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Il catechismo per i ragazzi dell'epoca web
Come spiegare il Vangelo ai ragazzi di oggi sempre connessi ad Internet, iperattivi e cittadini di un mondo virtuale? Con quali parole annunciare ai giovani la Buona Novella? Sono le domande che i catechisti di oggi ripetono come un ritornello. Una risposta arriva dalle pagine del libro «Comunicare la fede ai ragazzi 2.0» (Elledici, pp. 243, 15 euro) di Valerio Bocci, direttore generale della Elledici, la casa editrice salesiana, per oltre vent’anni alla guida della rivista per ragazzi «Mondo Erre». Un sussidio moderno costruito utilizzando la formula innovativa dell’ipertesto su carta, un mix di parole e immagini, idee e suggerimenti con una home page costruita con blocchi brevi di parole, fumetti e disegni utilizzabili come fossero dei link, per entrare in connessione con i «ragazzi 2.0». Obiettivo: usare lo stesso linguaggio dei preadolescenti, quei «nativi digitali» che vivono in Rete, chattano su Facebook, lanciano messaggini su Twitter, per cercare di capire il loro mondo. E aiutarli a “connettersi” con il Vangelo. Direttore, un libro da un titolo molto attuale, «Comunicare la fede ai ragazzi 2.0», ma piuttosto impegnativo. Anche se può sembrare, non è un instant book che intercetta la forte domanda del mercato. Nasce, invece, da un lunga esperienza nella redazione di «Mondo Erre», una rivista-laboratorio che cerca sempre il linguaggio più giusto per dialogare con gli 11-15enni. Forte di questo allenamento, ho cercato di dare una mano ai catechisti in difficoltà nella preparazione dei sacramenti. Non a caso, la comunicazione con i ragazzi, sta diventando uno dei maggiori nodi critici della catechesi. Scorrendo l’indice, la parte dedicata ai consigli pratici arriva solo verso la fine. Come mai si è soffermato a lungo a parlare dei ragazzi e dell’ambiente in cui vivono? Normalmente un catechista va alla ricerca di ricette precotte per “condire” al meglio l’ora di catechismo, senza preoccuparsi di capire anzitutto i ragazzi, come funziona il loro cervello, bombardato da messaggi visivi e sonori, che “aria respirano” da soli, in gruppo, a scuola e in famiglia. La connessione con i nuovi media li sta trasformando “dentro”, dotandoli di speciali abilità mentali, ma esponendoli anche a rischi che i catechisti devono per forza conoscere. Perché li definisce «ragazzi 2.0»? La sigla richiama la più recente versione del web che permette una maggiore interattività rispetto alla precedente («1.0»), per cui anche i giovani esploratori del “continente digitale” interagiscono sui social network, Facebook e Twitter, ricevendo e creando informazioni, riconoscendosi in una foto condivisa subito con altri. Da semplice lettori, i ragazzi si trasformano in veri e propri autori, in utenti attivi, fenomeno che raramente avviene in un incontro di catechismo, dove devono quasi sempre solo ascoltare. Perchè, secondo lei, la maggioranza dei catechisti utilizza poco i media? Per diversi motivi. Per pregiudizio, quando considerano i media come poco educativi, distraenti se non addirittura diabolici, nonostante che la Chiesa la pensi diversamente. Per la scarsa voglia di “imparare” il loro linguaggio e uso, o perché non ne conoscono le effettive potenzialità. Perché accessori inutili, per cui basta parlare, o al massimo lavorare con pennarelli e cartelloni. C’è, infine, chi vorrebbe usarli, ma non ha il pc nelle sale di catechismo. Passata questa crisi, i parroci dovranno mettere a budget qualche euro per acquistare una lavagna Lim (interattiva e multimediale, ndr) o almeno un videoproiettore per il catechismo. Scorrendo le pagine, tra parole di comprensione verso i catechisti fa capolino anche qualche “appunto” nei loro confronti… Ammiro profondamente le tante mamme e giovani che dedicano il loro tempo ai ragazzi. Se non ci fossero loro, poveri parroci… Tuttavia la buona volontà non basta se non è declinata con la