Degas. I capolavori di una vita

Uno dei protagonisti della genesi dell’arte moderna dalla crisi dell’accademismo ottocentesco, Edgard Degas (1834-1917), che, con Edouard Manet, Claude Monet, Pierre Auguste Renoir, partecipa all’affermarsi degli Impressionisti, ha lontane origini italiane, e la sua formazione culturale è avvenuta in buona parte in Italia.

Suo padre, Auguste De Gas, era nato a Napoli da una famiglia nobile, che si era trasferita nel capoluogo partenopeo a causa della rivoluzione. L’artista più volte soggiorna a Napoli non solo per incontrare il nonno e per fare conoscenza dei suoi parenti italiani, ma anche per intraprendere quel percorso tradizionale di perfezionamento che quasi tutti gli artisti francesi di quel tempo facevano, e soggiorna anche a Roma e a Firenze, dove fa amicizia con Giovanni Boldini e, forse ha modo di frequentare il  «Caffè Michelangelo» e il gruppo dei Macchiaioli.

Ora la sua opera arriva in Italia, grazie alla collaborazione tra la Società promotrice delle belle arti in Torino, nata il 28 febbraio 1842 per iniziativa del conte Cesare della Chiesa di Benevello, ed uno dei più importanti musei europei di arte moderna, il Musée D’Orsay di Parigi, che possiede centinaia di opere del maestro. Una cospicua selezione di queste opere, quasi cento, comprendente tutte le tecniche espressive, disegni, incisioni, oli, pastelli, guaches, sculture, praticate da Degas si può ammirare in una mostra antologica che copre tutto l’arco della lunga vita di questo iniziatore dell’arte contemporanea, nelle sale della Palazzina della Società promotrice delle belle arti al parco del Valentino, fino al 27 gennaio 2013.

Il catalogo edito da Skira a cura di Xavier Rey, conservatore della pittura francese presso il Museo D’Orsay, riporta a colori tutte le opere con numerosi saggi critici di autori italiani e francesi, che rilevano come Degas, pur nell’amore della tradizione, nei suoi strutturali riferimenti a Ingres per il disegno e a Delacroix per il colore, abbia saputo rinnovare l’arte europea. L’artista, anche se abbandona i canoni classici, rimane sempre fedele alla figura, che si preoccupa di definire compiutamente. Si affianca al gruppo degli Impressionisti, ma preferisce la pittura in studio alla pittura all’aperto, e non va alla ricerca delle variazioni di illuminazione sul soggetto da rappresentare (si pensi alla cattedrale di Rouen dipinta da Monet nelle diverse ore della giornata), ma studia pazientemente il modello e costruisce l’ambiente da diverse angolature.

La carriera creativa di Degas inizia con il disegno, copiando pazientemente al Louvre e nei Musei italiani i capolavori dei grandi artisti. In mostra si trova una copia del bozzetto «La saggezza vittoriosa sui vizi» di Mantegna disegnata nel 1897. Si sviluppa ed raggiunge il vertice espressivo con gli olii su tela, preparati con studi a disegno e a pastello su carta. Quando incomincia ad avere difficoltà di vista Degas ripiega sul pastello raggiungendo risultati rilevanti e nella vecchiaia, quasi cieco si dedica alla scultura costruendo su cera cavalli, di cui studia il movimento in marcia, al galoppo… e danzatrici che, ritrae in diverse posizioni, sempre attento alla anatomia dei corpi. In mostra si trovano numerosi esempi fusi in bronzo, dopo la morte dall’artista.

Questo dedicarsi alla scultura non è solo una costrizione dovuta all’avanzare della cecità, ma è anche una convinzione ideologica ed una esigenza tecnica se, nel 1897, confida ad un suo amico fonditore «più invecchio, più mi rendo conto che per giungere, nell’interpretazione dell’animale, a un’esattezza così  perfetta  che  doni  la  sensazione  della  vita,  bisogna  far  ricorso  alle  tre dimensioni… Accade  lo  stesso  nell’interpretare  la  figura  umana,  soprattutto  quella  in azione. La  verità  non  si  può  ottenere  che  con  l’aiuto  della  scultura  (perché)  modellare una forma costringe a non trascurare nulla».

Nei manuali di storia dell’arte Degas è noto come il pittore che ha saputo ritrarre scene di danza, e dipingere con cruda malizia nudi di donna, ma il valore della sua opera è da ricercarsi soprattutto nei ritratti, nella sua capacità di cogliere l’identità di ogni persona, tanto che la mostra di Torino inizia con un autoritratto del 1855 e il ritratto del nonno eseguito nel 1857. Anche quando in grandi tele mette insieme più persone, Degas fa il ritratto di ciascuna.

