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Medicina oggi, tra scienza e morale
La parrocchia Regina delle Missioni a Torino ha organizzato, nella stagione scorsa, una serie di interventi su temi di bioetica di grande interesse, caratterizzati da una sequenza logica degli argomenti; e infatti, non a caso, hanno riscosso un grande successo di pubblico. Gli argomenti sono stati trattati da medici esperti in diversi settori: la dottoressa Clementina Peris sul tema dell’inizio vita e della legge 140. Il dottor Pier Paolo Donadio ha affrontato in due interventi settimanali consecutivi il tema dei trapianti e quello, più delicato, degli stati vegetativi. Quest’ultimo argomento è stato trattato successivamente dal professor Giorgio Palestro, direttore del Centro cattolico di bioetica presso la Facoltà teologica di Torino, nella relazione dedicata al testamento biologico. Il tema ha inevitabilmente fatto specifico riferimento al dibattuto caso di Eluana Englaro, del quale sono stati messi in luce gli aspetti fortemente critici e contradditori del percorso giuridico che ha condotto alla sentenza finale di sospensione della nutrizione e idratazione. Il prof. Palestro è anche un noto oncopatologo, per molti anni preside della Facoltà di medicina all'Università di Torino, dove ha attivato iniziative di grande significato come la realizzazione di un Centro oncologico all'interno dell'ospedale Molinette finalizzato alla ricerca scientifica, alla diagnostica e alla terapia in day hospital e ambulatoriale. Il dottor Enrico Larghero ha concluso la sequenza delle cinque relazioni con i temi relativi all’accanimento terapeutico e all’eutanasia. Infine, al teologo morale don Giuseppe Zeppegno è stato affidato il compito di sintetizzare i diversi temi trattati trasferendone gli aspetti centrali sul piano teologico morale. Proprio dalla relazione del prof. Palestro, sul tema del testamento biologico, abbiamo preso le mosse per un colloquio informale: «La legge in Italia non prevede il testamento biologico», afferma Palestro, «quindi tutte le argomentazioni che si fanno sono basate su analogie di comportamenti di altri Paesi dove c'è una legislazione che regola il problema». Quali sono i punti cruciali? Uno riguarda l'aspetto giuridico testamentario. Chiediamoci come viene espressa la volontà di un individuo il quale prevede l'ipotesi di poter perdere la capacità di esprimersi. Esiste tuttora molta confusione sulla questione della dichiarazione della volontà testamentale: non bastano dichiarazioni verbali, spesso effettuate su base emotiva, come nel caso Englaro, e dunque con scarsa o nulla attendibilità. L’argomento è delicatissimo, va trattato con molta serietà e garanzia di attendibilità. Il punto cruciale consiste nella richiesta di una dichiarazione scritta. Pensiamo al caso Eluana Englaro…Appunto, proprio quello è diventato un caso paradigmatico. Infatti, ben prima della grave menomazione seguita all’incidente subito da Eluana, era stato accertato che ella aveva semplicemente affermato ad alcune amiche, dopo aver fatto visita a un amico in stato vegetativo a causa di un tragico incidente, che avrebbe preferito morire piuttosto che vivere in quelle condizioni. Tutto troppo vago? Sì. E infatti due tribunali, rispettivamente di Lecco e di Milano, rifiutarono il ricorso del padre, negando la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale, ritenendole doverose. Inoltre, non accettarono la validità di quella dichiarazione . Il motivo? Non vi era nulla di scritto, né vi era mai stata una vera dichiarazione d'intenti. Eluana si era espressa come lo potrebbe fare ciascuno di noi in momenti di particolare stato emotivo, senza peraltro che a quanto detto possa seguire, di fatto, una realtà di azione. Quindi non può avere alcun valore reale una semplice battuta pronunciata emotivamente ad alcune amiche mentre erano in visita un ragazzo in coma, vittima di un grave incidente. Quando succede a te è una cosa diversa…. Appunto, manca la prova di come viene coinvolta la reale volontà del soggetto quando un evento, valutato soltanto come ipotetico, si verifica nella realtà. Ma chi può valutare queste situazioni? Quali precedenti esistono? Ci sono molti casi dimostrati di persone che, in stato vegetativo, hanno mantenuto isole di coscienza. E al loro risveglio, alla domanda se avessero preferito sospendere i sostentamenti nutritizionali, essi rispondevano, convintamene, in modo negativo. Si tratta di un dilemma molto serio, umano ed etico prima ancora che giuridico… Certo. Infatti il testamento biologico deve essere una dichiarazione scritta, depositata da un notaio e riveduta nel tempo. Non la si può fare in vista di un eventuale incidente che