conoscenza dei contenuti e il modo di presentarli professionalmente. I concetti vanno semplificati e visualizzati’, mentre sanno ancora troppo di “ecclesialese”. E presentati con i codici comuni ai «2.0», multitasking e sempre connessi con Facebook. Un modello di comunicazione insolito… Dopo anni di ricerca e prove sono arrivato a confezionare un prodotto, l’ipertesto su carta, che in questo momento rappresenta una buona soluzione nella catechesi di oggi, in quanto traduce la struttura interattiva e multimediale del web, familiare ai «nativi digitali». A scanso di illusioni, si tratta di una soluzione intermedia, a tempo. Quando i ragazzi andranno a scuola e a catechismo con i tablet, questo modulo dovrà essere aggiornato con nuove strategie didattiche. In che cosa consiste questo “format”? Esternamente si presenta come un normale sussidio catechistico, che è un mix di fotografie, disegni, spazi da completare e colorare. L’originalità è nell’“architettura” su cui poggia il capitolo, impostato come una home page con blocchi molto brevi di parole (una specie di banca dati a cui attingere), fumetti, clip art, immagini, disegni linkabili e organizzati a rete. Questa impostazione rispecchia la struttura del cervello del ragazzo che vede, legge e ascolta a… zapping. Per capirne il senso logico, non c’è bisogno di iniziare dalla prima riga, come in un libro tradizionale, ma si può partire da un qualsiasi punto (un’intervista, un blog, un sms, uno spezzone di video…), navigando all’interno della “puntata”, secondo la fantasia dei ragazzi e sotto l’attenta regia del catechista che svolge una funzione da tutor. In questo modo, gli incontri diventano comunic-attivi (comunicazione più interattività), come quelli organizzati da Gesù. Vuol dire che anche Gesù usava… l’ipertesto? Gesù riusciva a coinvolgere i professoroni del Tempio, i pescatori, le mamme e i bambini perché le sue parabole erano “ipertestuali”. Utilizzava i diversi moduli della comunicazione: le tante sfumature della parola (per raccontare, creare attenzione, polemizzare…), il dialogo («Qual è il primo dei comandamenti?»), le “foto” («Guardate i gigli del campo e gli uccelli dell’aria…»), la drammatizzazione («Del vostro Tempio non resterà pietra su pietra…»). E, in più, la testimonianza della sua persona: ciò che rende credibile il catechista che comunica con i ragazzi. Una proposta sicuramente originale, ma anche tanto laboriosa… Non esiste il “pronto-in-tasca” catechistico. Qualsiasi metodo didattico va personalizzato, contestualizzato e tarato. L’ipertesto su carta facilita questa operazione in quanto è molto versatile, adattabile più di qualsiasi altro sussidio. Alla fine, il suo punto di forza è nel coinvolgimento cognitivo ed emotivo del gruppo in quanto crea un ambiente di apprendimento molto familiare ai ragazzi più di una pagina di libro. Il prossimo progetto a cui sta pensando? Mi piacerebbe tradurre i sussidi catechistici su carta (La «Buona Notizia») già pubblicati in veri programmi online, da far girare sul web o nelle lavagne Lim che sostituiranno le gloriose diapositive. Oppure, creare qualche “applicazione” digitale per i ragazzi che tra non molto tempo arriveranno a catechismo con il tablet al posto del libro. Che cosa direbbe don Bosco a quanti hanno la responsabilità di educare la «generazione-video»? Ripeterebbe il suo slogan più famoso: «Amate ciò che amano i giovani se volete che essi amino ciò che amate voi». Che tradotto vuol dire: cominciate a navigare di più con loro, parlate il loro linguaggio, conoscete le potenzialità dei nuovi media, ma anche i punti deboli per superare la “divisione generazionale” che ancora esiste tra gli adulti, ancora «immigranti informatici» e «i nativi digitali». Direbbe soprattutto agli educatori: diventate voi stessi il miglior ipertesto vivente per i ragazzi, ispirandovi al miglior catechista di sempre, Gesù di Nazaret. Nicola Di Mauro
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