Tre domande su Matteo Renzi

L’irruzione di Matteo Renzi nelle primarie del Pd ha sconvolto il panorama politico anche più del probabile abbandono da parte di Berlusconi. In realtà nella coalizione di centro-destra il disordine era già grande, e la domanda che gli osservatori si ponevano, dopo gli scandali del Lazio e della Lombardia, riguardava la sopravvivenza dell’alleanza tra Pdl e Lega.

Molti ormai si chiedono se lo stesso Popolo della libertà possa sopravvivere al calo di consensi registrato dai sondaggi. Vorrei tuttavia restare alle primarie del Pd, per capire cosa significa questo evento, dove porta lo scontro tra Bersani e Renzi, quale sarà il futuro di un partito che si prepara a governare il Paese.

Negli ultimi giorni, dopo l’addio di Veltroni e di D’Alema, che hanno assicurato (o minacciato) di non abbandonare la politica, Renzi ha archiviato la rottamazione e riconosciuto che si è trattato di una polemica «volgare», ed è passato alla seconda fase della sua campagna elettorale. E a Torino, di fronte ad una platea molto affollata, ha ripreso il discorso pronunciato da Veltroni al Lingotto e ha iniziato «a narrare quale sarà il futuro dell’Italia». Tuttavia la riflessione sull’obiettivo che il sindaco di Firenze si è posto continua ad essere caratterizzata dalla polemica sulla rottamazione della rappresentanza “storica” del Pd. Non è la prima volta che il passaggio da un ciclo all’altro della storia repubblicana cammina con le gambe di una nuova generazione. Debbo però ricordare che nella Dc, nel 1968 e poi nel 1976, la battaglia sul rinnovamento era motivata dall’obiettivo di cambiare linea politica. E così è stato, nel 1988, per il Pci. In questa fase della politica nazionale Renzi ha invece concentrato la polemica sulla questione anagrafica. Dopo vent’anni di vicende che hanno portato alla ingessatura della Camera e del Senato, il Paese attende una nuova classe dirigente, ma soprattutto un nuovo progetto politico. E parlare solo di rottamazione rischia di portare acqua al mulino del populismo.

Su questo punto Massimo D’Alema ha ragione, ma deve riconoscere che il sistema delle primarie, specie se si intreccia con regole elettorali maggioritarie, non può che giocare a favore della personalizzazione, e infine della deriva plebiscitaria. D’altra parte vorrei ricordare che nel 1994, alla vigilia di elezioni che avrebbero ridimensionato la rappresentanza della Dc, quasi tutti i parlamentari della sinistra democristiana con più di due legislature avevano lasciato lo spazio elettorale ad una nuova generazione. Questa è una vicenda dimenticata anche dagli amici che hanno conservato qualche ricordo della storia del cattolicesimo democratico.

La candidatura di Renzi ha messo in evidenza una seconda questione, a mio parere anche più importante, relativa all’identità del Pd e al fatto che il baricentro del centro-sinistra è sempre più spostato a sinistra. Questa questione, che spiega molte delle simpatie per Renzi, è resa più importante dal fatto che le primarie di novembre sono “primarie di coalizione”, sono cioè elezioni che ratificheranno una alleanza tra il Pd di Bersani e la sinistra di Vendola, cioè con la sinistra che Walter Veltroni ha escluso dal Parlamento, quando il «partito a vocazione maggioritaria» ha salvato Di Pietro e i radicali. C’è chi si chiede: se diventasse necessario per vincere, il Pd aprirebbe anche a Di Pietro, dimenticando perché questo rapporto si è rotto? In quattro anni molta acqua è passata sotto il ponte della politica. Ma per partecipare alle primarie gli italiani dovranno sottoscrivere la “carta degli intenti” del Pd e condividerne la strategia, qualunque sia il candidato che votano per la premiership. Questo passaggio è criticato da Renzi, poiché potrebbe influire sul numero degli elettori, eppure sul risvolto politico di questa questione non c’è un vero dibattito..

Se riflettiamo sulle “radici” del progetto politico, Matteo Renzi si ispira a Giorgio La Pira, il sindaco della Pignone, però ammira la spregiudicatezza di Marchionne nell’affrontare i problemi della Fiat. Ma la domanda che gli elettori si pongono è questa: basterà la sottoscrizione alla “carta degli intenti” perchè l’eterogenea coalizione che sta mettendo in piedi il Pd sia in grado di governare il Paese? Qualche dubbio lo pone il fatto che è stato cancellato dalla “carta” ogni riferimento a Mario Monti, e alcuni parlamentari liberal-democratici (Morando, Tonini), che sostengono la candidatura di Renzi si sono chiesti: è questo il prezzo pagato all’intesa con Vendola?

In realtà Bersani, dopo avere affermato che il rinnovamento non è rottamazione, che la storia non può essere rottamata, ha sostenuto che la coalizione di centro-sinistra stringerà una alleanza anche con l’area dei moderati, «per il bene dell’Italia». Ma questo passo appare problematico, poiché la polemica delle prossime settimane non potrà che allargare il solco che separa Renzi da Vendola: Matteo Renzi vuole recuperare voti moderati, mentre Nichi Vendola si rivolge al movimento anticapitalista. Questo nodo è difficile da sciogliere, dovrà essere tagliato, ma con quali conseguenze?

C’è infine, una terza questione cui assegno una importanza decisiva: quale progetto di riforma della politica hanno Renzi e quelli che lo vogliono al governo? Se Renzi è un sostenitore dell’uninominale-maggioritario e del presidenzialismo, se ritiene necessaria una revisione della Costituzione che ricorda quella bocciata dagli italiani con il referendum del 2006, se pensa che solo così è possibile salvare il bipolarismo e “governare” il Paese, per chi gioca? Poiché sono interessato ad un chiarimento, mi attendo una svolta generazionale fondata sui valori, che rilanci la centralità del Parlamento. Concludo con una provocazione. La giovane guardia della rivoluzione d’ottobre diceva di sé: «Io sono un foglio bianco sul quale la rivoluzione scrive la sua storia». Temo che la personalizzazione della politica suggerisca un’altra formula: «La rivoluzione è un foglio bianco sul quale io scrivo la mia storia». Tuttavia spero che Matteo Renzi e gli amici che si rifanno alle radici del popolarismo non cedano a questa tentazione e ricordino l’insegnamento di don Primo Mazzolari (e della rivista «Adesso»).

Guido Bodrato

 



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