può avvenire molto tempo dopo, in un momento corrispondente a una realtà psicologica e spirituale molto diverse da quelle precedenti. Bisogna riconfermare in modo da garantire che ci sia un percorso continuo che esprime la propria reale volontà. Dal punto di vista morale ci vuole comunque cautela. Come possiamo tenere per valida una dichiarazione su vicende ignote nei loro aspetti fisici, psicologici e spirituali e che non sappiamo come si verificheranno? C'è chi davvero vuole terminare la sua vita, ma c'è chi preferisce accettare lo stato che si è verificato e che prima aveva considerato non accettabile. Pensiamo alla sindrome detta locked in, una forma di perdita totale che assomiglia allo stato vegetativo. A differenza di chi vive in stato vegetativo, in cui manca la comprensione, i locked in sono coscienti, ma non responsivi. Un’indagine effettuata in questi soggetti al loro risveglio indicava che il 70 per cento di loro dichiarava di avere preferito rimanere in vita. Chi è il locked in? E chi è il paziente che vive in stato vegetativo? Il locked in è assolutamente cosciente, ma non può esprimersi. I movimenti sono totalmente impediti, così come le espressioni verbali, ma mantiene coscienza e attività sensoriali: vista, udito ecc. Come potete ottenere queste classifiche?Con strumenti quali la risonanza magnetica funzionale, Pet, elettroencefalogrammi particolari, si riescono a evidenziare focolai di vitalità. Ci sono trattamenti?Si può solo sperare che si sveglino. E nel frattempo trattarli a livello fisioterapico affinchè i muscoli non si atrofizzino... E' davvero possibile formulare classificazioni tanto precise? Sicuramente no, perchè ci sono grandi differenze classificative che in qualche modo rendono anche difficile una casistica perfetta. Una vera statistica è difficilissima. Così come è altrettanto difficile conoscere davvero numeri e casi. Lo sviluppo della medicina ci pone tutti davanti a dilemmi terribili. Ma vi sono di certo altri temi rilevanti alla luce della bioetica. Quali voi giudicate importanti, magari fondamentali? Un altro tema significativo è il concetto di salute e di malattia. C'è poi il tema dello sviluppo e della sua proiezione futura, pensiamo quindi alla globalizzazione, all'ipermedicalizzazione della società, all'invecchiamento, alla senescenza. Cominciamo dal tema invecchiamento–senescenza. Come lo affrontiamo da un punto di vista morale? Occorre fare capire alcuni concetti base. Un conto è la vecchiaia, altro è la senescenza, con cui s'intende il logoramento, la perdita di funzioni, ecc. La vecchiaia è una situazione diversa, perchè non sempre alla stessa età due soggetti diversi sono paragonabili. Alla stessa età c'è chi è lucido, perchè il suo cervello si è affinato e ci sono basi fisiologiche che consentono di definirlo. Il cervello è straordinariamente plastico, perde un numero progressivo di cellule, ma aumenta l'arborizzazione delle fibre nervose che si collegano ad altre, per cui anche di fronte alla perdita di unità nervose l’incremento dei collegamenti, tramite le fibre di associazione, consente di mantenere e affinare le funzioni più elevate, come la sensibilità, l’emotività, la profondità della coscienza. Occorre tenere conto di queste situazioni che fanno sì che la persona anziana non necessariamente sia senescente. La senescenza può derivare, oltre al logoramento cellulare, anche in seguito alla sovrapposizione di patologie diverse come l’aterosclerosi, oppure la malattia di Alzheimer e così via. Chi invecchia bene è comunque più fragile e ha bisogno anch’egli di aiuto, perchè si isola, non ha più le stesse energie di prima, ha bisogno di sostegno. E qui entra l'opera del volontariato. Si va al di là, dunque, del problema medico…Sicuramente. Tutto il tema della bioetica parte dal problema biologico che richiede tutela e sostegno. Ma bisogna fare attenzione alle derive. Pensiamo all'ipermedicalizzazione e al concetto di salute, oggi trasformato in pretesa di benessere assoluto. Pensiamo alla definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità che già nel 1948 definisce la salute non solo come assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. Questo concetto di benessere è ora diventato pretesa di soddisfare ogni bisogno, ogni necessità, ogni cosa effimera. Non si sopportano neppure più le rughe. Si va verso una visione materialista e fisicista della vita. La vita è bella e buona solo se è materialmente perfetta. Lei vede questo atteggiamento come una strada verso l'eutanasia? Certamente, verso una visione materialista ed egoista della vita. Si parte da questi spunti per sviluppare una linea culturale, mentale per cui non si accetta più di essere brutto, di essere