La dignità della persona e l'eterno amore di Dio

 

A nostra memoria non c’è mai stato, per la morte di un cardinale di Santa Romana Chiesa, un tale mare di cronache, di memorie, di commenti, di editoriali, sui giornali e su Internet, come quello che ha seguito e accompagnato fino alla tomba nel Duomo di Milano la scomparsa di Carlo Maria Martini.

In estrema sintesi, si può concentrare il tutto nell’immagine che appartiene ormai storicamente alla sua figura di uomo e di cristiano: quella di una persona che ha saputo individuare e accogliere in ogni momento della propria esistenza terrena la presenza di Dio. Paradossalmente, proprio l’attenzione anche di molti non credenti (o poco credenti) nei suoi confronti dimostra come attraverso di lui Dio ha continuato per decenni a parlare incessantemente agli uomini, anche quando questi non se lo immaginavano.

C’è un particolare, in questa storia del tramonto umano del cardinale Martini, che deve impressionare: il record di citazioni in tutti i più importanti quotidiani del mondo della sua ultima intervista, pubblicata sul «Corriere della sera» di sabato 1 settembre, secondo la sua volontà che fosse resa nota solo dopo la sua morte. Un’intervista che dappertutto è stata riassunta nelle parole conclusive dette dal cardinale a padre Georg Sporschill l’8 agosto scorso nella casa di riposo dei gesuiti a Gallarate: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dagli aiuti degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Quel «tu» è rivolto anche a tutti noi, chiamati in varie funzioni e carismi a lavorare nella Chiesa e per la Chiesa. In ogni momento, in qualsiasi circostanza, in continuo confronto con un mondo che si sta velocemente scristianizzando. Il giudizio di Carlo Maria Martini sulla Chiesa oggi riflette questa consapevolezza, ma il neo cardinale Ravasi lo ha notato con schietta tranquillità: «Diversi giudizi storici sui contesti sono legittimi. La Chiesa è semper reformanda, quindi sempre in cammino. Ci sono in una struttura così grande e in un orizzonte così vasto percorsi che sono più avanti, altri che sono più in attesa, con passi ancora da compiere. La Chiesa stessa abbraccia non solo tutti i territori, ma anche, paradossalmente, tempi diversi, perché neanche la società contemporanea è tutta uguale e ci sono ambiti culturali che sono ancora fermi».

In quella intervista al gesuita padre Sporschill il cardinale Martini ha esposto in tre «strumenti» quello che la Chiesa può fare nella società di oggi: la conversione (dai propri mali, quelli che Papa Ratzinger ha definito «sporcizia», ma anche riguardo alle domande e alle sue risposte sulla sessualità); la Parola di Dio, come ha proposto il Concilio Vaticano II «restituendo la Bibbia ai cattolici»; i sacramenti (come ad esempio l’Eucarestia, a proposito delle famiglie disgregate: «se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura»).

E’ con amarezza che di fronte a questa serena e fedele rappresentazione dei compiti che spettano lungo i secoli alla Chiesa si deve ammettere che esiste una cultura mediatica mediante la quale sullo stesso «Corriere della Sera» qui ampiamente citato il politologo Ernesto Galli Della Loggia descrive il cattolicesimo attuale come «una federazione di popoli diversi», anzi spesso contrapposti: «Quelli arciconvinti che la Chiesa abbia tradito il Concilio; quelli, all’opposto, che sia stato il Concilio a tradire, esso, il depositum fidei ricevuto, gettandolo alle ortiche; e quelli, infine, che rinserrati tra le mura di qualche movimento, sono persuasi dell’autosufficienza del patchwork religioso a cui sono affiliati. Il resto dei credenti, che pure è la maggioranza, è come se invece non esistesse, e comunque non riesce a trovare il modo di avere voce».

Una descrizione sostanzialmente poco accettabile, soprattutto se si pensa ad esempio a quanto il mondo cattolico da anni sia allineato in silenzio ma in mille esempi, con il Vangelo nella lotta contro la povertà, in Italia e nel mondo, e a sostegno dell’immigrazione, contro i nazionalismi e i razzismi tuttora presenti nella società.

Quanto alle lacerazioni interne, ci sono, ma fanno parte del doloroso e controverso cammino di un’umanità, pur sempre a rischio di corruzione, verso una giustizia che sia, insieme, rispetto dei diritti della persona ma anche fiducia incondizionata nell’amore di Dio. Che è la sostanza dell’eredità che Carlo Maria Martini ci ha lasciato. Come risulta da una frase con cui giustificò la sua andata a Gerusalemme, sull’analoga esperienza compiuta 500 anni prima da Sant’Ignazio, fondatore dei gesuiti, il suo Ordine: «Gerusalemme è una città dove la Parola di Dio e la dignità umana si collegano strettamente».

Beppe Del Colle

 



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