L'Italia Stato incompiuto

Un libro che si rivolge a tutti quegli italiani che, consapevoli dello stato di degrado etico, politico e culturale in cui si trova il Paese, vogliono comprenderne perché e, soprattutto, per colpa di chi l’Italia è arrivata sull’orlo del baratro. «La colpa. Come e perché siamo arrivati alla notte della Repubblica» (Dalai editore, pp. 239, € 16,50), è un libro-intervista di Nicola Tranfaglia e Anna Petrozzi.

Il primo, professore emerito di Storia dell’Europa, del giornalismo, di Storia della mafia e di Storia dei mezzi di comunicazione di massa all’Università di Torino e all’Università Lumsa di Roma, deputato dal 2006 al 2008, direttore di alcune grandi opere collettive come «Il Mondo contemporaneo», «Storia della stampa italiana» e «La Storia», si è occupato in quarant’anni di fascismo, antifascismo, terrorismo, mafia e di molti altri aspetti della storia italiana ed europea. La seconda, giornalista, laureata in Lingue e letterature moderne all’Università Cattolica di Milano, dal 2000 è caporedattore della rivista «Antimafia Duemila», per la quale ha curato numerose inchieste, in particolare quelle relative allo stragismo e ai rapporti tra mafia e Stato.

Ne «La colpa. Come e perché siamo arrivati alla notte della Repubblica» Tranfaglia spiega perché, a centocinquant’anni dalla sua unità, l’Italia rimane uno Stato incompiuto, a sovranità limitata, una democrazia sospesa tra il collasso e una faticosa sopravvivenza. E cerca di indicare come essa potrebbe riacquistare la sua sovranità nazionale: «Che l’Italia sia ancora, per molti aspetti, una democrazia incompiuta è indubbio, perché non si è ancora realizzata un’uscita dai populismi. Ci sono vari partiti, sia a destra sia a sinistra, che hanno ancora un leader dispotico che decide tutto e non c’è la democrazia necessaria, secondo la Costituzione, per questi partiti. Io potrei indicare da una parte il Pdl, ma dall’altra anche, in modi diversi, sia l’Idv sia Sel. Abbiamo una sopravvivenza molto forte dei populismi, e questo è un elemento molto negativo. Inoltre, possiamo dire che le classi dirigenti italiane non hanno risolto in nessun modo il grande divario Nord-Sud. Perché questo problema esisteva all’atto dell’Unità e nei centocinquant’anni che abbiamo festeggiato l’anno scorso non sono riuscite a risolverlo». Una grave responsabilità delle classi dirigenti, secondo Tranfaglia, «affinché si abbia il riacquisto di questa sovranità complessiva bisognerebbe risolvere da una parte il problema del divario territoriale, economico e civile tra Nord e Sud, dall’altra bisognerebbe che nei partiti politici s’introducesse, finalmente, una democrazia e un’attenzione a non immettere nelle assemblee elettive persone che non sono oneste e fedeli alla Costituzione».

Lo storico, attraverso le domande della Petrozzi, traccia un disegno interpretativo della storia italiana dal 1943 a oggi, rivolgendo particolare attenzione alle responsabilità delle classi dirigenti italiane, di quel settore occulto del potere politico ed economico che ha condizionato, prima e dopo il 1943, l’alternarsi dei governi centrali, delle stragi e dei delitti commessi nel settantennio per mantenere il più possibile gli equilibri di fondo della società italiana con una visione conservatrice, e più volte reazionaria.

In questo senso, Tranfaglia parla di colpa e di responsabilità oltre che di «sovversivismo» delle classi dirigenti italiane, favorite in questo anche dall’incapacità delle classi popolari e degli intellettuali vicini a esse di progettare e realizzare alternative rivoluzionarie o riformiste, tali da costruire un futuro diverso. In questo primo settantennio di storia, infatti, la presenza degli arcana imperii (governo invisibile e occulto) che esiste in tutte le democrazie ha esercitato un ruolo fondamentale ed esorbitante, causando conseguenze negative: l’allontanamento della società civile dalla politica, il favorire una forte criminalizzazione del mondo politico, l’introduzione di metodi mafiosi nella vita pubblica del Paese e lo svuotamento del dettato costituzionale, base della nostra convivenza civile. Negli ultimi settant’anni la storia politica dell’Italia non è stata né lineare né autonoma, a causa di entità parallele a quelle legittimamente delegate a operare in rappresentanza del popolo, che hanno influenzato il suo andamento per conseguire fini che non erano quelli manifestati dagli elettori tramite le urne.

Lo storico, sulla base delle migliaia di documenti ufficiali de-secretati consultati in archivi italiani ed esteri, identifica queste entità in quelle agenzie repressive dello Stato pubbliche e private, associazioni parzialmente segrete come la massoneria e le organizzazioni criminali di tipo mafioso che, in determinati  momenti della storia repubblicana, hanno unito le loro forze per raggiungere scopi comuni. In particolare Tranfaglia osserva che «noi abbiamo visto, in seguito a numerosi elementi che abbiamo notato negli anni scorsi, di fronte a avvenimenti importanti, che la mafia è collegata a livello internazionale, che dispone di risorse finanziarie enormi, che riesce a influenzare potentemente sia le assemblee elettive che quelli che sono i partiti dopo il grande crollo del 1992; da questo punto di vista, la mafia ha assunto un potere enorme nel nostro Paese. In questa situazione bisognerebbe che ci fosse una forte educazione civile delle nuove generazioni. Il problema è che sul piano repressivo, dopo la vicenda P2, non si fa più una lotta adeguata ad associazioni massoniche che hanno rapporti con la mafia. La repressione deve estendersi di più di quanto c’è oggi e, nello stesso tempo, deve esserci la possibilità per chi difende lo Stato democratico contro la mafia di parlare di più: invece, sia la televisione pubblica, sia quella privata, danno pochissimo spazio a questo tema, che è un tema importante, perché non si può parlare di democrazia, se la democrazia non c’è nei partiti, se la repressione non è estesa, se anche funzionari pubblici di alto livello e giudici sono implicati in queste trame».

Secondo l’interpretazione dello storico, dunque, la sequela di tentativi di colpi di Stato e di stragi costituisce il metodo di lotta politica illegittima che risponde all’obiettivo di destabilizzare per stabilizzare: si è ricorso alla minaccia di violenza (il golpe) per condizionare le scelte politiche. Quando questo strumento si è rivelato insufficiente a tutelare gli interessi del governo parallelo, si è utilizzata la strategia stragista, senza escludere l’uso pilotato del terrorismo di destra e di sinistra. Le inchieste di Falcone e Borsellino, quelle riguardanti la P2 e le stragi sono solo la punta di un iceberg criminale ed eversivo che, grazie anche a un uso eccessivo e interessato del segreto di Stato, non è mai stato portato completamente alla luce e procede nell’azione di degrado delle istituzioni repubblicane. Tangentopoli, infatti, secondo Tranfaglia, ha portato al crollo dei vecchi partiti, sostituiti, però, da una destra populista e autoritaria incarnata dal berlusconismo, che sta progressivamente intaccando la Costituzione repubblicana per sostituirla con un presidenzialismo autoritario. Favorita, in questo, da un’opposizione di sinistra divisa e assai incerta sul modello di programma politico alternativo da proporre agli italiani. Claudio Ozella

 



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