Accordo Bersani-Vendola un laico ritorno al passato

L’inventore delle primarie, il professor Parisi, vicinissimo a Prodi, ha dichiarato a «la Repubblica», che potrebbe lasciare il Pd. E’ deluso dello scontro interno Bersani-Renzi e delle possibili conseguenze politiche. Un altro intellettuale della sinistra, lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo, ha dichiarato al «Corriere della sera» che non andrà a votare perché le primarie spaccano e non costruiscono.

Francamente la storia delle nostre primarie non è idilliaca: Prodi e Veltroni le vinsero a furor di popolo, con alcuni milioni di votanti; ma il successo popolare non impedì a Bertinotti di “cacciare” il Professore da Palazzo Chigi; né D’Alema e Bersani rinunciarono a sostituire l’ex sindaco di Roma alla guida della segreteria Pd.

Il limite di fondo di questa esperienza politica consiste nell’aver “importato” dall’America un sistema presidenziale che confligge con la nostra Repubblica parlamentare, come se i modelli politici e culturali potessero essere “copiati”, senza tener conto delle diversità. Altro elemento critico è il sostanziale superamento del carattere originale del Pd, concepito dalla segreteria Veltroni come formazione politica riformista, di centro-sinistra, punto di incontro delle culture socialiste, cattolico-democratica, liberal-democratica.

Oggi, con l’accordo con Vendola, erede di Bertinotti, Bersani ha scelto una connotazione laica, di sinistra, che ricorda il Pds di Occhetto (anche per questo nell’intesa Bersani-Vendola-socialisti è stato cancellato ogni riferimento all’Agenda Monti, rifiutata dalla Cgil, vera anima di questa coalizione). Questo “patto” a sinistra sta stretto ai popolari che sostengono Bersani (Bindi, Marini, Fioroni), anche perché sui temi etici Bersani e Vendola fanno riferimento al leader socialista francese Hollande, sostenitore dei matrimoni e delle adozioni gay. I fischi alla Bindi, da Roma a Genova passando per Torino, sono un segnale eloquente del disprezzo delle posizioni di radice etico-sociale cattolica.

L’altro candidato del Pd, il sindaco di Firenze Renzi, con una piattaforma neo-centrista, presidenzialista, generazionale (ma la politica si fa con la carta di identità?), appare egualmente distante dal manifesto fondativo del Pd. E le cene con i finanzieri con sede fiscale alle isole Cayman o il silenzio a Torino sulla Fiat accentuano la tendenza neo-liberista. Ma un partito che vuole conquistare Palazzo Chigi può avere nel suo seno due tendenze opposte, con Bersani che definisce «banditi» alcuni sostenitori di Renzi e il sindaco di Firenze che esulta per lo “scalpo” di Veltroni e D’Alema, come se fossero “nemici del popolo”?

Secondo i sondaggi nel primo turno delle primarie (25 novembre) nessun candidato della coalizione (Bersani, Renzi, Vendola, l’ambientalista veneta Laura Puppato e forse Tabacci per l’Api di Rutelli) supererà il quorum del 50 per cento; nel ballottaggio (2 dicembre) Bersani prevarrebbe con il sostegno determinante di Vendola-Bertinotti. In questa ipotesi il successo di Bersani sarebbe vero o di breve durata, come già avvenne con Prodi e Veltroni? Perché la coalizione Bersani-Vendola-Nencini-Rutelli, accreditata al 35 per cento, difficilmente potrebbe governare da sola il Paese (secondo Berlinguer non bastava il 51 per cento, di qui l’accordo con Moro).

Forse non hanno torto il professor Parisi e lo scrittore Piccolo ad essere pessimisti e a prendere le distanze dalla terza edizione delle primarie all’italiana; anche perchè in Parlamento sta maturando una riforma elettorale proporzionale, stimolata da Napolitano che non vuole il bis delle coalizioni eterogenee di Berlusconi e Prodi. Intanto De Benedetti, tessera numero uno dell’Ulivo, ha già dato la linea al suo gruppo editoriale: alle primarie con Bersani, ma, dopo le politiche di aprile, governo Monti.

Nell’attesa corre Grillo (20 per cento) e soprattutto l’astensione (33 per cento) e l’indecisione (22 per cento). In questo contesto i partiti tradizionali, Pd, Pdl, Udc, rischiano di rappresentare la minoranza del Paese, con una prospettiva post-elettorale che ci avvicina alla Grecia. Il più deluso è l’elettorato cattolico, con la prevalenza di astenuti. Ma la società italiana può fare a meno del suo contributo?

Mario Berardi

 



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