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Segnali di ripresa. Come realizzarli
Nell’imminenza della ripresa dei lavori parlamentari e nella prospettiva della non lontana chiusura della legislatura s’è avuto qualche accenno d’ottimismo, sia pure temperato da una giusta prudenza: al Meeting di Rimini, nei giorni scorsi, il presidente del Consiglio ha detto di cominciare a vedere segnali di ripresa, mentre il ministro Fornero ha asserito che il governo ha rimesso il Paese su una buona strada per cui tocca agli imprenditori sposare il cammino della crescita attraverso gli investimenti. Questi sono certamente la via obbligata per lo sviluppo e da tempo languono ben al di sotto delle aspettative; riavviarli su un percorso virtuoso è quindi necessario, ma al tempo stesso occorre rendersi conto delle difficoltà e degli ostacoli che si parano innanzi. Entrambi giustificano la prudenza con la quale i segni di ottimismo sono stati presentati e possono consentire qualche riflessione sul modo con il quale la scelta può concretarsi. Erigere nuovi stabilimenti, ristrutturare processi produttivi, porre in essere capacità produttive incrementali, lanciare nuove linee di prodotto, significa destinare a ciò rilevanti risorse finanziarie che, in un’economia sana, dovrebbero derivare in parte da profitti secondo un processo di autofinanziamento, ovvero dalla differenza tra ricavi e costi, e in parte dal supporto del mercato attraverso le Istituzioni che ne sono l’ossatura (banche, Borsa). Sull’uno e sull’altro fronte le possibilità sono poco incoraggianti: molte imprese non generano profitti da molto tempo e chiudono bilanci in precario equilibrio se non con risultati negativi; le banche sono impegnate al sostegno del servizio del debito pubblico e devono sostenere extra costi sempre più ingenti imposti dai controlli per contrastare il riciclaggio di fondi o comunque abusi di mercato. L’invito agli imprenditori dovrebbe pertanto riguardare quei soggetti che, pur nelle avverse condizioni, presentano bilanci in equilibrio e riescono ad avere margini atti a consentire un adeguato processo di accumulazione. Soggetti che, va detto, esistono e pertanto possono essere di grande aiuto per uscire dalla stasi presente. Anche su questo punto occorre tuttavia fare chiarezza. I dati di numerose ricerche confermano che a muovere verso gli investimenti non è soltanto o non tanto l’attesa di un profitto, ma soprattutto la stima di un incremento credibile della domanda sia dei beni di investimento stessi, sia dei beni di consumo. Al momento attuale le prospettive sono deboli per gli uni e per gli altri. Le ultime informazioni sottolineano che l’allargamento della fascia di quasi povertà, la dinamica insufficiente dei salari a fronte degli aumenti dei prezzi, l’incertezza del futuro, inducono a contenere la spesa delle famiglie: gli stessi consumi alimentari si stanno contraendo unitamente a tutti gli acquisti rinviabili nel tempo come quelli relativi al vestiario o all’intera gamma dei beni durevoli (televisori, frigoriferi, lavatrici, automobili). In queste condizioni anche le imprese sostanzialmente sane si trovano a disporre di capacità produttive insature e non sono certo propense ad aumentarle; quand’anche vi fossero denari disponibili questi non alimenterebbero cioè nuovi investimenti per ulteriori impianti. Si riprodurrebbe ancora una volta la nota vicenda del cavallo che non vuole bere. La corretta sollecitazione all’impiego di capitali deve quindi avvenire in un contesto atto ad invogliare la domanda, ovvero generando le condizioni affinchè possano prodursi risorse spendibili; la «guerra all’evasione» dichiarata dal professor Monti va in questa direzione se consentirà un alleggerimento fiscale significativo, come le diverse forme di sostegno sociale a chi ha perso il lavoro. L’impegno delle imprese va visto altresì nella generazione di stimoli sani al consumo attraverso l’innovazione di prodotto atta a saldare l’appetibilità del bene con lo sforzo economico da affrontare per la sua acquisizione. E’ da pensare tuttavia che il cammino verso la ripresa degli investimenti passi attraverso l’utilizzazione intelligente e intensa delle risorse finanziarie mano a mano che si formano anche grazie ai sacrifici richiesti agli italiani, nell’ipotesi che qualcosa resti al di là dell’attenuazione del debito pubblico alla realizzazione di infrastrutture. E’ da condividere l’impegno del ministro Passera nel rilanciare opere di questo tipo e nel proseguire quelle già decise e cantierate: sono epigoni di una sana politica keynesiana che, oltre ad immettere possibilità di spesa nell’economia attraverso opportunità di occupazione, mettono in grado il Paese di essere adeguato a vivere una nuova ripresa. Le linee per addivenire alla crescita cominciano ad emergere; esse si confermano tuttavia quale parte di un sistema complesso, nel quale tanti tasselli devono combaciare. Risultato difficile ma possibile, a condizione che emerga una reale unità d’intenti anche con il sacrificio di convinzioni personali che, in nome di un “meglio”, potrebbero sacrificare un “bene” raggiungibile. Giovanni Zanetti
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