Fiat: più Detroit, meno Torino

Il segretario dei metalmeccanici Cisl, Chiarle, ha sempre sostenuto, contro la Fiom-Cgil, la linea degli accordi separati con la Fiat, con l’obiettivo di favorire il progetto Fabbrica Italia. Oggi, con molta determinazione, ha contestato Sergio Marchionne per due ragioni: per la dichiarazione dell’ad Fiat sulle eccedenze produttive («in Italia c’è una fabbrica di troppo») e per il blocco temporaneo delle nuove linee produttive a Mirafiori.

Il Suv e la Jeep, che erano previste in produzione per la fine del 2013, rischiano ulteriormente di slittare a Mirafiori, una fabbrica già colpita da sei anni di cassa integrazione, un periodo lunghissimo che non ha precedenti nella storia del Gruppo Fiat, neppure negli anni di guerra.

la posizione della Cisl è emblematica del “disincanto” di Torino e del Piemonte sugli investimenti Fiat; l’azienda ribatte segnalando la crisi economica nel Vecchio Continente che ha determinato una forte caduta nelle vendite, diversamente dal buon andamento della Chrysler negli Usa. Il Lingotto conferma i suoi impegni, ma non fissa date ed anche un quotidiano “amico” come «la Repubblica» (De Benedetti ha sempre elogiato Marchionne) lancia l’allarme sul costante spostamento del Gruppo Fiat da Torino a Detroit, chiedendo a Monti e a Fassino di intervenire.

La fermata produttiva a Mirafiori (che coinvolge sempre più gli impiegati) avviene insieme al fallimento della De Tomaso di Rossignolo, il ridimensionamento della Pininfarina (che proprio in questi giorni ha reso l’estremo omaggio al «grande» Sergio, senatore a vita, progettista «miracoloso»), la vicenda aperta della Indesit: nell’area metropolitana torinese è allarme rosso per l’occupazione, soprattutto giovanile (il 35 per cento, la punta più alta tra le metropoli).

I ritardi negli investimenti di Fabbrica Italia hanno riaperto il dibattito politico sul ruolo torinese e italiano di Marchionne e della famiglia Agnelli-Elkann: l’ex sindaco Chiamparino aveva visto nell’ad Fiat un «salvatore»; oggi i giudizi sono diversi e prevalentemente critici, dal governatore Cota (leghista) a vasti settori del centro-sinistra, dal Piemonte alla Campania, ove si è riaperta la discussione sullo stabilimento di Pomigliano (secondo la magistratura la Fiat ha deliberatamente «scartato» nelle assunzioni i lavoratori della Fiom: di qui l’ordine di riassumerne oltre un centinaio).

Le difficoltà del Gruppo Fiat (rischio di chiusura di una fabbrica, prolungata cassa integrazione, mancata soluzione del nodo produttivo di Termini Imerese) rendono essenziale una iniziativa del governo per evitare una gravissima caduta dell’industria dell’auto in Italia, con il crollo dell’occupazione in aree strategiche del Paese: il buon andamento della Chrysler può favorire gli azionisti, ma non incide sul lavoro negli stabilimenti italiani; apre anzi nuovi interrogativi sulle strategie multinazionali del Gruppo, che peraltro ha sfondato negli Usa con modelli made in Torino.

La stessa notizia, non smentita, del trasferimento di abitazione di Jhon Elkann, erede dell’Avvocato, da Torino a Milano, accresce i dubbi sul futuro subalpino e spiega ulteriormente il passaggio dei metalmeccanici Cisl dall’appoggio risoluto al Lingotto alla critica aperta.

Un fronte caldo si è aperto anche in campo editoriale, ove la Fiat sembra privilegiare l’investimento nel «Corriere della sera» rispetto alla storica presenza ne «La Stampa». Al Congresso dei giornalisti subalpini il segretario nazionale della Fnsi, il cattolico Franco Siddi, ha lanciato l’allarme: dopo la vendita del palazzo di via Marenco, in riva al Po, la Fiat potrebbe aprire nel 2013 un nuovo stato di «crisi editoriale», con ulteriori ridimensionamenti di giornalisti e poligrafici. Sarebbe una mazzata per la professione giornalistica in Piemonte, che ha già pagato la chiusura della «Gazzetta del Popolo», «Stampa Sera», le pagine torinesi di «Avvenire» e «l’Unità», oltre al congelamento della Rai e la crisi delle tv locali.

Il governo del liberale Monti, la Regione Piemonte, il Comune sono chiamati a verificare in tempi rapidi i progetti Fiat, anche in considerazione del sostegno “secolare” (sino al 2005) che lo Stato e gli enti locali hanno offerto al Gruppo e alla Famiglia Agnelli. «Stare a guardare» (come ha fatto il governo Berlusconi) non basta più, perché il «deserto produttivo» a Mirafiori e nella cintura è ormai una questione etica, sociale e politica. Se qualcuno dubitasse, si rivolga alla Caritas o ai parroci dei quartieri ex operai della metropoli. Otterrà un quadro degno del realismo di Giovanni Verga, il secolo scorso. Mario Berardi

 



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