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Scuola: si apre l'età del computer
Via carta e penna sostituiti da computer, tablet e lavagne interattive. Il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo ha inaugurato l'anno scolastico lanciando la sfida che dovrebbe modernizzare l'intero apparato scolastico. Le parole d'ordine sono «digitalizzare» e «dematerializzare». La sfida (e la speranza) è che il salto di qualità verso una scuola più sensibile all’impiego dei mezzi tecnologici sia accompagnata dall’innalzamento della qualità del sapere. Qualcuno ipotizza che la digitalizzazione sarà inevitabilmente accompagnata anche da un nuovo modo di apprendere: se le nuove tecnologie favoriranno la conoscenza e il senso critico dei giovani saranno le benvenute. Ma sarebbe un grave abbaglio immaginare che la qualità di una scuola e di un gruppo di docenti dipenda dalla loro familiarità con i nuovi mezzi forniti dalla tecnologia. Il governo sta in ogni caso compiendo in tale direzione un notevole sforzo in linea con la graduale modernizzazione dell’intero apparato dello Stato. Da quest’anno tutte le classi di scuole medie e superiori potranno disporre di computer da usare a lezione: le classi dove si accenderà un pc sono quasi 35 mila nelle scuole medie e 62.200 alle superiori per un totale di 24 milioni di euro necessari per rimanere al passo con la tecnologia. Negli ultimi anni sono già stati spesi per l’innovazione tecnologica 250 milioni, tra risorse nazionali e comunitarie. In coerenza col decreto sulla spending review da quest’anno iscrizioni on line e registri in formato elettronico. Il progetto prevede un risparmio per lo Stato di 30 milioni di euro, una media di 6.200 euro a istituto, sei euro per ogni studente. Le novità non si fermano qui. Tra pochi giorni sarà bandito, dopo 13 anni, un concorso per l’accesso all’insegnamento nelle scuole secondarie (12 mila posti) che finalmente darà la possibilità ai laureati più giovani di entrare nella scuola senza la via crucis delle graduatorie, mentre altre migliaia di laureati ancora sprovvisti dell’abilitazione saranno impegnati nei prossimi mesi negli corsi universitari appositamente previsti. Ma il provvedimento delle ultime settimane che forse più di ogni altro potrà incidere sul futuro della scuola italiana, anche se ha fatto meno notizia e i giornali vi hanno riservato soltanto una frettolosa notizia, è l’approvazione a fine agosto del Regolamento sul «sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione», che, detto in parole più semplici, costituisce l’atto amministrativo che consentirà di monitorare e valutare periodicamente i risultati formativi raggiunti dalle scuole. Si tratta dell’allineamento del nostro Paese a quanto già da tempo è fatto in molti altri Stati dell’Unione europea e rispetto a cui soltanto negli ultimi mesi sono state superate le resistenze frapposte da alcuni sindacati. Il Regolamento prevede che la valutazione delle scuole sarà l’esito degli apporti di tre diverse modalità di analisi: all’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire) sono affidati «compiti di sostegno ai processi di miglioramento e innovazione educativa, di formazione in servizio del personale della scuola e di documentazione e ricerca didattica», mentre l’Invalsi continuerà a predisporre (come già accade ora) le prove di valutazione degli apprendimenti degli allievi. Il terzo soggetto sarà rappresentato dal corpo ispettivo, autonomo e indipendente. Dall’intreccio dei dati raccolti attraverso questi tre attori si potrà disporre della “radiografia” di ciascun istituto che sarà resa pubblica. Si tratta di un modello che riprende in larga parte quello attuato, già da una decina di anni, nelle scuole britanniche e che, a quanto si sa, ha dato finora buoni risultati. Un apparato di valutazione ben costruito, efficace, trasparente, democratico è utile per la scuola e per la politica scolastica e consente alle famiglie di orientarsi nella scelta delle scuole in modo appropriato. I dati internazionali dicono che ovunque si è svolta una valutazione sistematica del sistema scolastico si sono avuti miglioramenti inconfutabili dei livelli di istruzione. Le resistenze che finora hanno frenato la messa a punto del Regolamento erano principalmente dovute ai timori sindacali che la valutazione delle scuole fosse l’anticamera della valutazione dei docenti. Ma al momento non rientra nelle intenzioni del ministro Profumo procedere a questo ulteriore passo e le iniziative sperimentali avviate negli anni passati in tal senso non sono state replicate. Il Regolamento sulla valutazione potrà produrre notevoli risultati positivi se non si tradurrà in una semplice operazione burocratica, ma sarà accompagnato da ulteriori misure che, da un lato, premieranno le scuole migliori e, dall’altro, interverranno per sostenere e aiutare gli istituti che, per varie ragioni, presentano difficoltà di gestione, organizzative e/o legate alla preparazione dei docenti che vi insegnano. Si tratta di un passaggio per molti versi potenzialmente strategico per superare quella mentalità egualitarista e antimeritocratica che da alcuni decenni costituisce uno dei tratti distintivi (e, secondo alcuni, di debolezza) del sistema scolastico statale. Prima che il Regolamento produca i suoi effetti passeranno tuttavia molti anni. L’unico istituto per ora abbastanza attrezzato (anche se con mezzi finanziari scarseggianti) a compiere le azioni previste dal documento è l’Invalsi; l’Indire non sembra, al momento, nelle condizioni di poter sostenere sul territorio i compiti assegnatigli e quanto al corpo ispettivo è praticamente inesistente (un concorso avviato oltre due anni orsono non è ancora approdato all’esito finale; inoltre bisognerà prevedere una professionalizzazione degli ispettori non più di tipo ottocentesco, ma finalizzata ai nuovi obiettivi). Ma i due principali punti deboli del Regolamento sono rappresentati dall’assenza di impegni finanziari e dalla mancanza di qualsiasi indicazione su come agire nei confronti di quel 25-30 per cento circa di istituti che già oggi si sa che sono al di sotto delle medie nazionali. Qualsiasi sistema di valutazione ben fatto, efficace, plausibile, credibile, utile costa. Non ci si può illudere di costruire un sistema nazionale di valutazione a costo zero. Se non si provvederà in tal senso si perderà una grande occasione. Ma, dati i tempi lunghi, con cui inevitabilmente si procederà nell’attuazione del Regolamento (ora all’esame del parere delle Commissioni parlamentari) c’è da sperare che i prossimi ministri dell’Istruzione (e del Tesoro) mettano mano al portafoglio. Quanto agli interventi in favore delle “scuole deboli” (altri preferiscono l’espressione “scuole a basso rendimento”) gli studi e le ricerche in Italia sono praticamente inesistenti. Si tratterà di colmare un gap al momento piuttosto vistoso circa un tema non di facile praticabilità che tocca molte questioni sensibili (in che misura e con quali criteri, per fare un solo esempio, tenere conto delle difficoltà ambientali?) e che non potrà essere semplicistamente affrontato (come peraltro accade altrove) con la minaccia del licenziamento dei docenti. Giorgio Chiosso
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