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Vacanze papali. Crisi e ricordiGiornate tranquille, ma piene di sorprese, quelle che il Papa sta trascorrendo nella residenza estiva di Castel Gandolfo. La Messa, anzitutto, sempre al primo posto. Questa volta è a Frascati, con l’intervento di tanti sindaci da Roma e dintorni, il ministro Riccardi, i presidenti della provincia e della Regione, il cardinal Bertone, vescovi, religiosi, la grande folla di fedeli malgrado il caldo. Vacanze fatte di preghiera, meditazione, stesura di testi, incontri discreti, relax e amarcord. Sì, proprio così. Con un salto, qualche chilometro, nella vicina Nemi s’immerge nei ricordi, andando a visitare il Centro missionario dei Padri Verbiti dove fu ospite da «giovane teologo», così si definisce, durante il Concilio ecumenico vaticano II, di cui era consultore al seguito del suo vescovo. Con un altro salto, questa volta figurato, torna indietro, al giorno e alla realtà di oggi e chiama il suo coetaneo, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, per offrirgli un concerto, ricambiandolo di quelli che, a partire dal 2008, il Presidente gli ha offerto nelle significate ricorrenze personali (compleanni), sacerdotali e pontificali. Due grandi vecchi, due Capi, uno universale, l’altro nazionale, uno carismatico e spirituale, l’altro politico e sociale, che danno speranze l’uno al mondo l’altro al proprio popolo e anche all’Europa. Due leader, due saggi, due moderatori dei contrasti, delle divergenze, che non hanno armi proprie se non la forza morale, eppure ambedue, in un modo o nell’altro, bersaglio di malevolenze, di manovre, di critiche, forse di congiure. Non ignora queste situazioni Benedetto XVI che nel discorso pubblico al termine del magnifico e singolare concerto tocca, a modo suo, il tasto politico, esortando alla «paziente ricerca delle intese possibili». Dice testualmente il Papa: «Per giungere alla pace bisogna impegnarsi, lasciando da parte la violenza e le armi, impegnarsi con la conversione personale e comunitaria, con il dialogo, con la paziente ricerca delle intese possibili». Un pensiero che abbraccia ogni tipo di crisi, quelle belliche e quelle recessive. In questo spirito prende corpo il Messaggio per la prossima Giornata della pace del 1° gennaio ma le poche anticipazioni fornite suscitano un grande interesse. Vi sarà «una riflessione etica su alcune misure che nel mondo si stanno adottando per contenere la crisi economica e finanziaria». E mentre si torna sull’emergenza educativa, si rileva che «la crisi delle istituzioni e della politica è anche, in molti casi, preoccupante crisi della democrazia». Il Messaggio guarderà anche al 50° anniversario del Concilio vaticano II e dell’enciclica di papa Giovanni XXIII, Pacem in terris, «secondo la quale il primato spetta sempre alla dignità umana e alla sua libertà, per l’edificazione di una città al servizio di ogni uomo, senza discriminazioni alcune, e volta al bene comune sul quale si fonda la giustizia e la vera pace». Il Messaggio, dal titolo «Beati gli operatori di pace» sarà l’ottavo Messaggio di papa Benedetto XVI per la Celebrazione della Giornata mondiale della pace. A Napolitano, che è accompagnato dalla moglie Clio, il Papa insieme al suo segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone, va incontro, nel giorno di san Benedetto, patrono d’Europa, all’ingresso dal giardino del Moro. Cordiale scambio di saluti, breve colloquio presumibilmente sulle sorti dell’Europa, tema che verrà ripreso poi nella cena d’onore per l’ospite, e subito, scortati dalle Guardie svizzere, nel Cortile dove trecento ospiti in attesa che il maestro Daniel Barenboim incroci la bacchetta scattano nell’applauso. Singolare questa «West-Eastern Divan Orchestra» che esegue la Sinfonia n. 6 in Fa maggiore («Pastorale») e la Sinfonia n. 5 in Do minore di Ludwig van Beethoven. Singolare questa orchestra perché? Dopo aver definito l’ascolto «davvero intenso e arricchente per il nostro spirito», il Papa sottolinea che l’orchestra è composta da israeliani, palestinesi, arabi di altri Paesi, di religione ebraica, musulmana e cristiana. E’ nata tredici anni fa ad opera di Barenboim e di Edward Said e dimostra che «la musica unisce le persone, al di là di ogni divisione; perché la musica», rileva Benedetto, «è armonia delle differenze, come avviene ogni volta che si inizia un concerto, con il rito dell’accordatura. Dalla molteplicità dei timbri dei diversi strumenti, può uscire una sin-fonia. Ma questo non accade magicamente, né automaticamente! Si realizza soltanto grazie all’impegno del direttore e di ogni singolo musicista. Un impegno paziente, faticoso, che richiede tempo e sacrifici, nello sforzo di ascoltarsi a vicenda, evitando eccessivi protagonismi e privilegiando la migliore riuscita dell’insieme». Purtroppo, si rammarica Benedetto, «la grande sinfonia della pace tra i popoli non è mai del tutto compiuta». E rievoca: «La mia