Per un vero federalismo con regioni più grandi

E' come se di colpo si fosse scoperchiato un pentolone dal quale sta uscendo di tutto. Al centro ci sono gli sprechi, i privilegi, gli illeciti di cui è protagonista la classe politica delle nostre Regioni, dalla Lombardia al Lazio, alla Sicilia.

La magistratura sta intervenendo. Anche in Piemonte vengono svolti accertamenti: nel mirino i rimborsi dei consiglieri regionali. Per fare il punto su quanto sta accadendo, per capire come è iniziata questa deriva che rischia di travolgere il nostro incompiuto federalismo, abbiamo voluto ascoltare Gianfranco Pasquino, docente di Scienza politica all'Università di Bologna. In realtà il professore non è affatto stupito, perché, dice, «tutto ciò era in larga parte prevedibile, in quanto il ceto politico regionale altro non è che l’espressione locale di una classe dirigente nazionale che definire scadente è ancora poco. Il fatto è che la politica viene troppo spesso vista come carriera personale, talvolta persino sganciata dal partito di appartenenza, tanto è vero che in molti consigli regionali nascono dei gruppi autonomi dalle liste elettorali e persino dei monogruppi. La situazione odierna per certi versi è peggiore di quella della Prima repubblica».

Addirittura?

Sì, perchè nella Prima repubblica gli illeciti ruotavano attorno al partito, mentre erano rari gli arricchimenti personali. Adesso tutto è invece vissuto per il proprio tornaconto con un fruire di rimborsi, indennità, vitalizi, prebende e privilegi di ogni genere. Ovvio che non tutta la classe politica è così, ma questo è ciò che la gente percepisce. L'antipolitica nasce da qui.

Come si è arrivati a questo punto?

E' il frutto dello scadimento complessivo del ceto politico. Qualcosa che la cosiddetta Seconda repubblica ha accentuato a dismisura. In passato nei partiti tradizionali la classe dirigente era selezionata con molta attenzione, si partiva dal basso, dal contatto con la gente, c'erano addirittura delle scuole di formazione, perchè si riteneva, giustamente, che la politica richiedesse una certa professionalità. Non si improvvisava. Oggi invece siamo quasi ai dilettanti allo sbaraglio, a tutti i livelli elettivi, e il risultato è una classe politica che non ha alcun senso delle istituzioni o del ruolo pubblico che viene a ricoprire. Ci si appropria della carica per soddisfare la ricerca del potere e tutto sembra permesso, anche di pagarsi alberghi e ristoranti di lusso con i soldi pubblici destinati alle attività di partito. Anche un tempo, ovviamente, c'era il rischio di degenerazioni, ma tutto veniva in qualche modo frenato dall'apparato partitico. Oggi, saltato questo filtro, c'è chi pensa di fare tutto quello che vuole.

Come uscirne?

Ci vuole un completo rinnovamento della classe politica e per ottenerlo occorre favorire al massimo gli strumenti di partecipazione popolare. Le primarie, ad esempio, sono un meccanismo positivo in tal senso, anche se sono necessarie precise regole riguardo al tetto di spese ammissibili, da tenersi al livello più basso possibile. Bisogna poi mettere, a tutti i gradini istituzionali, un limite ai mandati elettivi, due o tre al massimo, e farlo rispettare per tutti, senza eccezioni. Serve una regolamentazione più incisiva del finanziamento dei partiti, con specifiche e puntuali rendicontazioni. Del resto se i partiti richiedono risorse pubbliche è giusto che vi siano accurate verifiche esterne su come viene impiegato questo denaro e adeguate sanzioni di fronte agli illeciti. Per esempio, l'ineleggibilità dei dirigenti. Se poi si considera quanto sta avvenendo nelle Regioni, penso che andrebbe completamente rivisto il sistema delle autonomie locali.

In che modo?

L’attuale assetto non funziona bene, perché alcune Regioni sono di ridotte dimensioni e mancano delle risorse per gestirsi autonomamente. Abbiamo venti Regioni: sono troppe. Forse sarebbe il caso di fare qualche accorpamento e giungere a quattro o cinque macroregioni.

