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Una vita bruciata dal denaroLa saga familiare è un genere congeniale a Irène Némirovsky (1903-1942), straordinaria scrittrice russa trapiantata in Francia e scomparsa nel lager di Auschwitz a trentanove anni. Ne è una testimonianza «I falò dell’autunno» (Adelphi, traduzione di Laura Frausin Guarino, pp. 238, euro 18), scritto tra il 1941 e il 1942, negli ultimi due anni della sua vita, e uscito postumo nel 1957. La trama è simile, come rileva Olivier Philipponnat nella nota finale, a quella de «I doni della vita». Diviso in tre parti, racconta trent’anni di vita francese, dal 1912 al 1941, e disegna il ritratto impietoso di una borghesia marcia e arrivista, di cui Bernard Jacquelain, il protagonista della storia, incarna tutti i vizi e le miserie. La scrittrice non nutre più speranze né illusioni nella borghesia francese, che odia e disprezza, si sente ormai un’emarginata dalla società e dai rapporti umani, mentre la catastrofe incombe e il Paese è in mano ai faccendieri, ai trafficanti, ai cinici, ai ladri. La prima parte, che descrive gli eventi dal 1912 al 1918, si apre con la descrizione della domenica di una famiglia di piccoli borghesi parigini, i Brun: il pranzo in casa con la fricassea di vitello ai funghi e la torta al caffé, le chiacchiere sugli studi e sul futuro dei figli, la passeggiata agli Champs-Elysées per vedere il bel mondo, la sosta nel déhors di un caffè in attesa del tramonto, «quando si accendevano i primi lampioni e l’aria diventava color malva, sembrava avere qualcosa di zuccherino, come una caramella alla violetta». Thérèse, la figlia di Adolphe Brun, «una ragazzina slanciata, graziosa, dal volto serio e dolce, gli occhi scuri e i capelli leggeri come una nuvola», sposa il cugino Martial, mite e timido, che diventa otorinolaringoiatra e dopo lo scoppio della guerra viene ucciso da una granata nelle Fiandre mentre assiste un uomo con le gambe maciullate. Lei fa l’infermiera in ospedale, cura i soldati feriti, è bisognosa d’amore, sogna un marito, una casa, dei figli. L’amico Bernard, esaltato dall’amor di patria, decide di arruolarsi cullando sogni di eroismo. Quando torna dalla guerra è disilluso, non vuole riprendere gli studi, perde soldi al gioco. La seconda parte, che va dal 1920 al 1936, è dominata dal denaro e dal piacere. Raymond Détang, amico di Martial, fa carriera politica per arricchirsi, e dopo un viaggio in America stringe amicizia con uomini d’affari senza scrupoli. Bernard, a una festa piena di gigolò, incontra Renée, moglie di Raymond e figlia della signora Humbert, amica dei Brun, che aveva un negozio di cappelli. Renée, capelli biondi e occhi verdi, «piccolina, rotondetta e morbida come una gatta», diventa la sua amante. Introdotto da Détang nel mondo della politica e della finanza, Bernard compie diversi viaggi in America, ossessionato da un solo problema: come guadagnare denaro, il più in fretta possibile. Un giorno incontra Thérèse, la porta in un cinema e la bacia all’improvviso. Lei lo ama e soffre in silenzio, perché capisce che quell’uomo non potrà mai renderla felice. Bernard, tradito da Renée, che ha un altro amante, si getta nelle sue braccia. La Némirovsky ci regala un’osservazione sul matrimonio che ricorda il suo grande modello, Tolstoj: «Le unioni felici sono quelle in cui gli sposi sanno tutto l’uno dell’altro, oppure quelle in cui ignorano tutto. I matrimoni mediocri si fondano invece su una semifiducia: ci si lascia sfuggire una confessione, un sospiro; si esprime un barlume di desiderio o di sogno, poi ci si spaventa, ci si tira indietro». Bernard e Thérèse si sposano e hanno un figlio, Yves. Lui sembra essere tornato a una vita normale, lascia il suo amico Détang, si mette a lavorare in banca, ma si annoia e prova nostalgia di quella vita avventurosa che conduceva prima. Passano dieci anni. Thérèse ha avuto due bambine e Bernard la tradisce di nuovo con Renée, che vive nel lusso. Yves, che ormai ha quindici anni, prende sul caminetto la foto incorniciata di Martial e si fa raccontare tutto di lui dalla madre. Thérèse e Bernard si separano. La terza parte, che va dal 1936 al 1941, è la resa dei conti della vicenda. Bernard tratta un affare molto redditizio sul piano economico, relativo a pezzi di ricambio americani per aerei francesi. Per stabilire un rapporto più stretto col figlio, lo porta a sciare a Mégève. Ma Yves ha il candore di sua madre, non sopporta suo padre, gli intrallazzi dei politici e degli affaristi, e torna a Parigi perché sente il desiderio di respirare aria pura. Dopo una serie di speculazioni sbagliate, Bernard va in rovina. Scoppia la Seconda guerra mondiale. Sia il padre che il figlio devono arruolarsi. Yves muore in un incidente aereo e suo padre si sente colpevole perché sa che quei pezzi di ricambio erano scadenti. Stanco e affamato, con un gruppo di soldati Bernard raggiunge la foresta di Fontainebleau, trova la villa di Renée, dove si sfamano e pernottano, ma vengono sorpresi dai tedeschi. Gli altri riescono a fuggire, mentre lui viene arrestato e finisce in un campo di prigionieri in Germania. Intanto Thérèse con le due bambine e la suocera trascorre a Parigi un inverno freddo e nevoso e impegna tutto quello che trova in casa per sfamare la famiglia. Bernard torna a casa e finalmente capisce che nella sua vita ha sbagliato tutto, che chi vuol diventare uno sciacallo, un “lupo”, alla fine si ritrova con un pugno di mosche in mano. Si rende conto che il disgusto nei confronti di una vita mediocre lo ha portato alla rovina e che l’inferno della guerra ha prodotto disastri non solo in lui, ma in un’intera generazione di francesi. Il senso del titolo deriva dalle parole della nonna ottantenne di Thérèse, Rosalie Pain, sui «falò dell’autunno» che «purificano la terra, la preparano per nuove semine», ma bruciando devastano ogni cosa. Massimo Romano
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