vecchio , di aver perso un po' di energia. A quel punto si cercano tutti i rimedi chirurgici, estetici, plastici, farmacologici. Si arriva a una medicalizzazione che va ben oltre il bisogno vero di salute, di guarire una malattia. Parliamo di un altro tema che le è caro: la bioetica nel futuro. La bioetica nasce per due grandi ragioni. La prima ha la sua radice nelle atrocità derivate dalla guerra e dalle tragiche e criminose sperimentazioni effettuate dai nazisti, ma anche in alcuni centri americani come, ad esempio, l’iniezione di virus dell’epatite in bambini ritardati mentali; negli anni Trenta vennero attivati studi sulla sifilide direttamente servendosi di malati che non vennero curati allo scopo di osservare lo sviluppo naturale della malattia. Inoltre, perfino la chimica, la fisica, la microbiologia si trasformarono in armi: arrivarono la bomba atomica e le bombe chimiche. Tutti questi eventi ebbero l’effetto di creare un grande allarme nelle coscienze collettive del mondo… E fu così che, divenuto imperativo il bisogno di controllo sia della scienza sia della tecnologia con le sue applicazioni umane, nacque la necessità di porre regole etiche e morali che consentissero di distinguere nell’ambito delle azioni tecnicamente possibili, quelle che sono anche moralmente legittime, escludendo così le altre. Il secondo elemento da cui nasce l’esigenza della bioetica è il bisogno di tutela della vita umana, attraverso centri con forte potere d'influenza sull'opinione pubblica mondiale, nei confronti di uno sviluppo scientifico e tecnologico con ritmi esponenziali e irrefrenabile nei suoi obiettivi. Pensiamo alla possibilità di manipolare i geni, di arrivare alla fecondazione artificiale, in una escalation di derive per cui non si mira più al bene della persona, ma soltanto al suo uso strumentale. Anche qui c'è una dicotomia…Alcuni scienziati dicono: la scienza non va toccata, deve essere libera da ogni vincolo perchè si occupa di fatti oggettivi, quindi ogni sperimentazione è in sé valida. Ma altri negano questa impostazione concettuale. Nasce allora negli Usa l’Hasting Center, il più importante centro di bioetica, intorno agli anni ’70. In sostanza, si sviluppa sempre di più la convinzione che sia necessario stabilire un ponte di collegamento fra la scienza e la riflessione spirituale-umanistica. Si tratta di un collegamento che deve smorzare le velleità del razionalismo scientifico per accompagnarlo ad un razionalismo umanistico. Oggi si aggiunge un terzo elemento, la società multiculturale che sfocia nel multiculturalismo. Come dire che tutto va bene?Tutto va bene, tutte le culture vanno bene con la scusa di difendere le radici di ciascuno; in realtà le si abbattono trasversalmente e si sposa l'idea che tutte le idee sono buone. Si propongono allora molte bioetiche. E’ stato definito “non congitivismo etico” cioè l’etica senza più verità. Facciamo attenzione, la bioetica si rifà non a valori mutabili, ma a valori sostanziali che hanno le proprie radici addirittura nella più lontana cultura umana: alludo al valore della vita, della persona umana. A questi valori che, storicamente, risalgono a Ippocrate si sovrappongono i valori del cristianesimo. L'uomo è unità di corpo e spirito ed è immagine di Dio. E in questo senso vi è in lui una componente trascendente. L'uomo è persona, e persona significa interiorità, che è l’elemento di collegamento con il trascendente. Questa condizione ontologica della persona umana condiziona il modo di intendere la vita. Insomma, la bioetica si radica su valori costitutivi dell'uomo, della sua vita, della sua natura. Sono i valori “non negoziabili” di cui parlano la Chiesa, il Papa, valori cui molti fanno obiezione? Certamente. Noi diciamo: questa è la realtà. La realtà comporta il suo rispetto attraverso regole. E per individuare la regola occorre riscoprire le radici originarie e sostanziali che caratterizzano la persona e dunque la vita umana. E’ un circolo logico fatto di passaggi in sequenza. E’ come pensare alla realtà della matematica: essa è una, definita. Uscirne significa uscire dai suoi presupposti e dalle regole che li sostengono. In sostanza, non possono esistere tante matematiche, non si può stabilire individualmente e capricciosamente una verità diversa da quelle esistenti: due più due non può che fare quattro. Questo assunto è la radice da cui derivano consequenzialmente determinate ricadute applicative e comportamentali. Agire in modo diverso significa sconvolgere i valori reali. Il compito della bioetica è cercare di eviscerare i valori sostanziali sui quali ci si radica, valori che, per la loro naturalità, non possono che essere condivisi da tutti. Non possono esserci bioetiche