crisi economica, che impone un ridimensionamento della spesa statale.

Se il decreto diventerà esecutivo, considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, avremo 50 Province, un numero che comprende anche le dieci città metropolitane.

E le modifiche non finiscono qui. Presto, infatti, al massimo nei prossimi sei mesi, si aggiungerà una decina di cancellazioni nelle Regioni a statuto speciale, che potranno godere di una maggiore libertà sulle modalità e sulle scelte. Le decisioni del governo sono state annunciate dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi. Dovrebbero garantire risparmi da 4,5 miliardi nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014. E disegnano una nuova mappa territoriale: che coinvolge tutti, dal nord al Sud della Penisola.

Le regole fissate con la legge sulla spending review hanno stabilito criteri molto rigidi. Saranno messe insieme le Province che hanno meno di 350 mila abitanti o un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Fatti gli accorpamenti, si procederà in maniera piuttosto spedita. Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario, con la possibilità di trasferimento per i dipendenti. Ancora da stabilire se questa figura, che dovrà curare la transizione verso il nuovo regime istituzionale, sarà esterna, nominata dal prefetto, o se si tratterà del presidente uscente della Provincia. Le nuove realtà istituzionali eserciteranno le competenze in materia ambientale, di trasporto e viabilità. Perderanno, invece, alcune funzioni tra le quali quelle che riguardano il mercato del lavoro e l’edilizia scolastica. Alle porte cambiamenti anche sui sistemi elettorali. Se la Corte costituzionale nei prossimi giorni darà il via libera, i consiglieri provinciali saranno eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali.

In Piemonte si salvano Torino (città metropolitana) e Cuneo, vengono invece accorpate Alessandria e Asti, così come Vercelli, Biella, Verbano/Cusio/Ossola, Novara. In Lombardia rimarrà Milano (Città metropolitana) oltre a Brescia, Bergamo e Pavia. Saranno accorpate Como, Varese, Monza Brianza; Lodi, Mantova, Cremona; Sondrio e Lecco. In Veneto si salva Venezia (città metropolitana), Vicenza e Verona, mentre Rovigo e Padova saranno accorpate così come Belluno e Treviso. In Friuli Venezia Giulia dovrebbero rimanere le Province attuali, ma con compiti consultivi. In Liguria saranno unite Savona e Imperia, mentre per Genova (città metropolitana) e La Spezia non ci saranno cambiamenti. In Emilia Romagna solo Bologna (Città metropolitana) e Ferrara resteranno invariate, accorpate invece Modena e Reggio Emilia, Parma e Piacenza, Ravenna, Forlì/Cesena e Rimini. In Toscana si salva solo Firenze (città metropolitana), accorpate invece Grosseto, Siena e Arezzo; Lucca, Massa Carrara, Pistoia e Prato; Pisa e Livorno. In Umbria Perugia si unirà a Terni. Nelle Marche restano Ancona e Pesaro/Urbino. Accorpate Ascoli Piceno, Macerata e Fermo. Roma (città metropolitana) unica Provincia che resterà invariata nel Lazio. Accorpate Frosinone e Latina, Rieti e Viterbo. Si passa da quattro a due in Abruzzo: L’Aquila/Teramo e Pescara /Chieti. Una sola in Molise, con l’accorpamento di Campobasso e Isernia, così come in Basilicata, dove si uniranno Potenza e Matera.

Ma quali i pro e i contro di questa misura? Lo abbiamo chiesto al professor Vittorio Ferri, docente a contratto di Programmazione economico-territoriale dell’Università Bicocca di Milano.

Taglio delle Province: ce n’era proprio bisogno?

La questione del taglio è inevitabile e significativa a prescindere dal provvedimento del governo. Negli ultimi venti anni le Province sono passate da 90 a 110. È molto difficile che un Paese riesca a sostenere le spese relative all’amministrazione generale e quelle di funzionamento di così tanti enti locali. La loro riduzione è perciò giustificata. Dobbiamo considerare poi che le Province si occupano solo di pianificazione di area vasta, viabilità e scuole. Hanno dunque poche funzioni che possono essere svolte da altri. Il tema della razionalizzazione degli enti locali è stato dibattuto a partire dagli anni ’80-’90, epoca a cui risalgono le ricerche della Fondazione Agnelli. Già allora si parlava di una fusione di enti che avrebbe dovuto riguardare anche le Regioni, in particolare si ipotizzava l’unione di Marche, Abruzzo e Molise. Poi però si è andati nella direzione opposta e gli enti sono cresciuti a dismisura.

Cosa pensa invece del provvedimento allo studio del governo?

Per quello che sappiamo ora sicuramente ci sarà un’importante conseguenza sulle casse statali. È molto importante però razionalizzare non solo le Province, ma anche Comuni e Regioni. Soprattutto intervenendo sulle Regioni a Statuto speciale, come la Sicilia, che ha tanti capoluoghi di Provincia e in aree ravvicinate, e sui Comuni molto piccoli. Così si avranno risultati migliori e i cittadini non ne faranno le spese. Mi sembra molto significativa poi la scelta di introdurre il concetto di città metropolitana, che sancisce l’importanza delle grandi aree abitate nei territori regionali e dà loro grande capacità decisionale. Bisogna vedere però come le funzioni saranno ridistribuite tra gli altri enti locali.

Quali le possibili ricadute sui servizi del territorio?

Da un lato le spese dell’apparato istituzionale e amministrativo diminuiranno e tutti ne trarranno beneficio, anche i cittadini. Le Province non hanno mai avuto tributi autonomi e dalla riforma emergerà inoltre che questi enti avevano un piccolo patrimonio immobiliare per sovvenzionarsi. Vedremo come questo patrimonio verrà utilizzato: le potenzialità sono tante, ma spesso il pubblico non fa un buon uso di questi beni. Ci sarà quindi un trasferimento di risorse che andrà a sostenere il bilancio pubblico nel suo complesso e magari, si spera, ad alleggerire i tributi dei cittadini. Dall’altro le funzioni delle Province dovranno essere acquisite da parte di altri enti. Soprattutto per quelle di pianificazione di area vasta si dovranno ridefinire in modo certo le competenze. Questo concetto, infatti, è stato usato spesso per giustificare la presenza delle Province e ha causato interventi e prese di posizioni contrastanti tra Province e Comuni nell’ambito di uno stesso territorio: ne è esempio la scelta sull’uso dei terreni agricoli, che spesso ha creato contrapposizioni. Le Province poi hanno assunto nel tempo un ruolo molto importante nella mediazione durante i processi decisionali. Hanno aperto tavoli di concertazione con i tutti i Comuni interessati da particolari provvedimenti. Sono state protagoniste nel dirimere questioni che mettevano in conflitto zone limitrofe.

Bisognerà capire adesso quale sarà l’ente che si farà carico di queste difficili situazioni e se le nuove macro-Province riusciranno a gestire territori più ampi…

Sì, E allora è molto importante che il provvedimento del governo non contenga solo le norme che riguardano i tagli e la nascita delle nuove città metropolitane, ma che sia anche molto chiaro sulle funzioni che i diversi enti andranno ad assumere nella nuova organizzazione territoriale.

Cristina Conti



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