Sta riesumando l'antico progetto leghista?

Guardi che quell'idea era meno balzana di quanto si pensi. Proveniva da una serie di studi sulle nostre istituzioni, svolti negli anni Settanta dal gruppo del professor Miglio, di cui poi il Carroccio si è appropriato, senza peraltro riuscire a combinare qualcosa di concreto. Si potrebbe immaginare ad una suddivisione in: Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole. Territori quindi più grandi, con significative economie di scala e maggiori risorse a disposizione. Del resto nella realtà è già un po' così. Pensiamo al Triveneto, che è un'area geografica ed economica ben integrata, o alla Liguria, interconnessa sia al Piemonte che alla Lombardia, o al  blocco centrale Toscana, Marche e Umbria. Sto facendo una riflessione che naturalmente richiederebbe un dibattito approfondito, ma è certo che la dimensione delle regioni non è un parametro irrilevante. Al di sotto di una certa soglia i costi prevalgono sui benefici. In Francia ci sono ventidue regioni su un territorio che è quasi il doppio del nostro, non tanto dissimili dunque dalle macroregioni di cui parlavamo prima. 

Tutti i sistemi federalisti hanno di questi problemi?

Un assetto federale pone delicati equilibri tra lo Stato centrale e le Regioni, tra i poteri del primo e le attribuzioni delle seconde. Architetture istituzionali spesso complesse e che sovente richiedono aggiustamenti in corso d’opera. Problemi ce ne sono dappertutto. In Spagna alcune comunità autonome si stanno mostrando incapaci di gestire i propri bilanci e alcune di esse, come Catalogna o Paesi Baschi, puntano addirittura all'indipendenza. In Europa il modello federale più riuscito è senza dubbio quello tedesco. In Germania c'è una chiara e razionale suddivisione di competenze tra lo Stato e i Lander. Decisivo è poi il ruolo del Bundesrat, la Camera delle regioni che rappresenta le realtà locali e fa da contraltare al Bundestag, eletto a suffragio universale. Nel nostro federalismo è mancato questo tassello, non si è cioè voluto differenziare le funzioni dei due rami del Parlamento, assegnando al Senato il ruolo di istanza delle Regioni e delle autonomie locali.

Perché, in un quadro federalista, è importante vi sia un’assemblea delle Regioni?

Disporre una sede, al tempo stesso legislativa e di controllo sull’attività delle autonomie locali, significa dar vita ad un federalismo ben compenetrato nella realtà statale e non contrapposto a questa.

Riforme istituzionali, cosa sarebbe necessario?

Mi auguro che vada almeno in porto la riduzione del numero di parlamentari. Sarebbe un primo passo per restituire credibilità alla nostra classe politica.

Con quale legge elettorale andremo a votare?

Con il Porcellum o con qualcosa di molto simile. Temo che le liste bloccate rimarranno perchè, in fondo, fanno comodo a tutti. E’ probabile che venga posto il divieto per un candidato di concorrere in più di una circoscrizione e che il premio di maggioranza sia concesso solo al raggiungimento di una certa soglia, che io auspicherei fosse almeno del 40 per cento. Oggi non c'è alcun tetto, per cui chi giungesse in testa col 25 per cento vedrebbe raddoppiarsi i seggi. Un dispositivo assurdo che stravolge la rappresentanza democratica. Ci sarebbe anche da intervenire sulla ripartizione del premio che al Senato avviene su base regionale, col rischio di trovarci con un Parlamento senza maggioranza e un Paese ingovernabile. A questo problema si ovvierebbe facilmente abbandonando qualsiasi impostazione proporzionalista e passando al maggioritario.

Preferisce il maggioritario?

Sì, un buon sistema è quello francese, a doppio turno: alla prima tornata tutti i partiti si presentano separatamente e poi al ballottaggio vanno i due o i tre più votati. Ne derivano sempre maggioranze solide e coese. E poi il collegio uninominale ha il grande pregio di creare una certa prossimità tra eletto ed elettore e, date le ridotte dimensioni, di ridurre le spese elettorali.

Aldo Novellini



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