generazione, come pure quella dei genitori del maestro Barenboim, hanno vissuto le tragedie della Seconda guerra mondiale e della Shoa. Ed è molto significativo che lei, maestro, dopo aver raggiunto i traguardi più alti per un musicista, abbia voluto dar vita ad un progetto come quello della West-Eastern Divan Orchestra», in cui si ritrovano «l’eccellenza professionale e l’impegno etico e spirituale». «Le due celeberrime Sinfonie», chiosa ancora Benedetto XVI, «esprimono due aspetti della vita: il dramma e la pace, la lotta dell’uomo contro il destino avverso e l’immersione rasserenante nell’ambiente bucolico. Beethoven lavorò a queste due opere, in particolare al loro completamento, quasi contemporaneamente. Tant’è vero che esse vennero eseguite per la prima volta insieme nel memorabile concerto del 22 dicembre 1808, a Vienna». E dunque il messaggio che se ne trae è che per giungere alla pace ci vuole impegno, non violenza, e paziente ricerca delle intese possibili. Ai Missionari Verbiti, che lo hanno accolto con grande gioia ed entusiasmo, ha confidato l’emozione di rivedere quel Centro «dopo 47 anni. Ne avevo un ricordo bellissimo, forse», ha detto il Papa, «il più bel ricordo di tutto il Concilio. Io abitavo nel centro di Roma, nel Collegio di Santa Maria dell’Anima, con tutto il rumore: tutto questo è anche bello! Ma stare qui nel verde, avere questo respiro della natura e anche questa freschezza dell’aria, era già in sé una cosa bella. E poi c’era la compagnia di tanti grandi teologi, con un incarico così importante e bello di preparare un decreto sulla missione». S’inoltra nei ricordi il Papa. «Il Generale di quel tempo, padre Schütte, aveva sofferto in Cina, era stato condannato, poi espulso. Era pieno di dinamismo missionario, della necessità di dare un nuovo slancio allo spirito missionario. E aveva me, che ero un teologo senza grande importanza, molto giovane, invitato non so perché. Ma era un grande dono per me. Poi c’era Fulton Sheen, che ci affascinava la sera con i suoi discorsi, padre Congar e i grandi missiologi di Lovanio. Per me è stato un arricchimento spirituale, un grande dono. Era un decreto senza grandi controversie». Ma una controversia c’era e «io», confessa il Papa, «non ho mai realmente capito, tra la scuola di Lovanio e quella di Münster: scopo principale della missione è l’implantatio Ecclesiae o l’annunzio Evangelii? Ma tutto convergeva in un unico dinamismo della necessità di portare la luce della Parola di Dio, la luce dell’amore di Dio nel mondo e di dare una nuova gioia per questo annuncio. E così è nato in quei giorni un decreto bello e buono, quasi accettato unanimemente da tutti i padri conciliari, e per me è anche un complemento molto buono della Lumen gentium, perché vi troviamo un’ecclesiologia trinitaria, che parte soprattutto dall’idea classica del bonum diffusivum sui, il bene che ha la necessità in sé di comunicarsi, di darsi: non può stare in se stesso, la cosa buona, la bontà stessa essenzialmente è communicatio. E questo già appare nel mistero trinitario, all’interno di Dio, e si diffonde nella storia della salvezza e nella nostra necessità di dare ad altri il bene che abbiamo ricevuto. Così, con questi ricordi ho spesso pensato a questi giorni di Nemi che sono in me, come ho detto, parte essenziale dell’esperienza del Concilio. E sono felice di vedere che la vostra Società fiorisce – il padre Generale ha parlato di seimila membri in tanti Paesi, da tante Nazioni. Chiaramente il dinamismo missionario vive, e vive solo se c’è la gioia del Vangelo, se stiamo nell’esperienza del bene che viene da Dio e che deve e vuol comunicarsi». Nell’omelia a Frascati mette in guardia dall’attaccamento al denaro e alla comodità, ciò che Gesù ha raccomandato agli apostoli mentre li mandava in giro a due a due, avvertendoli che «non riceveranno sempre un’accoglienza favorevole: talvolta saranno respinti; anzi, potranno essere anche perseguitati. Ma questo non li deve impressionare: essi devono parlare a nome di Gesù e predicare il Regno di Dio, senza essere preoccupati di avere successo. Il successo lo lasciano a Dio». Poche udienze finora. Quella al cardinale Ouellet, presidente della Congregazione dei vescovi, e all’anziano cardinale Fiorenzo Angelini, a suo tempo un grande patròn spirituale della sanità romana, in un momento in cui gli ospedali cattolici, dal Policlinico Gemelli al Fatebenefratelli, all’Idi, sono in sofferenza. Ma nei prossimi tre giorni Benedetto XVI dovrebbe ricevere i tre cardinali che hanno condotto l’inchiesta sulla fuga dei documenti. Il maggiordomo Paolo Gabriele è in carcere ormai da 60 giorni. Per ora la novità è una presa di posizione di suo padre, secondo il quale, in una lettera inviata a TgCom 24, Paolo non può essere l’unico capro espiatorio, in una vicenda «non facile a comprendere, fin quando la motivazione di ciò che è accaduto non sarà resa pubblica». Antonio Sassone
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