Nel quadro del 1870 «L’orchestra dell’opera» rappresenta la fossa dei musicisti, che di solito non si vede, riproduce con estrema precisione gli strumenti musicali e ritrae come strumentisti un gruppo di amici, ben individuabili ad uno ad uno, ritraendo, in alto, in piccolo, anche il compositore del brano musicale, che viene coreografato dalle danzatrici sulla scena. Si tratta proprio di Emmanuel Chabrier (1841-1894). Questo quadro è interessante per il modo costruttivo della rappresentazione e, come rileva Anne Roquebert, «per ottenere un’inquadratura più efficace Degas taglia la tela ai lati e nella parte superiore, come testimonia la radiografia del dipinto, e in un secondo momento aggiunge l’arpa e il contrabbasso, collegando così l’orchestra alla scena. I musicisti sono rappresentati con una precisione quasi fotografica. La maniera liscia e la tonalità scura dei costumi, caratteristica dei primi ritratti, si contrappongono al gioco luminoso di gambe e tutù del registro superiore, in cui Degas affronta il tema della danza».

L’opera più importante, presente in mostra, è un quadro di grandi dimensioni (200x250) elaborata negli anni 1858-1869, che documenta l’abilità dell’artista nel cogliere la psicologia dei personaggi e la sociologia delle reciproche relazioni. Si tratta di un «Ritratto di famiglia» che nel ritrarre i componenti della famiglia Bellelli realizza queste intenzioni, come l’artista aveva scritto all’amico Gustave Moreau che aveva incontrato a Roma, a Villa Medici: «Lo faccio come se facessi un vero quadro, deve essere così… Ho due piccole cugine che sono da mangiare. La più grande è realmente una bellezza; la piccola ha lo spirito di un demonio e la bontà di un angelo. Le dipingo con il loro vestito nero e dei grembiulini bianchi che stanno loro d’incanto».

Questo quadro, che è diventato uno snodo nella storia dell’arte, a bene analizzarlo, denuncia numerosi rimandi a Van Dyck e Rembrandt, Giorgione, e Carpaccio, Botticelli e Mantegna, Beatrice Avanzi in catalogo analizza il quadro scrive: «La composizione decentrata, l’ambientazione ricca di inaspettate suggestioni, come il vuoto che si intravede dietro la porta lasciata aperta, rivelano le tensioni che pesavano sulla famiglia del barone Gennaro Bellelli, esiliata a Firenze a causa delle sue posizioni antiborboniche, e in lutto per la morte del nonno Hilaire, ricordato dal ritratto appeso dietro la figura di Laure. La stessa distanza, a un tempo reale ed emotiva, di Laure dal marito, ripreso di spalle, con un’inquadratura da istantanea fotografica, sottolinea un’infelicità che la giovane donna aveva più volte confidato a Degas, evocando la sua difficoltà di vivere accanto a un marito immensamente sgradevole e disonesto».

Al di là di un’analisi sociologica, che mette a nudo una famiglia nella quale le convenzioni cercano di nascondere i sentimenti, questo quadro è importante per rilevare la schematizzazione della figura umana, che supera ogni forma di naturalismo descrittivo, e sembra quasi alludere all’astrazione, attraverso la macchia bianca, quasi geometrizzata, dei due grembiuli delle sorelle.         

In questa mostra torinese mancano i quadri che l’artista ha dedicato alla povera gente, come le modiste, le stiratrici, le lavandaie, gli alcolizzati che avrebbero mostrato anche qualche aspetto di umanità in un artista, che nel suo realismo, fortemente naturalistico, ha “fotografato” con freddezza il mondo borghese. Xavier Rey considera l’opera di Degas un espressione della filosofia materialista del positivismo darwiniano e giunge a scrivere: «È  proprio  il  profilo  scimmiesco  della “Ballerina di quattordici anni” a  scandalizzare  il  pubblico  in  occasione  della  sua  esposizione  nel  1881». E si domanda: «Vuole  forse  dimostrare  che  l’adolescente  è condizionata alla devianza, perché rivela le stesse stimmate fisiche tipiche dei degenerati?». Conclude: «Si è tentati  di  intravedervi  una  tesi  premonitrice  dell’opera  del  celebre  criminologo Cesare Lombroso».

Mi pare un giudizio esagerato, Degas è solo l’espressione della cultura borghese, attratta e delusa dai piaceri della vita. Detto questo, la mostra del Valentino è una mostra da non perdere, perché difficilmente avremo ancora in Italia tante opere insieme di questo grande maestro.

La mostra «Degas. Capolavori dal Musée d’Orsay» è aperta, fino al 27 gennaio, alla Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti (via B. Crivelli 11) a Torino. Orari: tutti i giorni, 10-19.30; giovedì fino alle 22.30. Chiuso il martedì. Biglietti: intero 13,50, ridotto 10,50, famiglie  9,00 (due adulti e un ragazzo sotto i 14 anni). Visite guidate tutti i sabati alle 14.30 (costo 5 euro più biglietto d’ingresso). Informazioni: tel. 011-5790095. oppure www.mostradegas.it.

Piero Viotto



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