personali. La verità è sempre e soltanto una. Non possono esistere tante verità, ma soltanto opinioni. Quindi non possiamo parlare di bioetica laica, bioetica cattolica? Certo, il laico che non ha la fede porta sottili differenze. Ma le radici sono le stesse. Pensiamo ad Aristotele, a Ippocrate. Sotto il giuramento di Ippocrate c'è il senso compiuto dell'uomo come persona da cui derivano anche i suoi doveri. Pensiamo al problema dell'aborto…Anche l'aborto entra nei grandi temi della bioetica: il feto è vita o non è vita? Certo che è vita, lo è perfino l'embrione. E questo è un assunto che oggi si può dimostrare in modo scientifico. E’ ormai definito che fin dal concepimento non esiste un solo istante in cui l'embrione presenti caratteri generici e condivisi anche da altri embrioni. Il progetto d'uomo nasce immediatamente al momento del concepimento. I vari rapporti che sostengono la non specificità dell’embrione fino al quattordicesimo giorno sono frutto di scelte politiche fatte per assecondare le aspettative di molti. Magari si può discutere se questa è già persona o se per diventare persona occorre un corredo culturale più ampio. Ma questo vale anche per il neonato. Il neonato è più vicino all'embrione che non all'adulto. C'è un progetto fin dall'inizio e che rappresenta un continuum che si manifesta man mano, ma che c'è già. Cosa possiamo dire degli attacchi che vengono mossi alla Chiesa da coloro che pensano che dalle cellule staminali embrionali avremo grandi risultati? Si tratta di attacchi sostanzialmente respinti sul piano scientifico. La cellula embrionale usata nella fase precoce è una cellula dotata di grandi capacità di proliferazione col rischio di accumulare mutazioni e di produrre tumori. E’ ormai acquisito che risulta, per molti motivi tecnici, più agevole e sicuro l’utilizzo delle cellule staminali adulte ottenute dai tessuti, dal cordone ombelicale, dal midollo osseo, dal sangue e da altri tessuti. Le cellule staminali di alcuni tessuti hanno scarsa capacità di differenziazione in tessuti diversi, per esempio l'epidermide si trasforma solo in epidermide. Altri tessuti, come ad esempio i connettivi in genere, il tessuto adiposo in particolare, forniscono cellule staminali capaci di differenziarsi in molti tessuti diversi e, siccome sono quiescenti e si attivano solo quando lo si vuole, non si corre il rischio che esse generino tumori. Riassumendo, cos'è la bioetica?E' ciò che salvaguardia il rispetto e la tutela dell'integrità della vita, della persona.” Da quando esiste questa sensibilità nella Chiesa?La constatazione di un progresso scientifico e tecnologico sempre più rapido e raffinato aveva indotto già Pio XII a prevedere le possibili conseguenze e i rischi di una loro applicazione indiscriminata alla medicina. La Chiesa cattolica, nel suo mandato, ha colto il significato trascendente dell’uomo e il carattere unico e irripetibile della persona umana. A questa visione, soprattutto in seguito ai tanti eventi tragici che abbiamo citato, si è associata anche la sensibilità del mondo laico. E oggi?Oggi siamo una società sempre più fragile, perchè non più ancorata a valori comuni. Viviano tempi confusi. E’ ricomparso un positivismo di stampo materialista e fisicista che spinge alla ipermedicalizzazione, al soddisfacimento di ogni pretesa. Il nuovo culto è quello dell'effimero. Oggi vi è una enorme stratificazione di opportunità tecnologiche e farmacologiche che spingono a una ipermedicalizzazione. Il che significa anche ostinazione nel pretendere cure straordinarie e sproporzionate, non finalizzate al recupero di salute. Si arriva così all'accanimento terapeutico privo di speranza. Eccoci al tema più difficile. Possiamo allora paragonare Giorgio Welby a Eluana? Quale differenza vede?Welby era cosciente. E perfino la Costituzione, art. 32 , prevede la possibilità del paziente di rifiutare le cure. Welby in sostanza rifiutò quello che potrebbe configurarsi un accanimento terapeutico tecnologico. Ma non poteva staccarsi la spina da solo. Entriamo in casi delicati, ma gli scenari mutano e la morale cattolica dispone di una flessibilità nel valutare situazioni nuove. Purtroppo nel caso Welby l'intera vicenda è stata strumentalizzata politicamente. A Eluana invece hanno tolto il nutrimento dopo ben quattro passaggi giuridici in cui le sentenze di due tribunali avevano deciso di protrarre la nutrizione artificiale. In entrambi i casi ci sono state contaminazioni politiche. E' tutto molto difficile: chi dice l'ultima parola?Tocca ai medici, riuniti in consesso, in genere tre, decidere nel modo più conveniente al rispetto della persona del paziente. Ida Molinari
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