Un ritorno e un intrico

 

«C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, oggi nel sole». Con ironia e ricorrendo ad una nota poesia, Pierferdinando Casini ha commentato la decisione di Silvio Berlusconi di ritornare in campo e ricandidarsi a guidare il centro-destra nelle prossime elezioni politiche.

E a sottolineare che nulla è cambiato nel suo progetto politico, il Cavaliere ha rispolverato il programma “liberale” che aveva sbandierato diciassette anni fa, ha convocato in una delle sue ville un gruppo di economisti guidati dall’euroscettico Martino e ha accarezzato anche l’idea di chiamare il partito modellato a sua immagine e somiglianza (e che metterà a punto con una apposita convention a settembre) con l’antico nome di Forza Italia.

Ma le reazioni subito emerse nel Popolo della libertà, soprattutto da parte dalla componente degli ex An, con La Russa in testa, lo hanno indotto a dichiarare che il suo era solo un contributo al dibattito e che tutto doveva essere ancora deciso. Non è invece in discussione il suo rientro. Lo fa, come ha dichiarato in un’intervista in un quotidiano, «per salvare il Pdl; se per assurdo dovesse scendere all’8 per cento, quale senso avrebbero avuto 18 anni di impegno politico?». Il Cavaliere è convinto che solo il suo carisma è ancora l’arma vincente per consentire al suo partito di tornare protagonista nella vita politica del Paese, anche se il risultato delle urne dovesse segnare la vittoria del centro-sinistra di Bersani.

Questa convinzione non era mai scomparsa dalla testa dell’ex presidente del Consiglio anche quando riempiva di lodi Angelino Alfano e assumeva le vesti del padre nobile del partito. Il passaggio delle consegne al suo successore,che aveva preso sul serio il suo incarico ed aveva iniziato a lavorare per dare al partito un volto nuovo e un gruppo dirigente nuovo, era sempre stato sub condicione e accompagnato anche da un rimpianto neppure tanto nascosto. Sono bastati i deludenti risultati delle elezioni amministrative e i sondaggi che danno il Pdl in caduta libera per spingere Berlusconi a rompere gli indugi e a ribadire la sua leadership.

Probabilmente ha spiazzato non pochi dirigenti del Pdl, anche se si è alzato l’immancabile muro di consensi attorno alla sua decisione: «Sono stato il primo a dire», ha dichiarato Alfano, «che per me è la scelta giusta e che sarò al suo fianco: è la candidatura più forte per tornare a vincere». Non ha dubbi il capogruppo alla Camera, Cicchetto, che afferma asciuttamente: «Berlusconi sarà il candidato premier. Sono tutti d’accordo», e liquida le primarie che erano state annunciate con enfasi dal segretario del partito e dai suoi collaboratori dicendo con sarcasmo che «casomai si possono fare per altre cariche». Per il leader, invece, tutto già deciso. In questa continuità sbandierata e preparata da tempo, è possibile che a pagare la sesta discesa in campo del Cavaliere sia la consigliera regionale Nicole Minetti (imposta a sue tempo proprio da Berlusconi nel listino della Regione Lombardia a sostegno di Formigoni), invitata sbrigativamente dai dirigenti del partito a dimettersi dall’incarico.

La decisione di Berlusconi, proprio mentre il governo Monti sta preparandosi ad affrontare un vero e proprio “percorso di guerra” che minaccia la stabilità finanziaria ed economica, se non mette a rischio la stabilità dell’esecutivo e anche il prestigio internazionale che il presidente del Consiglio continua ad avere, colloca la prossima consultazione politica in un clima avvelenato, in una contrapposizione frontale con il centro-sinistra che solo una nuova legge elettorale che i partiti si sono impegnati a varare entro settembre (ma per ora le distanze tra i vari schieramenti sono incolmabili) potrebbe alleviare. Può darsi che la nuova battaglia del Cavaliere non riesca a recuperare i consensi perduti, anche perché peserà e non poco il fallimentare bilancio del suo governo che con fatica Monti sta cercando di risanare, ma resta il fatto che ci attendono mesi incandescenti che il carisma di Berlusconi (e lo testimoniano le dichiarazioni irridenti del segretario della Lega, Maroni) riuscirà difficilmente a superare. Più che sul piano elettorale, su quello del partito stesso. Dove non mancano malumori e dissensi che potrebbero portare a scomposizioni e riaggregazioni del centro-destra anche in presenza di vecchi e nuovi protagonisti (dall’Udc, al Terzo Polo, al movimento di Montezemolo) e della componente sempre più organizzata dei “grillini”.

Nel centro-sinistra la scelta di Berlusconi (che Bersani ha definito «un ritorno agghiacciante») non cambia nella sostanza il confronto tra le forze politiche, ma obbliga il Pd a definire con urgenza il progetto con il quale intende andare alle elezioni e le alleanze per il governo del Paese (che può passare anche per un Monti bis, anche se l’interessato ha dichiarato che la sua esperienza politica si chiuderà con la consultazione della prossima primavera). La conferma delle primarie decisa dall’assemblea del Pd (con Bersani sarà in lizza anche il sindaco di Firenze, Renzi, oltre a possibili altri pretendenti) è certamente un passaggio necessario e obbligato anche se sarà condizionato dalla legge elettorale (perché il porcellum potrebbe alla fine restare in vigore). Ma ha bisogno di un partito coeso e soprattutto intenzionato seriamente a vincere. E questo finora non si è avvertito negli ultimi avvenimenti.

Nel centro-sinistra permangono le divergenze con Sel di Vendola, che sembra inseguire il sogno di una sinistra maggioritaria nel Paese che può fare a meno dei voti centristi, e con l’Italia dei valori di Di Pietro sempre più arroccata in una politica fatta di slogan slegati da ogni proposta costruttrice. Se si aggiunge poi lo spettacolo offerto nell’ultima assemblea del Pd, dove una minoranza ha cercato di imporre una scelta in materia di diritti civili (coppie di fatto e matrimoni omosessuali) che ben poco ha a che fare con un progetto di governo per il Paese, il quadro appare desolante. Il prevalere di una cultura radicale e individualista (al di là delle ragioni che militano per una regolamentazione seria e urgente di questi diritti civili) non aiuta certo il Pd a conquistare i consensi per battere il centro-destra. La presenza o meno di Berlusconi è secondaria per definire il prossimo esito elettorale. Ma un centro-sinistra rissoso rischierà di andare incontro ad una sicura sconfitta. Eppure l’esperienza del governo Prodi dovrebbe ben essere presente a tutti.

Antonio Airò

 



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