City piange "miglio d'oro" screditato

La City di Londra, quel danarosissimo “miglio d’oro” popolato di banche, enti assicurativi e ogni sorta di corporazioni, che occupa grosso modo la parte più antica della capitale inglese e costituisce da secoli il maggior centro finanziario d’Europa, ha conosciuto in passato giorni difficili e rovesci delle sue fortune; ma pur tra le cadute, le guerre, le evoluzioni e rivoluzioni del nostro pianeta non ha mai perso, o mai completamente, il suo patrimonio più prezioso e cruciale, ancorchè non visibile, non materiale. Ossia la fiducia di fondo dei suoi investitori, risparmiatori, utenti e clienti.

Ma ció che non era mai accaduto sembra imminente e in parte già iniziato ai nostri giorni. Gli uomini nuovi (executive, operatori bancari, agenti di Borsa, eccetera) entrati nel sistema negli ultimi tre o quattro decenni e specialmente da quando sotto il governo Thatcher fu inaugurato il cosiddetto Big Bang che spazzò via gran parte delle vecchie regole e buone maniere, vi hanno portato quella che vari sociologi e studiosi del costume definiscono come una “nuova cultura”: manifesta in comportamenti sbrigativi, poco rispettosi e poco scrupolosi; e soprattutto spregiudicatamente finalizzata al profitto, a ogni costo o rischio. La crisi del 2008-2009 con il fallimento della Lehman Brothers e il tracollo della Royal Bank of Scotland e della Northern Rock (nazionalizzate di fatto con centinaia di miliardi di denaro pubblico) avevano evidenziato i risvolti della nuova cultura e l’urgenza di regolamentazioni e riforme appropriate. Ma non se ne è fatto nulla e le corporation, holding e compagnie hanno continuato a distribuire magri dividendi ai piccoli azionisti ed enormi buoni premio (milioni di sterline) ai propri pezzi grossi ed executive, non si sa per che cosa e in barba all’austerity vigente per gli altri comuni cittadini.

Esistono ancora, tuttavia, dei limiti oltre i quali nemmeno i banchieri più spericolati (i banksters, come li ha chiamati l’«Economist» nel suo ultimo editoriale assimilandoli vagamente agli uomini di Al Capone) dovrebbero avventurarsi, perchè il rischio implicito, e per altri versi auspicabile, è di demolire, un poco al modo di Sansone, l’intera costruzione. Sulla City, infatti, mentre scriviamo, incombono le scosse di scandalo finanziario tale da farla inabissare in perpetuo nel discredito. L’epicentro del sisma è in una delle maggiori e più antiche (1690) banche britanniche, la Barclays, quarta nel mondo per dimensioni, con 142 mila dipendenti e circa cinquemila sedi sparse su ogni continente abitato. L’istituto, al momento, è praticamente senza guida. Il presidente, Marcus Agius, si è dimesso senza preavviso il 2 luglio. Il chief executive officer, ossia direttore generale, Robert (Bob) Diamond, lo ha seguito l’indomani, tosto imitato dal suo vice, Jerry del Mettier. E la ragione è che essi sono indagati per una forma inusitata di frode commessa dalla Barclays, durata anni e ora potenzialmente catastrofica per l’intero universo finanziario del Regno Unito.

Ció che avrebbero scoperto gli investigatori dell’ufficio preposto (Financial service authority) è che dal 2005 al 2009, e forse ancora nel 2010, certi operatori della Barclays hanno truccato i tassi d’interesse dei prestiti interbancari inscritti nel cosiddetto Libor (abbreviazione di London interbank offered rate) che è un parametro, ossia un valore di riferimento elaborato dai principali istituti di credito e sul quale si regolano quotidianamente una infinità di altri pagamenti e scambi. La manipolazione della Barclays consisteva nel diminuire la relativa percentuale d’interesse; e i responsabili avrebbero poi trovato modo di intascare la differenza rispetto a quella reale. Lasciamo al lettore d’immaginare le infinite conseguenze finanziarie e giudiziarie, passate, presenti e future di un simile ginepraio.

Interrogato dalla commissione finanziaria del Parlamento, il direttore dimissionario Bob Diamond, che reclama comunque una buona uscita di 20 milioni di sterline, ha detto che tutte queste infrazioni sono avvenute a sua insaputa e che i responsabili, poche “pecore nere” della ditta, sono stati puniti. La banca per parte sua ha pagato all’erario una multa record pari a 350 milioni di euro. Ma la vicenda naturalmente non finisce qui e le sue ripercussioni dureranno nel tempo. Se ne occuperà prima o poi la magistratura, perchè la Financial services authority ha competenza in materia di finanza e non d’altri crimini. Dalle ricerche e dagli interrogatori fin qui svolti risulterebbe peraltro che non è stata soltanto la Barclays a manomettere il Libor. Lo avrebbero fatto, nello stesso periodo, una ventina di altre banche. Dunque lo sprofondamento nel fango, nell’ignominia e nel discredito riguarda l’intera City, è generale, collettivo. Si mormora anche che qualche esponente del Gabinetto d’allora non fosse proprio all’oscuro di quanto succedeva.

Prima dell’autunno ci sarà un’inchiesta parlamentare, voluta dal governo, contro il parere dell’opposizione che ne reclamava una più approfondita, presieduta da un giudice. E ai Comuni come alla Camera dei pari si dibatterà molto su come riformare finalmente gli usi e costumi (la cultura) della City. Ma a questo riguardo bisogna rammentare alcuni dettagli: che, per esempio, il Partito conservatore oggi al potere coi liberali ha nella City i suoi finanziatori più assidui; e che tra i deputati come tra i Lord della Camera alta, senza distinzioni di partito, siede un cospicuo numero di signori in ottimi rapporti d’amicizia e interessi (non truccati) con la City. La morale, per il momento, è che l’unico incentivo alla redenzione del “miglio d’oro” è la perdita dell’onore e del rispetto, e l’impellente necessità di ritrovare il capitale smarrito della fiducia pubblica.

Carlo Cavicchioli

 



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