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Il bianco e il nero
Con Giovanni Porcellana scompare una figura prestigiosa della Torino della modernizzazione, della risposta positiva alla contestazione operaia e studentesca del 1968-1969, del dialogo delle forze politiche con la società, del rinnovamento etico e culturale sollecitato dal Concilio e attuato coraggiosamente dall’arcivescovo card. Pellegrino. Astigiano, cresciuto alla scuola dei Fratelli delle scuole cristiane del Collegio San Giuseppe, dall’Azione cattolica e della San Vincenzo, Porcellana entra molto giovane nella politica amministrativa subalpina nel 1960 (a soli 31 anni), eletto in Consiglio comunale con la «sinistra sociale» della Dc guidata da Carlo Donat-Cattin; con il promettente ingegnere (che diviene subito assessore alle Municipalizzate) entra nella Sala rossa un’altra giovane promessa della politica: Guido Bodrato, che sarà più volte ministro, braccio destro di Zaccagnini. Con le giunte Peyron, Anselmetti, Grosso, Guglielminetti, l’ing. Porcellana svolge ruoli di rilievo per lo sviluppo di servizi e delle opere pubbliche nel decennio “caldo” Sessanta-Settanta: edilizia popolare, ponti, nuove arterie, scuole… Vince con il centro-sinistra le comunali del giugno 1970, battendo il comunista Todros, con un programma di ampio respiro: Torino in Europa (come ha chiesto profeticamente il prof. Giuseppe Grosso, sindaco dal 1965 al 1968), realizzando la linea del 45° parallelo, anche con il traforo del Frejus; programmazione economica e sociale dello sviluppo regionale, come chiede l’Ires dei professori Lombardini e Detragiache, per contrastare una crescita caotica, favorita da una massiccia immigrazione dal Sud e dal Veneto; confronto con le forze sociali e i nascenti comitati di quartiere “spontanei”; autonomia dalla Fiat, pur nel rispetto della politica internazionale dell’Avvocato. La giunta Porcellana dà la priorità alla questione sociale: case popolari, scuole, ospedali, servizi. Entra in conflitto con il “superpartito”, quell’alleanza trasversale tra correnti della maggioranza che chiedevano invece di puntare tutto sulle grandi infrastrutture. L’ingegnere, un tecnico che apprezzava la politica, cade nell’aprile 1973, dopo soli tre anni, non per opera dell’opposizione comunista, ma per una precisa scelta della destra Dc, che guidava a Torino lo scudocrociato: l’obiettivo dichiarato era il passaggio dal centro-sinistra al centro-destra, in analogia con il governo Andreotti-Malagodi; ma lo scontro tra investimenti sociali e “grandi opere” non fu marginale. Porcellana cadde quindi per una faida interna alla Dc, come era già avvenuto nel 1968 con il sindaco Giuseppe Grosso, colpito per aver segnalato alla magistratura un assessore “clientelare”. Diversamente dalla tesi espressa da «La Stampa», l’ingegnere non fu «disarcionato» da Diego Novelli, ma da autorevoli esponenti della Dc, con un’azione miope che favorì nel 1975 l’ascesa delle “giunte rosse”. Nella sua lunga vita amministrativa e politica (da Torino a Moncalieri a Montecitorio), l’ing. Porcellana non rinunciò mai alla sua professione di dirigente di società dell’acqua, rifiutando la politica come carriera. Ha rappresentato una generazione di sindaci scomparsi (da Peyron a Grosso, da Anselmetti a Guglielminetti, dc, dal liberale Jona al comunista Roveda, primo cittadino dalla Liberazione) mai travolti da uno scandalo. Oggi si discute molto sulla «vergognosa» (come ha detto il card. Bagnasco) gestione della Regione Lazio, sugli intrallazzi dal Pirellone al Vomero, sulla crisi dei partiti. Potremmo forse rilevare che “non di solo spread” vive l’uomo; la priorità dei valori della “generazione Porcellana” non è finita con la crisi delle ideologie; la coerenza e la serietà amministrativa restano anche oggi un paradigma dell’impegno politico, mentre la ricerca del potere ad ogni costo degrada le istituzioni democratiche. Porcellana lasciò la guida della Città alla vigilia di una drammatica stagione terroristica che in pochi anni (1973-1981) seminerà di vittime il Piemonte e l’Italia, ponendo fine a una ricca stagione riformista, che aveva visto il cattolicesimo democratico con un ruolo da protagonista, in campo ecclesiale, politico, sociale, in una linea di confronto e mediazione costruttiva. Arriveranno poi gli anni della linea “dura” di Romiti (con i 25 mila licenziamenti Fiat del 1980) e del “decisionismo” craxiano. Il “conciliatorismo” delle giunte Grosso e Porcellana fu superato da un bipolarismo ante litteram. Ma per Torino fu vera gloria? Mario Berardi
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