![]() Accesso utente |
Per Il Vittorioso ricordi e nostalgia
Se un professore ordinario di Storia contemporanea dell'Università di Parma dedica un saggio a un certo argomento è evidente che l'oggetto delle sue ricerche non è né secondario né poco significativo. Nessuna meraviglia, allora, che Giorgio Vecchio scriva un saggio di cinquanta grandi pagine, con ampio apparato di note, a «L'Italia del Vittorioso» (Editrice Ave, pp. 215, euro 45,00), che si articola in sette densi capitoli, uno opportunamente dedicato all'Ave, che dal 1935 era l'editrice di riferimento della Gioventù italiana di Azione cattolica, la mitica Giac. «Il Vittorioso», sottolinea nella prefazione il direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio, fu «una delle principali imprese culturali dei cattolici italiani del Novecento. Culturali nel senso proprio e nobile del termine. Qualcosa che lasciò una traccia profonda in tantissimi ragazzi e adolescenti. Un'impresa culturale popolare, ma di alto profilo e di straordinario spessore». Il primo numero uscì nel 1937, dunque settantacinque anni fa. Aveva cadenza settimanale. Oggi quanti ricordano con affetto, e ancor più con rimpianto, il ''loro” «Vittorioso», devono ricorrere al suffisso ''anta'' per precisare gli anni della loro età. «Il Vittorioso» fu fondato da Luigi Gedda, allora presidente della Giac. L'occasione, e lo stimolo (ma su questo dettaglio, forse non a torto, Vecchio sorvola) venne dall'apparire de «l'Avventuroso», un settimanalaccio illustrato e a fumetti, importato dagli Stati Uniti come tale malvisto dal fascismo perché non autarchico ma l'editore ne era Nerbini, un gran fascista, e per questo Mussolini dispose che «l'Avventuroso» fosse tollerato, benché non fosse privo di allusioni erotiche che non potevano piacere agli ambienti cattolici. Gedda volle fare qualche cosa di diverso e, riuscendovi, di radicalmente migliore. Ma qual'era «l'Italia del “Vittorioso”»? Era quella appena diventata ''imperiale'' con la conquista dell'Impero etiopico nell'Africa orientale che diviene italiana (Aoi). Vittorio Emanuele III poté fregiarsi del titolo di Imperatore. «Il Vittorioso» non la decanta. Si limita a pubblicare storie che esaltano il coraggio e l'operosità dei figli dei combattenti in Aoi rimastivi come coloni. Non manca il primo apparire dei racconti a fumetti di Zoolandia di Sebastiano Craveri, che diventerà una firma storica della testata. Al discorso di Mussolini del 10 giugno 1940 («...la dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia») «il Vittorioso», nota Vecchio, reagisce come gran parte della Chiesa e della stampa cattolica, con una sorta di patriottismo freddo lontano dagli estremismi di un Mario Appelius («Dio stramaledica gli inglesi») e invita «a pregare il Signore perché protegga i nostri soldati, le nostre case, la nostra Patria». Non può evitare di scrivere della guerra. Lo fa con un cineromanzo di 16 puntate che non la magnifica, ma si limita a descriverla e a dare esattamente conto di come erano gli aerei, le navi da guerra e i mezzi terrestri di allora. Nel 1940 arriva al «Vittorioso» un giovanotto diciassettenne, tale Jacovitti, che sarà una delle colonne portanti del settimanale. Le sue pagine horror vacui, densissime di spassose vignette, sono indimenticabili. Ben presto, nel '41, alla porta del «Vittorioso» bussa la guerra. La carta viene razionata ed è di pessima qualità. Deve sparire il colore. «Il Vittorioso» sospende le pubblicazioni l'11 settembre 1943, all'indomani della dichiarazione dell'armistizio. Le riprenderà a Roma il 4 giugno 1944, con l'arrivo nella capitale dei soldati Usa che portano il boogie-woogie di «In the mood» eseguito da Glenn Miller, «St Louis blues» cantato con la sua voce roca da Louis Armstrong, ìl chewin gum, le sigarette Chesterfield, i libri e i film che il Minculpop vietò, da «Addio alle armi» a «Niente di nuovo sul fronte occidentale». Jacovitti disegna una storia, segno dei tempi, ambientata a New York. Il dopoguerra fu durissimo: fame e freddo, povertà, distruzioni ne furono la cifra. Per il Natale del '45 Jacovitti fa gli auguri ai lettori del «Vittorioso» con una delle sue ''pagine'' più belle. Con un disegno che sembra voler mettere in rilievo il divario, sdrammatizzandolo, tra la vita della povera gente e quella di quanti che dalla guerra sono usciti non solo indenni, ma pure arricchiti, che pranzano in una sala ben riscaldata. Ritorna Craveri con la sua Zoolandia. Ricorda la Resistenza con un bel racconto dal titolo «I ragazzi di piazza dei Cinquecento». Dopo uno scontro con i tedeschi un partigiano avvicina dei ragazzi dediti a furtarelli e a piccole truffe e li convince ad andare a lavorare come apprendisti in un'officina meccanica per diventare bravi e onesti lavoratori. Jacovitti, ai suoi soliti personaggi (Pippo, Pertica e Palla) ne aggiunge uno nuovo, il poliziotto Zagar, che quando scopre il colpevole dice «lo supponevo». Sempre nel '54 due belle copertine ricordano i partigiani cattolici caduti nella guerra partigiana e i martiri di Auschwitz. Nel '56 mette in primo piano la rivoluzione ungherese, duramente repressa con metodi staliniani dall'Armata Rossa per ordine dell'antistaliniano Nikita Kruscev. Con una sua auto pubblicitaria partecipa alla carovana del Giro d'Italia. Nel '57 in una memorabile megapagina Jacovitti disegna caricature di grandi uomini: Manzoni fa lo strillone per vendere un giornale che reca la notizia della morte il 5 maggio di Napoleone, disegnato abbronciatissimo in un'altra caricatura, Pitagora lavora indefessamente alla sua tavola, Volta con la rana che sprizza scintille, Verdi suona la grancassa, Annibale su un elefante rassegnato a varcare le Alpi, Diogene in una botte, Giotto disegna il suo ''o''. Nel 1954 tra i collaboratori ecco il maestro Manzi, quello che dalla tv si impegnerà contro l'analfabetismo. Sempre nel '54 due belle copertine ricordano i partigiani cattolici caduti nella guerra partigiana e i martiri di Auschwitz. In un concorso tra abbonati viene messa in palio la bicicletta con la quale il cattolicissimo Gino Bartali ha vinto il Tour de France del '38. Bartali la consegna personalmente al vincitore del concorso. Vengono lanciati con grande successo i «Diari Vitt», amatissimi da scolari e studenti anche se qualche volta, è da pensare, raccoglieranno spiacevoli note disciplinari da far firmare ai genitori. Nel 1957 Jacovitti divide le sue performance con il neonato «Il Giorno» dell'Eni di Mattei. Si avvertono i primi sintomi della crisi del «Vittorioso», che culminerà nel 1970 con la sua chiusura dopo essersi autoridotto a «Vitt». «Il Vittorioso» non ha avuto epigoni. Fu un unicum tra i settimanali per ragazzi. Nessun altro potrà reggere il confronto con il suo livello. Con la sua chiusura, infatti, finisce l'epoca dei giornali per ragazzi. La scomparsa del «Vittorioso» è parte di una più ampia vicenda del giornalismo italiano non ancora studiata. Con «L'Italia del “Vittorioso”» Giorgio Vecchio ha fatto da apripista? Giorgio Bobbio
|