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Il magico mondo di Klein
Una mostra che non è una mostra. O almeno, non nel senso tradizionale del termine. Ci sono documenti, oggetti, foto, video, testimonianze inedite. Persino una sinfonia. Persino una piscina di oltre cinque metri per dieci, tutta in pigmento Ykb, quello brevettato da Klein. Yves Klein, ovviamente, l’artista francese legato alla poetica dadaista e precursore della Body art (da non confondere, come ha fatto qualcuno, con lo stilista americano Calvin Klein). A cinquant’anni dalla scomparsa per infarto, appena trentaquattrenne, ecco dunque al Palazzo Ducale di Genova una rassegna incentrata sulla tematica del judo, momento focale della sua esperienza artistica. Yves Klein nasce a Nizza il 28 aprile 1928. Il padre, Fred Klein, olandese, e la madre, Marie Raymond, originaria delle Alpi Marittime, sono pittori (lui figurativo, lei astratta) e trasmettono il “germe visionario” al figlio. Abitano anche a Parigi, ma d’estate e negli anni 1939-1943, la famiglia è a Cagnes-sur-Mer, un borgo vicino a Nizza, in zona non occupata dai tedeschi, dove vive una zia materna. Poi, Yves comincia a praticare il judo, che considererà la prima esperienza «con lo spazio spirituale». Nello stesso anno, compone la «Symphonie monotòne», proposta anche in mostra: una sola nota ripetuta per 24 minuti, seguiti da altrettanti di silenzio. Dal 1948 al 1952, Yves Klein viaggia in Italia, Gran Bretagna, Spagna e Giappone. In questo Paese è affascinato dalla sensualità del corpo e dal suo movimento, tanto che al ritorno sorprende con opere che sono vere e proprie performances teatrali. A Parigi espone in varie gallerie dipinti monocromi, che gli meritano il soprannome di «Yves Le Monochrome». Il 21 gennaio 1962, nella chiesa di Saint-Nicolas-des-Champs, sposa l’artista tedesca Rotraut Uecker. Cura la cerimonia nei minimi particolari: lei, per esempio, indossa una “tiara” blu e al ricevimento è servito un cocktail blu. Muore pochi mesi dopo, il 6 giugno, nella capitale, ma è sepolto nel piccolo cimitero di La Colle-sur-Loup, vicino a Cagnes, accanto alla madre e alla zia. Il figlio che nascerà dopo due mesi, porterà il suo stesso nome. Questi cenni biografici fanno intuire perché la rassegna genovese è stata definita «un’indagine per indizi». E poiché per Klein stesso, «la mia opera non è una ricerca, è la mia scia», ecco che «dalle impronte lasciate dal suo passaggio si può risalire al corpo che ha impresso la traccia, e poi ancora al movimento che ha guidato il corpo, fino al pensiero che ha generato il movimento nel principio. E nel principio, per Yves, c’è il judo. Ma il judo vero, quello tradizionale dei maestri che l’artista incontra in Giappone, non è combattimento. È prima di tutto rappresentazione di principi etici e cosmici: è teatro. Quindi Yves Klein si ritrova immerso tra fisicità e spiritualità, tra Judo e Teatro». Gran parte della sua arte non è “fermata” in una tela o in una scultura, ma al contrario è effimera: i suoi vernissage sono spettacoli, «la sua arte è fatta di aforismi, di intuizioni racchiuse in uno spezzone di film, in uno scatto fotografico». Non a caso, entrando in mostra, ci si imbatte nel suo primo aforisma. Ha scritto: «Ho lottato contro la mia vocazione di “pittore”, partendo per il Giappone, in cui poter vivere l’avventura del Judo e delle Arti marziali antiche: allo stesso modo, ho lottato contro la mia vocazione “d’uomo di teatro”; ma appunto, il Judo, attraverso la pratica fisica e spirituale dei Kata, si è costituito, mio malgrado e nonostante la mia formazione, come quella disciplina dell’arte che è il teatro. (…) Per me “teatro” non è affatto sinonimo di “Rappresentazione” o di “Spettacolo”». Poco oltre, un suo film: il corpo della modella lascia un impronta sulla tela, Klein alle spalle, aiutato da una squadra di pompieri scolpisce la tela con il fuoco. E il teatro è, comprensibilmente, il protagonista della prima sala, dov’è esposta la celebre immagine «Le saut dans le vide», il salto nel vuoto, dove Yves si lancia dal secondo piano realizzando il Kata degli uccelli. Più avanti, c’è la sala dedicata al pigmento blu Ykb, con la piscina e con le grandi antropometrie della stessa tonalità, che per lui «sono l’applicazione della fisicità del Judo nell’arte». Poi, la sezione dedicata al judo, con film da lui realizzati in Giappone, e quella biografica, con suoi documenti e oggetti, oltre che con opere dei genitori e della moglie. Dopo ancora, la sezione con la voce registrata di Klein che interpreta il «Dialogo con me stesso» e quella dedicata ai video. Nella Cappella del Palazzo c’è la possibilità di ascoltare la «Sinfonia Monotòna», con l’unica nota ripetuta per 24 minuti. Prima dell’uscita, la sezione su quel «teatro immateriale» che sono le aste delle sue opere: una ha raggiunto i 24 milioni di dollari. Insomma, «una mostra del tutto originale, per un artista assolutamente originale, anzi unico». La rassegna «Yves Klein. Judo e Teatro. Corpo e visioni» è allestita nel Palazzo Ducale di Genova (piazza Matteotti 9) sino al 26 agosto. Orario: dal martedì a domenica (lunedì chiuso), dalle ore 11 alle 19. Per informazioni, tel. 010. 5574064/65. Michele Gota
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