Ma dentro i partiti continua il silenzio sui veri problemi

 

«Il mio governo? Un episodio. Mi rifiuto infatti di pensare che in Italia non si possa eleggere un leader che sia in grado di guidare il Paese» A Cernobbio, domenica scorsa nell’annuale convegno dello studio Ambrosetti, Mario Monti taglia corto sul suo futuro ribadendo che il compito del suo governo si concluderà con le elezioni politiche della prossima primavera.

Spetterà quindi alle forze politiche assumersi le responsabilità di guidare il Paese. Lo stesso concetto lo ha ripetuto, ancor più esplicitamente, il giorno dopo a Sarajevo partecipando al convegno delle religioni promosso dalla comunità di Sant’Egidio.

Due puntualizzazioni che, se non escludono in teoria una partecipazione diretta del presidente del Consiglio alla contesa elettorale, tolgono non poche ambiguità al singolare dibattito che si è aperto tra i partiti sull’eventualità che Monti possa essere il candidato della coalizione vincente a guidare il prossimo governo, alla luce anche del favore con il quale i maggiori leader dell’Unione europea (e anche Obama), la gran parte del mondo imprenditoriale e finanziario, come è emerso nettamente proprio a Cernobbio, giudicano la sua fatica non ancora conclusa. Lo stesso Monti comunque si è tirato fuori da questa corsa a mettere il cappello su di lui dichiarando: «Non cercherò di convincere nessuno a sostenere una particolare forza politica».

I due maggiori partiti che sostengono il governo, il Popolo delle libertà e il Partito democratico, hanno apprezzato queste affermazioni ritenendo che non ci siano più le condizioni per un Monti bis. «Chi lo vuole, dovrà trovarlo sulla scheda elettorale perché in democrazia governa chi vince le elezioni», ha sottolineato con freddezza il segretario del Pdl, Alfano. «Siamo pronti a governare. Perché sceglie chi vota, non i banchieri», ha precisato Bersani chiudendo a Reggio Emilia la festa nazionale dei democratici.

Solo il leader dell’Udc, Casini, lanciando a Chianciano il partito dei moderati (con il nome «Italia» nel simbolo al posto di quello attuale di «Casini») con un’apertura, apprezzata, a non pochi esponenti del mondo cattolico (dal presidente delle Acli al segretario della Cisl, Bonanni), una strizzata d’occhio ad alcuni ministri del governo, come Passera, e agli imprenditori (a cominciare dall’ex presidente della Confidustria, Marcegaglia), ha spezzato nuovamente una lancia per una riconferma di Monti: «Il cammino del governo non va interrotto. Perché nulla sarà come prima e dobbiamo dirlo a chi ritorna a Berlusconi e a chi si illude che il Pd possa fare da collante tra i sostenitori di questo governo e il neo massimalismo». Con un chiaro riferimento a Vendola, che proprio in questi giorni ha firmato il referendum, proposto da Di Pietro e dalla sinistra radicale, per bocciare il nuovo articolo 18 della legge Fornero sulla riforma del mercato del lavoro.

Se Monti afferma che la matassa elettorale deve essere sbrogliata dai partiti, sia quelli della grande maggioranza che lo sostengono, sia quelli di opposizione, torna in primo piano, in questo scenario abbastanza confuso e contraddittorio, la necessità di una nuova legge elettorale che sostituisca l’attuale porcellum. Ma il dibattito tra le forze politiche continua a svolgersi in un clima surreale che un giorno dà quasi per fatta una intesa tra i maggiori partiti e il giorno dopo tutto torna in alto mare, con il risultato che, mentre si moltiplicano i sistemi e i modelli ai quali ispirarsi (dal tedesco, allo spagnolo, con il premio di maggioranza che una volta viene attribuito alla coalizione vincente e un’altra al singolo partito che ha ottenuto il maggior numero di voti), prende sempre più peso l’idea che si andrà a votare con l’attuale sistema elettorale con marginali modifiche, tanto per cercare di convincere gli elettori che qualcosa è cambiato.

A rendere più complicata la situazione c’è lo stallo nel quale si trovano i diversi partiti. Nel Pd sono ormai partite le procedure che dovrebbero portare nel mese di novembre, con le primarie, alla scelta del candidato per la guida del governo. A sfidare Bersani è ora sceso in campo il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che ha iniziato, salendo su un camper, il suo giro per l’Italia forte dei consensi, dentro e fuori il partito, che ha conseguito nelle tante feste dell’estate. Il confronto tra i due esponenti del Pd è certamente un segno di chiarezza se esce dallo scontro generazionale (via l’attuale gruppo dirigente) che è sembrato prevalere in più occasioni e se si incentra sul progetto di governo (cosa si deve fare per aiutare il Paese ad uscire dalla attuale pesante crisi economica e finanziaria) e sulla coalizione che si intende guidare, in caso di vittoria, dopo le politiche.

Finora la partita tra Bersani e Renzi sembra essere quasi una questione interna di partito. Ma chi vincerà dovrà pur dire con quali prospettive ritiene di muoversi superando i veti che finora sono stati espressi. Nel centro-sinistra infatti c’è la posizione critica di Vendola (anche lui deciso a candidarsi per le primarie), che esclude ogni intesa programmatica con l’Udc di Casini, mentre Bersani (e anche Renzi) ritengono che il tema delle alleanze deve essere affrontato dopo l’approvazione della nuova legge elettorale e quando si saprà la data del voto.

È certamente un percorso corretto se le primarie vogliono coinvolgere solo quanti hanno scelto o sceglieranno di votare per il Partito democratico. Ma rischia di rendere nebulosa la stessa campagna elettorale, perché priva i cittadini del diritto di conoscere sia il programma sia la coalizione (che sarà certamente necessaria dopo il voto) che si vuole realizzare. Mettere insieme Casini e Vendola sembra, oggi come oggi, un’impresa impossibile. È augurabile che il confronto tra Bersani e Renzi diradi le fumosità esistenti, che di fatto bloccano l’azione del Partito democratico.

Anche nel Pdl c’è ancora una nebbia diffusa. Berlusconi appare sempre più tentato dallo scendere nuovamente in campo (magari non escludendo ancora le elezioni anticipate). Ma per ora non ha ancora parlato espressamente. Non ignora infatti che nel centro-destra ci sono tensioni e anche fughe verso il partito di Casini, specie se quest’ultimo accentuerà la sua scelta di essere espressione più ampia dei moderati che non si riconoscono nella leadership del Cavaliere (anzi la temono), ma guardano con preoccupazione agli ukase che Vendola (insieme con i distinguo di diversi esponenti del Pd) lancia a getto continuo sulle scelte del partito. Berlusconi sta vagliando la situazione; guarda ancora ad una intesa con la Lega di Maroni e non esclude una ripresa di contatto con Casini e la sua nuova formazione moderata. Ma ancora una volta la legge elettorale potrebbe essere lo strumento che riesce a sbloccare una situazione per ora paralizzata.

Nei prossimi giorni la politica dovrebbe rimettersi in movimento. E intanto anche il Movimento 5 stelle comincia a conoscere le gioie e i dolori del dissenso finora sopito dal potere insindacabile di Grillo. Inoltre anche il movimento di Montezemolo e quello liberale del giornalista Giannino dovranno cominciare a dire la loro su programmi e alleanze. Il dibattito tra i partiti porterà più luce o continuerà il dire e non dire attuale?

Antonio Airò

 



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